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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Facciamo finta che sia per sempre – I. Giannini

Postato da Legione il 6 Maggio 2010

È un libro che si legge tutto insieme, non perché mozzi il fiato ma per la sua capacità di trascinare il lettore con sé fino all’ultima pagina.
Facciamo finta che sia per sempre è il romanzo d’esordio di Ilaria Giannini, con la casa editrice Intermezzi: è un romanzo introspettivo, a tratti psicologico.
L’ho apprezzato perché descrive un interessante spaccato di vita che copre diversi tipi di amore: quello romantico, che si vorrebbe durasse per sempre; quello che non si riesce a vivere pienamente; quello che esplora e prova ad esprimersi.
La protagonista è Nicole, insegnante trentenne che non ha mai superato la morte di Paolo, il suo primo e unico vero amore. Intorno a lei, quasi fossero suoi satelliti, ruotano le vite di Martina, ventenne innamorata di lei, e di Stefano, psicologo quasi quarantenne, anche lui innamorato di Nicole, o di quella che per lui era stata dieci anni prima.
Nicole si lascia solo sfiorare dall’esistenza di Martina e Stefano, mentre la sua è rimasta ancorata a Paolo e alla sua fine prematura.
Lo stile della Giannini è apprezzabile perché limpido e avvolgente, arriva al cuore di ogni personaggio e lo avvicina a quello del lettore.
Si notano alcuni difetti riconducibili all’inesperienza dell’esordiente come l’uso di uno stesso registro narrativo per tutte le voci narranti che finiscono quindi per uniformarsi. Niente che però l’esperienza non possa correggere.
Facciamo finta che sia per sempre è una storia triste, come ne accadono ogni giorno, e la prima impressione potrebbe essere quella di leggervi un finale pessimista. Di sicuro non ci si trova di fronte a un lieto fine, ma secondo me ha un suo particolare pregio: l’autrice ci mostra che, nonostante tutto, una strada da percorrere si trova sempre. Una strada che è sempre del tutto personale e adatta a noi.

Recensione scritta da LM: L’imbrattacarte

La lancia di ferro – S. R. Lawhead

Postato da Legione il 4 Maggio 2010

La lancia di ferro è il primo libro di una saga familiare: la trilogia delle crociate celtiche. Durante la prima crociata, una famiglia delle isole Orcadi si divide: padre e i due figli maggiori partono per la guerra mentre il figlio minore Murdo e sua madre Niamh restano in patria.

Dopo circa un anno dalla partenza dei fratelli e del padre, un sopruso spinge Murdo a raggiungere i suoi congiunti in Terra Santa.

Il viaggio farà maturare il giovane protagonista, che avrà modo di conoscere cose che restando in patria non avrebbe mai potuto immaginare: la ricchezza dei regni d’oriente, l’ambizione dei nobili, le atrocità della guerra e la crudeltà degli uomini verso i loro simili. Temprato dalle difficoltà, il ragazzo crescerà senza lasciarsi corrompere da ciò che lo circonda, grazie anche all’aiuto degli amici che incontrerà durante il viaggio e che lo accompagneranno per il resto della sua vita.

Lo stile di Stephen R. Lawhead a tratti è un po’ “pesante”, ma sfruttando un clichè scontato (e usato milioni di volte?) riesce a rimanere coerente al contesto che ha scelto parlando di temi complessi e attuali come la guerra, l’ambizione dei potenti, la corruzione del sistema e anche dei primi passi di un’adolescente alla vita adulta e alle responsabilità che ciò comporta.

Recensione scritta da TT

La prigione di neve – J. E. Watson

Postato da Legione il 1 Maggio 2010

copertina la prigione di neveAbbiamo finalmente avuto modo di leggere il libro-novità del quale abbiamo pubblicato la scheda qui: La prigione di neve di Jan Elizabeth Watson.
Dobbiamo ammettere una cosa: siamo un po’ restii a scrivere questa recensione. Non che il libro ci abbia deluso, ma leggendolo, ci siamo convinti che questo romanzo dia il suo meglio di per sè stesso, senza leggere anticipazioni, commenti, valutazioni precedenti. Il lettore dovrebbe essere messo nella condizione di non sapere alcunchè della trama, di poterla scoprire in completa autonomia, procedendo nelle pagine.
Diciamo questo perchè noi, pubblicando già la scheda e quindi sapendo già un po’ troppo sull’intreccio, ci siamo preclusi parte della curiosità di scoprire strada facendo la situazione in cui versano i due protagonisti, Asta e Orion, e di come questa, in apparenza immutabile e perfetta, viene a infrangersi.
Troviamo perciò fuori luogo la prefazione al romanzo, nella quale viene accennato in modo esplicito anche al finale. Ammettiamo di averla saltata a piè pari, e anche con fastidio, quando siamo giunti in quel punto.
Secondo noi, La prigione di neve è un libro particolare, estremamente introspettivo ma semplice, che espone i fatti accaduti ai due piccoli fratelli con una precisione disarmante, quasi scientifica, condendo questo rigore con le sensazioni di Asta adulta che ricorda sè stessa bambina e di come, un giorno, il suo piccolo universo domestico sia stato stravolto.
ll lettore si sente invogliato quindi alla riflessione sui temi appena sfiorati nel testo raccontati con la noncuranza dei bambini: la malattia mentale, il potere della suggestione, l’amore che si manifesta come può, non sempre nel modo giusto. Ma permette anche di vedere il nostro mondo quotidiano con gli occhi dell’alieno, ostile, con le sue contraddizioni e le sue asperità, le difficoltà oggettive per chi non viene considerato “normale” e in quanto tale non viene compreso.
La prigione di neve è una lettura sobria, matura, che consigliano ai lettori che desiderino un romanzo scorrevole ma che faccia riflettere anche a pagine chiuse.

L’ultimo orco – S. De Mari

Postato da Legione il 29 Aprile 2010

Non è facile parlare di questo libro. A parte il fatto puramente tecnico per il quale abbiamo inavvertitamente letto questo romanzo che costituisce il secondo volume di una quadrilogia senza aver letto il capitolo precedente, L’ultimo elfo, questo libro contiene talmente tante cose che risulta quasi impossibile tracciarne esattamente una scheda.
Volendoci limitare alla trama, potremmo dire che L’ultimo orco è un fantasy, che narra di re decaduti e governatori malvagi, di regine coraggiose, di elfi, di spade magiche, di valore, coraggio e crudeltà. All’apparenza, alla lettura superficiale, è un fantasy come molti.
L’ultimo orco nasce dalla prolifica e ricca penna di Silvana De Mari, psicoterapeuta, della quale abbiamo letto tempo fa un bellissimo saggio sulla fantasy e sulle fiabe, Il Drago come realtà. Questo romanzo non delude, anzi. Le sue 700 e più pagine si lasciano divorare febbrilmente, una dopo l’altra, la narrazione è incalzante, la scrittura ricca ed evocativa. I personaggi sono i migliori che abbiamo letto da molto tempo: ricchi di sfaccettature, con una psicologia così complessa e vivida che è impossibile non sentirsi catturati. La trama, al contrario delle stragrande maggioranza dei fantasy è onestamente originale, ricca di colpi di scena. Il motivo di questa particolarità secondo noi risiede nell’ottica in cui il romanzo è stato scritto. In media gli scrittori di questo difficile genere puntano sulla trama e sugli effetti speciali che il contesto fantasy permette di ottenere con relativamente poco sforzo. In questo caso, la De Mari ha scritto tenendo in primo piano assoluto i personaggi e la loro profondità, le caratteristiche della personalità, le loro fragilità, la loro crescita. Le vicende quindi si dipanano in modo complesso ma fluido, naturale, come avverrebbero in una vita reale, rendendo la narrazione molto verosimile.
Inoltre, in particolare alla luce del saggio dell’autrice, L’ultimo orco è ricco di simbolismi, che toccano tematiche molto forti della vita reale, che fanno riflettere: la fame, il razzismo, il rispetto, la morte, l’onore, il dolore, l’umiliazione. Il governatore malvagio lo è oltre ogni clichè, la regina coraggiosa è anche crudele, il condottiero senza paura è marchiato da abominbevoli natali, la principessa è ridotta alla fame e agli stenti. Niente è banale e niente è per caso, pagina dopo pagina la trama si intesse di dettagli di valore per l’intera opera.
Lo stile della De Mari è fenomenale, è così deliziosamente italiano che immaginiamo impossibile rendere in un’altra lingua. Descrive con perfezione gli stati d’animo di ciascun personaggio, passando dalla voce narrante neutra al punto di vista personale di ciascuno, dando voce ai sentimenti con una naturalezza accattivante. I momenti onesta commozione si alternano in molti punti del romanzo ad attimi di delizioso sarcasmo e moti di spirito.
Insomma, provvederemo al più presto a completare la trilogia con i capitoli mancanti, ma possiamo dire che anche così, L’ultimo orco è indubbiamente uno dei migliori fantasy che abbiamo mai letto e che consigliamo con entusiasmo a tutti, giovani e meno giovani, a chiunque ami il genere (e non lasciatevi intimorire dall’autore italiano, non vi pentirete) e a chiunque desideri farsi trasportare da una storia cruda e dolce al contempo, come solo la vita stessa può essere.

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Ti interessano anche gli altri libri della serie?
L’ultimo elfo (Gl’istrici)
Gli ultimi incantesimi
L’ultima profezia del mondo degli uomini (Collezione immaginario fantasy)

L’Albergo delle donne tristi – M. Serrano

Postato da Legione il 25 Aprile 2010

Floreana è triste e, come lei, tutte le ospiti dell’Albergo di Elena, situato nell’isola cilena di Chiloé.
Perché lo sono? Per tanti motivi: l’amore non corrisposto, la paura, la perdita, il dolore. Ogni motivo nell’Albergo viene condiviso e ascoltato da tutte le ospiti, tutte donne, di ogni età e ceto sociale.
Ma Floreana non è solo triste: una parte di lei vuole estraniarsi dalla quotidianità rifugiandosi nel suo lavoro di storica. Floreana fugge dal dolore a modo suo, pur senza riuscirci presa in ostaggio dai ricordi e da ciò che ancora la tiene ancorata alla realtà, come le sorelle e il figlio José.
L’Albergo delle donne tristi di Marcela Serrano è un libro di donne per le donne, ma gli uomini non sono banditi, al contrario, spesso sono l’argomento principale di cui discutere e su cui riflettere.
Una domanda riecheggia per tutto il romanzo: gli uomini hanno paura delle donne di oggi? Di quelle donne che reclamano indipendenza e libertà anche per loro stesse?
Ed è la paura che li spinge a tradirle, abbandonarle, ad abusarne sia fisicamente che psicologicamente?
Attraverso la storia di Floreana, della sua attrazione per un uomo scostante, ma dall’animo sensibile, la Serrano si avventura per gli impervi sentieri dell’amore e della sessualità, non senza inciampare ogni tanto lungo il cammino.
Si sa che amore e luoghi comuni facilmente vanno a braccetto e le storie romantiche corrono il rischio di risultare stucchevoli e scontate, ma in questo romanzo l’autrice si mette in gioco ed evita di affidarsi a generi prestabiliti quale quelli dei romanzi d’amore alla Nicholas Sparks, dei chick lit alla Sophie Kinsella e degli Harmony.
La sfida non era facile e ogni tanto la narrazione sembra appesantita dalle riflessioni psico-filosofiche che un saggio avrebbe accolto meglio, pur privandole di poesia.
L’Albergo delle donne tristi non è una lettura d’intrattenimento e anche se alcune scelte di stile, secondo me, hanno pregiudicato la fluidità nel ritmo, rimane un romanzo interessante che fa sorgere nel lettore le stesse domande che tormentano i personaggi: “Dopo una brutta delusione, saprò fidarmi e amare di nuovo qualcuno?”
Floreana affronta una sorta di rieducazione sentimentale e il lettore con lei. Anche lui per un po’ vive nell’Albergo, si sente libero di porsi domande scomode e di provare a dare una risposta.
Perché, come dice Floreana: “[Elena] si fa carico di noi. Il suo obiettivo è quello di guarirci, non di cambiarci, perché proprio il conforto che lenisce le ferite fa scattare il cambiamento, e questo conforto lo provi semplicemente per il fatto di essere stata accolta senza giudizi, senza rimproveri”.

Recensione scritta da LM: L’Imbrattacarte

Monsieur Malaussène – D. Pennac

Postato da Legione il 21 Aprile 2010

Trama: le puttane di Genvaise che spariscono, la proiezione di un Film Unico, Berthold che si crede Dio e un illusionista che fa della sparizione uno stile di vita e Rabdomant in pensione. Ma proprio in questo momento dovevi nascere, Signor Malaussène?

E prima venne l’Occhio del Lupo. Poi seguirono, nell’ordine, Abbaiare Stanca, la Prosivendola, Diario di Scuola, Come un Romanzo, la Fata Carabina e il Paradiso degli Orchi. Ho impiegato un bel po’ di tempo ad esplorare una piccola parte della bibliografia di Daniel Pennac, avrò iniziato a sei anni, leggendo solo sette libri. E tralasciando il primo, per cui sono giustificato dal fatto che a sei anni non sapevo nemmeno cosa fosse, ho sempre pensato che per ognuno di questi Pennac meritasse il dannato Nobel alla letteratura. Ho mai cambiato idea? Mai. Il Signor Malaussène mi avrà fatto cambiare idea?
Ma quando mai! Questo è probabilmente il miglior libro della saga, e lo dico in barba a tutti coloro che assegnerebbero questo posto a Il Paradiso degli Orchi. Signor Malaussène è la summa non solo letteraria della Saga dei Malaussène, potrebbe tranquillamente costituirne la saga logica ed è assolutamente un capolavoro di scrittura. Scrittura di ogni tipo: descrittiva, saggistica, flusso di pensiero, tutto. Non mi sono annoiato un secondo, non ho pensato di saltare una pagina, ma nemmeno una riga, questo libro è semplicemente troppo bello. Senza dimenticarmi delle lacrime in ben due occasioni, una a metà libro e una sul finale, che ho interpretato come un piccolo regalo ai fan della saga.

Ma vi pensavate che le serie fantasy di Terry Brooks o della Troisi o di chi **** altro so io fossero le uniche che valesse la pena leggere? Filate a comprare i libri dei Malaussène: saranno anche ambientati nella Francia del XX secolo, ma in quanto a stranezze questi qui battono tutti. E, a proposito, occhio a Benjamin Malaussène: sarà capro espiatorio, ma porta più sfiga lui della Signora in Giallo!

Edito da: Feltrinelli. Solito ottimo lavoro per la Feltrinelli, che nell’Universale Economica ha forse la sua migliore collana in termini di qualità dei titoli, del libro in se e di costo del volume.

Recensione scritta da RM

Gli incubi di Hazel – L. Deeny

Postato da Legione il 17 Aprile 2010

copertina gli incubi di hazel Può una storia che dovrebbe far paura insegnare i buoni sentimenti?
Hazel è una bambina di otto anni con qualche problema a gestire la rabbia e a farsi degli amici. I genitori partono per una vacanza di due settimane e lei si ritrova a convivere con la dispotica zia Eugenia e il timido cugino Isambard nel loro vecchio e decadente maniero. Il ritratto che l’autore, Leander Deeny, dipinge della zia è quanto di più vicino alla rappresentazione di una persona insopportabile che chiunque desidererebbe veder soffrire le pene dell’inferno. La vendetta diventa quindi per Hazel (e non solo per lei) una dolce ricompensa per i torti subiti. Sin qui niente di straordinario se non che la vicenda assume sempre più i tratti del grottesco e del surreale lasciando il lettore con la curiosità di scoprire “chi rimetterà ogni cosa al suo posto”.
Lo stile semplice e verosimile è uno dei pregi del romanzo, accanto all’originalità della storia che pur essendo destinata a un pubblico molto giovane non risulta mai banale o scontata.
Se amate l’ironia e non pensate di essere troppo grandi per un libro dedicato ai bambini, Gli incubi di Hazel potrebbe sorprendervi piacevolmente.
Conta poco più di 200 pagine nella versione paperback della Newton Compton Editori e il prezzo è particolarmente invitante (4,90 euro).

Recensione scritta da LM: L’imbrattacarte

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Skyland. Isole nel vento – D. Carlyle

Postato da Legione il 10 Aprile 2010

Abbiamo trovato questo volume curiosando tra le novità della biblioteca. La copertina ha attirato la nostra attenzione e, quando ci siamo accorti che la casa editrice, la Piemme Freeway, era la stessa che ci ha fornito Everlost, l’abbiamo portato a casa colmi di aspettative.
In effetti il volume si presenta molto bene, all’interno dei risvolti di copertina troviamo due schizzi di areonavi mentre in fondo al libro è presente una pregevole appendice di tavole disegnate che illustrano il suggestivo mondo di Skyland. I presupposti per essere un buon libro c’erano tutti. Ci chiedavamo solo se la storia sarebbe stata più fantasy o più fantascientifica, insomma, non vedevamo l’ora di farci catturare da questa realtà alternativa.
La lettura è stata breve e, ahinoi, deludente.
Bisogna innanzitutto dire che la trama ed i presupposti su cui si fonda la storia sono ineccepibili ed interessanti. In un futuro anteriore, la Terra come la conosciamo non esiste più. Di essa esistono solo isole, sospese nel vuoto e trattenute lì da una forza inspiegabile. In questa nuova esistenza, il problema principale è l’acqua, che con la sparizione della Terra si è resa rarissima e preziosa, al punto da essere usata come arma di dominazione da parte della Sfera.
Anche l’espediente narrativo è originale. Suddiviso in tre filoni che si alternano, si narra di Lily, in un futuro prossimo, quando la Terra esiste ancora e di Valérie e Lorenzo, due giovani di Skyland contemporanei che per diversi casi del destino incrociano le loro vite.
Nonostante questi buoni presupporti, il libro non è solo brutto. E’ oltraggioso ed è una presa in giro per il lettore. La storia è interessante ma tirata via, con fretta, senza cura e senza approfondimento, sorvolando su tutto, come se l’obbiettivo fosse quello di arrivare da qualche parte, ma senza di fatto raggiungere mai nulla.
I personaggi sono finti, piatti e insipidi, pensano ed agiscono in modo banale e scontato. Non esistono aspetti introspettivi, qualunque spunto di divagazione e riflessione (dopotutto è un romanzo per Young Adult, se ci fosse da pensare non sarebbe poi così male) viene schiacciato da questa fretta terribile dell’autore e presto dimenticato.
In ultimo, ma forse proprio il punto più fastidioso, quello che più irrita il lettore che ce l’ha fatta ad arrivare fin lì: il finale.
Non sappiamo se è un sentimento condiviso, ma solitamente noi apprezzaiamo quando un romanzo arriva alla sua conclusione che, bella o brutta che sia, chiude la narrazione e risolve man mano i punti lasciati sospesi.
Questo romanzino è di fatto un intro-book di una serie, che immaginiamo si chiamerà Skyland, ma in nessuna parte del volume è precisato questo piccolo dettaglio. Questo libro non è fine a sè stesso. Inizia a farsi interessante verso la fine (quando il ritmo da veloce diventa incalzante) e poi viene interrotto, come un pilot di un telefilm, con un machete, lasciando tutto sospeso e non concludendo alcunchè.
Non sappiamo voi, ma a noi queste cose fanno innervosire mica poco. Sconsigliamo perciò la lettura a chiunque gradisca leggere un libro che racconta qualcosa e che abbia anche una conclusione.