Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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Strane creature – T. Chevalier
Dopo aver letto e recensito l’opera prima dell’autrice Tracy Chevalier, La vergine azzurra, abbiamo quadrato il cerchio con l’ultimo in ordine di tempo, Strane creature. Il progresso nell’abilità narrativa l’avevamo già notato con le altre opere intermedie, uno tra tutti il celebre Ragazza con l’orecchino di perla; in effetti la lettura consecutiva di questi due romanzi, così diversi eppure così affini, hanno creato casualmente un binomio singolare.
In questo libro si narra la vita di due ragazze nella metà dell’Ottocento, diverse per età ed estrazione sociale, ma accumunate da una grande passione, che trascende anche le convenzioni sociali dell’epoca: la caccia dei fossili. Si trovano infatti a Lyme Regis, zona marittima del sud dell’Inghilterra, rinomata per i grandi e ricchissimi giacimenti di fossili. Attraverso le esperienze di vita delle sue donne negli gli anni di amicizia, scopriamo uno spaccato di vita quotidiana in questi paesini sperduti agli albori delle prime scoperte di animali fossili. Ma alla lettura attenta, tutto il libro è un espediente, per narrare gli effetti sociali e religiosi che queste scoperte hanno avuto sulla visione del mondo e sulle certezze dell’epoca.
Che animali sono, questi intrappolati nella roccia? Come ci sono finiti dentro le scogliere? Quindi il mondo e la vita non è immutabile come è descritto nella Bibbia? Quindi è possibile che gli animali fossili appartengano a specie che ora non esistono più? E pertanto questo potrebbe voler significare che Dio ha permesso l’estinzione di creature così particolari?
Oggi queste domande hanno trovato risposte ampiamente riconosciute e supportate, ma in quell’epoca, in cui la scienza era legata a doppio nodo con la religione e in cui bisognava fare molta attenzione alle domande che ci si poneva, pena la scomunica per eresia, queste scoperte hanno creato un sommovimento nei cuori delle certezze di tutti, anche le persone più umili.
Su questi temi si aggira con la consueta grazia la Chevalier, con il suo ormai rodato espediente della narrazione in prima persona, intervallando nei capitoli la voce dell’una e dell’altra.
Abbiamo trovato questa lettura molto piacevole e rilassante, sebbene alcuni della Legione l’abbiano trovato un po’ lento e con poco ritmo. In effetti gli eventi sono sempre piuttosto sottotono, nulla di eclatante, ma d’altra parte tutto è rimasto nel contesto e i fatti si susseguono con la frequenza appropriata, mantenendo sempre vivo l’interesse del lettore. Notevole anche lo stile narrativo, che modifica la voce narrante in base al personaggio che si esprime, quindi con toni posati e istruiti per la donna di buona famiglia, e con toni popolari e infantili per la ragazza popolana.
Insomma, un altro ottimo romanzo della Chevalier che consigliamo di leggere.
L’ultima riga delle favole – M. Gramellini
Gramellini conferma quotidianamente un punto fermo del giornalismo; la sua abilità di sintesi e la finezza di percezione è ben nota: i suoi Buongiorno su La Stampa sono un appuntamento fisso per chi ama leggere le notizie note e meno note commentate con arguzia, sensibilità e leggera ingenuità che costituiscono la firma di questo giornalista. Va da sè quindi che la pubblicazione del suo primo romanzo abbia suscitato interesse e aspettativa nel grande pubblico. L’ultima riga delle favole mette il lettore sull’ordine di idee di una storia romantica e un po’ fiabesca, come spesso Gramellini ama vedere il mondo dei sentimenti. Ciò che invece si riscontra tra le pagine è tutt’altro genere, che forse lascia un po’interdetti.
Tomàs vive, anzi sopravvive, costantemente schivando il rischio di innamorarsi sul serio di qualcuno. E’ maestro nell’arte della seduzione, ma non appena si concretizza l’eventualità di esporsi e di mettersi seriamente in gioco, fugge, più o meno consapevolmente. Finchè un giorno finisce in mare. Un attimo prima di morire annegato, formula un pensiero potente: il desiderio mai sopito, nonostante tutto, di trovare l’anima gemella. E un’immagine si disegna nella sua mente: il volto di una ragazza, Arianna, conosciuta qualche giorno prima, l’ultima di quelle ragazze sfiorate e da cui è fuggito.
Annegando, si risveglia in una nuova dimensione, dentro sè stesso, dove affronterà un cammino di consapevolezza, fronteggiando i suoi fantasmi e sanando le sue ferite, perdonando e perdonandosi, per arrivare finalmente a scoprire il talento che alberga in lui, amandosi e trovando quindi il coraggio di accettare in sè l’amore della persona giusta senza temere di perderla.
L’impostazione non è quella del più classico romanzo di formazione, bensì quella della metafora simbolica su cui si basano spesso i cosiddetti libri di autoaiuto e di autocoscienza (come ad esempio Questo libro ti salverà la vita, che abbiamo letto tempo fa), in cui non esiste una trama vera e propria, ma che si incentra sull’evoluzione interiore del personaggio, suggerendo al lettore che anche lui, disilluso e sfiduciato da se stesso e dall’amore, potrà prendere coscienza di sè e finalmente accettarsi ed accettare la risonanza di due anime gemelle.
Non possiamo affermare che questo libro sia “brutto”, anzi, l’autore è stato molto attento al lessico utilizzato e ogni frase è pianificata con precisione. Inoltre non è semplice riuscire a trasmettere concetti così particolari e psico-filosofici al lettore e riuscire a coinvolgerlo fino a condurlo al termine dell’opera, e lui comunque ci riesce benissimo. Però, secondo noi, il successo di questo libro (più di 200.000 copie vendute) è da addebitarsi principalmente alla notorierà dello scrittore e all’aspettativa che si è costruita sull’opera. Libri così strutturati che trattano in tal senso questi argomenti, solitamente vengono considerati di difficile lettura dal grande pubblico, tendendo ad essere apprezzati da una nicchia di lettore particolarmente interessati alla tematica.
In conclusione, possiamo dire che Gramellini resta uno scrittore di talento, sensibile e dall’indole pura e romantica, che ha deciso di esprimere il suo sentimento verso l’Amore in un libro complesso, con aspirazioni educative e filosofiche che forse non tutti sapranno apprezzare.
Nihal della terra del vento – L. Troisi e considerazioni sul fantasy italiano
Avremmo potuto evitare di affrontare questa lettura. E anche se proprio avessimo desiderato toglierci questa curiosità, avremmo potuto risparmiarci la recensione: la rete è piena di commenti pungenti e estremamente dettagliati sulla opera della Troisi, noi stessi ne ospitiamo già uno scritto da RM (qui la recensione). E invece no: contro ogni ragionevole logica, abbiamo letto questo famigerato volume, il primo episodio delle Cronache del Mondo Emerso: Nihal della terra del Vento.
Perchè? Perchè noi stessi più volte vi abbiamo fatto riferimento come pietra di misura (o dello scandalo) di quel gran mischione che esiste sotto il nome di Fantasy Italiano. La Troisi in quanto scrittrice, e Nihal della terra del Vento in quanto suo primo volume delle varie saghe del Mondo Emerso, hanno segnato e segnano un punto esemplificativo dello stato dell’arte di questo genere, attorno al quale lo stesso si è declinato in varie sfumature. Siamo ancora in attesa di leggere qualcosa di valore, qualcosa che sia in grado di trasmettere emozioni e suggestioni, qualcosa che sia scritto con cognizione di causa.
Per il momento non abbiamo trovato nulla del genere, certamente non nelle produzioni italiane mainstream. Questo capitolo delle Cronache non fa eccezione, sebbene, forse, riesca ad elevarsi da pantano dell’orribile soggiornando nello status di “meno peggio”.
Potremmo elencare i numerosi difetti di questo libro, ma desideriamo dare un approccio diverso. In che modo un fantasy più che mediocre potrebbe diventare indimenticabile (anche per un pubblico adulto: l’entusiasmo adolescenziale è una risorsa economica notevole ma non è particolarmente indicativo di qualità)?
Con una storia avvincente e originale, in prima battuta. Il fantasy per sua natura dovrebbe essere il genere per eccellenza che permette di lanciarsi in arditi voli di fantasia, appunto. Osare con una storia innovativa, sfaccettature mai viste, colpi di scena. Ricordiamo i libri della De Mari: magnifici scenari fantasy proprio perchè i suoi romanzi NON sono stati creati in funzione dei princìpi del fantasy, ma affondando le radici nella psicologia. Risultato: una storia avvincente, imprevedibile ed incredibilmente emozionante.
Potremmo anche citare il nostro sempre apprezzato Everlost, il cui intero concept brilla per originalità.
La Troisi bazzica in una storia che sa di minestra riscaldata, pesca un po’ da Tolkien, mette qualche brusco cambio di rotta ma non riesce mai completamente ad afferrare il lettore, che resta sempre piuttosto passivo. Arrivando al termine del libro non si ha particolare desiderio di vedere come proseguirà la vicenda.
Cos’altro occorre? Personaggi memorabili. Questo elemento probabilmente andrebbe posizionato al primo posto in ordine di importanza, in quanto, come disse l’Autore Saggio, sono i personaggi che fanno la storia, e non viceversa. L’autore conosce fino in fondo la propria creatura, conosce anche quello che non racconterà, perchè lo farà trasparire dalle sue azioni. Personaggi veri con difetti veri, vivi, pensanti.
Nihal, Sennar, Soana: tutti i personaggi presenti nel romanzo della Troisi sono identici tra loro, non hanno voce, non hanno spessore. Nihal in particolare, che dovrebbe essere la nostra eroina, viene proposta come una guerriera implacabile ma al contempo una piagnona insensata, una calamità naturale in libera uscita, con una spiccata attitudine a fare cose stupide ed immotivate, lasciandole senza contesto e senza perchè.
Cos’altro ancora? Beh, lo stile. La storia migliore del mondo, con personaggi brillanti e vividi, staranno sempre nel pozzo della mediocrità se verranno raccontati con una voce mediocre e senza stile. Non ci si improvvisa scrittori, nemmeno di fantasy, anzi: per rendere credibile la propria creatura bisogna documentarsi, perchè sono i dettagli a fare la differenza. Se si vuole incentrare un romanzo sull’aspetto del combattimento, occorre almeno sapere come sono fatte le armi, come si impugnano e si maneggiano, come si effettua un corpo a corpo. Si studiano i tempi, i ritmi, si impara la terminologia, si *osserva* e si cerca di riprodurre a parole. Se intendo creare il mio mondo basandomi su principi scientifici seppur manipolati, sarà bene essere informato su questi principi che voglio sovvertire.
Nel libro della Troisi manca tutto questo: manca la documentazione alle spalle di quello che scrive, ma manca anche lo stile evocativo in ciò per cui avrebbe gli strumenti di descrivere. La città verticale di Salazar, per esempio. Ci fa mancare completamente gli strumenti per vedere questa torre, e di fatto non la vediamo e non capiamo come sia strutturata (e il giardino al fondo della torre? Si è mai fatta un disegnino? Un giardino interno ad una torre sarebbe ben umido e poco rigoglioso per la scarsità di sole…). La narrazione è frettolosa ed accozzata, in più di 300 parine succede di tutto e di più, e al lettore mediamente interessato alla fine del libro non rimane quasi nulla nella memoria.
Insomma, probabilmente ne avrete abbastanza e di certo ne abbiamo abbastanza noi. Ci va talento per scrivere un romanzo degno di essere letto, anche per scrivere un fantasy, che ha la fama della Cenerentola dei generi letterari (basta una spada, un buono, un cattivo, un po’ di magia e il fantasy è fatto, che ci vuole?). Il problema, riteniamo, sta anche nella scarsità dei buoni esempi al momento. In mancanza di questo, ci si improvvisa (se la Mondadori ha pubblicato lei, posso farmi pubblicare qualunque cosa!)e probabilmente l’aspetto più utile è l’autocritica.
Nonostante tutto, vi consigliamo di leggere questo libro, se avete tempo da spendere, perchè tutto insegna, anche i cattivi esempi.
La vergine azzurra – T. Chevalier
Cos’hanno in comune una giovane donna vissuta nella metà del Cinquecento in Francia, nel pieno del movimento Calvinista e un’ ostetrica americana del Ventesimo secolo appena trasferitasi dalla California e ossessionata da un incubo in cui è avvolta dall’azzurro? Da questa domanda si dipana la storia de La vergine azzurra, primo romanzo della nota Tracy Chevalier della quale abbiamo già parlato più volte (La ragazza con l’orecchino di perla e La dama e l’unicorno). Grazie a questo esordio, la Chevalier è riuscita a conquistare l’interesse mondiale, preparando il terreno per i successivi best sellers. La trama è certamente interessante, narrata già con la maestria che l’ha portata al successo come la migliore scrittrice storica contemporanea. Inoltre è proposta in una forna narrativa molto originale ed accattivante, seguendo due linee temporali parallele ed intervallandole tra loro: la vicenda di Isabelle nel Cinquecento in terza persona e la storia di Ella ai giorni nostri espressa in prima persona. Il salto tra le due storie avviene di capitolo in capitolo, ma questo non distruba il lettore, anzi, permette di seguire meglio l’intreccio senza smarrirsi, costruendo un legame tra le due protagoniste. Di per sè è un buon romanzo, ma dobbiamo ammettere che ci ha lasciati un po’ delusi, specie a confronto delle opere d’arte di cesello alle quali ci siamo abituati con le sue produzioni più recenti. L’impostazione e la strama sono interessanti ed accattivanti, come dicevamo, ma abbiamo riscontrato poco mordente e poco ritmo, per lo meno in gran parte del libro. Se la storia di Isabelle è drammaticamente verosimile e non banale, perfettamente immersa nella realtà cruda dell’epoca, la vicenda di Ella risulta piuttosto prevedibile, per poi sfociare nell’assurdo verso la fine. Per non parlare poi di tutto il tratto finale del libro (che non vi spoileriamo) che abbiamo trovato parecchio di cattivo gusto e poco credibile, e l’epilogo, in cui Ella dice cose che non può assolutamente conoscere. D’altra parte, se si lo considera come il primo sforzo letterario dell’autore, possiamo riconoscerle certamente una crescita esponenziale di qualità, creatività e abilità narrativa e lessicale.
Un buon libro insomma, da leggere per chi apprezza la scrittrice, ma che al primo approccio potrebbe essere un po’ deludente e poco significativo.
Uomo nel buio – P. Auster
La mente di un uomo solo, insonne, avvolto dal buio come da una coperta e immerso nel dolore, dentro e attorno a sè. Di questo tratta il romanzo di Paul Auster, Uomo nel buio. Un libro breve, un flusso ininterrotto di pensieri in una notte come tante, troppe, prima di quella.
Un libro di pensieri raccontati. Non esistono dialoghi, non come quelli a cui siamo abituati, solo un flusso continuo di frasi, perchè in fondo, l’uomo nel buio sta parlando con sè stesso.
L’uomo insonne è un anziano scrittore, che cerca di impegnare la sua mente affaticata dal dolore, distogliendola dai pensieri che sono in agguato in attesa di balzargli addosso dagli angoli della sua coscienza. Per tenerli buoni, si racconta delle storie, e Auster ce ne fa vedere una, che parla di assurdità: di guerra e di mondi paralleli. Ma quando anche questa storia inventata finisce (male), i ricordi ed i pensieri tornano a farsi feroci, in attesa che spunti nuovamente il sole. Quindi il nostro scrittore ci/si racconta aneddoti di vita normale, delle intere giornate trascorse a guardare film con la nipote, anche lei alla deriva su un mare di lacrime. E pian piano, con lo scorrere della notte, finalmente il dente viene tolto, almeno per quella volta. In una sola pagina vediamo l’orrore che hanno vissuto, con semplicità e crudo realismo, e capiamo perchè il loro rifugio possa essere cercato solo al buio e nell’assenza di pensiero.
Auster ci propone un libro terribile nella sua disgraziata normalità, ci mostra quanto orrore possa entrare da un istante all’altro in una vita qualunque, anche la nostra.
Questo libro sembra narrare una storia molto semplice, invece facendo attenzione ai dettagli, lo scopriamo carico di simbolismi: il buio, il dolore, la guerra, la morte, la forza e la pericolosità dei ricordi, per poi finire all’alba, con un velo, anche se tenue, di speranza.
Un ottimo libro, da leggere con cura e attenzione. Coinvolgente da mettere i brividi, per quanto sia semplice e minimalista.
Rapsodia su un solo tema – C. Morandini
“Compositori che parlano di altri compositori che parlano di altri compositori ancora”, così dice la quarta di copertina di questo libro di Claudio Morandini, Rapsodia su un solo tema – Colloqui con Rafail Dvoinikov. Ammettiamo di essere partiti un po’ con la sensazione di andare a leggere qualche cosa di molto serio, un saggio sulla musica e una biografia di un compositore che, confessiamo, non avevamo mai sentito prima. Quando lo abbiamo mostrato agli altri della Legione, molti nasi si sono arricciati, non di sufficienza o scetticismo (mai!) ma di senso di inadeguatezza: la mancanza di preparazione sul tema ci avrebbe permesso di arrivare a capire l’opera fino in fondo?
La risposta è stata: sì, siamo rimasti piacevolmente smentiti su tutti i fronti di dubbio.
E’ un libro incentrato sulla musica, è chiaro, e in molti tratti si scende veramente nello specifico, ma la nostra ignoranza in materia non ci ha precluso la lettura, anzi, ci ha incuriosito, facendoci venire voglia di approfondire e capirne di più.
E poi, attorno alla musica si sviluppa un corollario narrativo veramente singolare, per la forma e contenuti.
L’autore con abilità e creatività ricrea una sorta di raccolta documentale di frammenti attorno agli incontri del protagonista, Ethan, con il compositore russo, il suo diario, trascrizioni di documenti, analisi di composizioni, in un caos soltanto apparente, che intervalla la narrazione biografica del compositore con le annotazioni dell’intervistatore.
Il tono, poi, è tutt’altro che serioso: in particolare gli stralci di diario scendono nella vita comune con una ironia così misurata e calibrata da risultare perfetta. E’ curioso anche l’uso delle note a piè di pagina, vengono utilizzate come incisi, a volte come annotazioni del protagonista indirizzate a sè stesso, a volte come postille per il lettore, a volte come parentesi e digressioni sul tema principale.
Sebbene il libro spacci sè stesso come un omaggio ad un grande compositore russo bistrattato e ignoto ai più, di fatto l’autore presenta come protagonista assoluto Ethan, l’intervistatore, al contrario di molti altri romanzi con lo stesso espediente narrativo (ad esempio Intervista con il vampiro) in cui l’intervistatore sparisce in favore della storia raccontata. Ethan invece, inframmezza tutto, anche le stesse parole riportate di Dvoinikov, con le sue osservazioni e le sue note.
Infine, ma non per importanza, la prosa. Semplice, ricca di ritmo, ma grammaticalmente elaborata e complessa, con periodi lunghi ma sempre sicuri e precisi, segno di evidente abitudine con la parola scritta.
Una nota anche per l’edizione: perfetta, non abbiamo trovato un solo errore di battitura, un refuso di stampa o altro, e di questi tempi è quasi un miracolo anche per le case editrici più famose.
Insomma, un volume degno di nota e di lettura, anche da parte di chi la musica l’ascolta soltanto e la ama, in qualunque forma appaia.
Mucchio d’ossa – S. King
Lessi questo libro tanti anni fa e da allora ne ho sempre conservato un ricordo da definizione da copertina: una bellissima e tragica storia d’amore. Ricordavo con particolare chiarezza gli aspetti più struggenti dell’amore tragicamente interrotto del protagonista Mike Noonan nei confronti della sua defunta consorte Johanna, incastonato in un contesto più o meno nebuloso di fantasmi e presenze incorporee.
Qualche giorno fa ne parlavo con una collega, che aveva apprezzato il libro ma nel quale aveva rilevato particolarmente l’aspetto carnale della storia, aspetto che io non ricordavo affatto.
Mossa quindi dalla volontà di riscoprire un libro in ogni caso notevole, ho ripreso in mano Mucchio d’ossa, probabilmente uno dei migliori romanzi nel nostro sempre mitico Re del Brivido.
Il risultato di questa seconda lettura è stato interessante ed ha confermato quello che molti esperti hanno spesso sostenuto: un bel libro contiene principalmente quello che il lettore ci vuole vedere.
La rilettura ha messo in evidenza al mio occhio più maturo la trama, che è molto intricata e per niente semplice da seguire (chi non si è mai perso attraverso gli alberi genealogici?) e ha fatto risaltare tutti gli aspetti torbidi della vicenda: le presenze incorporee (o quasi), la potenza dei ricordi, la vendetta, l’istinto e, naturale e sempre presente nei libri di King, la crudeltà umana portata al parossismo e incarnazione di ciò che c’è di Male in ciascuno.
L’aspetto romantico è presente, sì, ma quello che più mi ha coinvolto questa volta è stato l’amore praticamente paterno che il protagonista Mike riversa sulla piccola Kyra, questo amore, esatto fulcro non dichiarato dell’intera vicenda.
E’ vero, i bei libri comunicano con chi li ha in mano, ma al contempo diventano specchi che permettono al lettore di vedervi riflessi i propri pensieri e sentimenti, dandogli forma e sostanza, anche se attorno alle circonvoluzioni di lettere e punteggiatura.
Questo libro esce un po’ dal seminato horror di King, ma non di molto e comunque non lo lascia rimpiangere: unisce abilmente amore e morte, coinvolgendo il lettore in spirali sempre più strette di ansia ed apprensione. La parte finale è comunque estremamente Kinghiana, forse addirittura in eccesso, stonando un po’ nei confronti di un contesto così abilmente cesellato, ma glielo si può perdonare: dopo 600 pagine di romanzo, il finale col botto è più che gradito.
In conclusione, Mucchio d’ossa è e resta uno dei prodotti migliori usciti dalla mente maleducata di King, complesso e ponderoso ma toccante e coinvolgente come pochi altri. Da leggere assolutamente.
Recensione scritta da Sayu
Ti interessa questo libro? Compralo su Amazon! Mucchio d’ossa
Un giorno perfetto – E. Warner
Abbiamo letto con piacere questa piccola raccolta di poesie di Ed Warner, intitolata Un giorno perfetto. I versi sono quasi ermetici, caratterizzati dal gioco di allitterazioni e suoni ripetuti, parole inventate o piegate alla necessità poetica per assonanza o evocazione. Le composizioni traggono ispirazione dalla vita quotidiana, dall’umanità che si incontra per strada, dall’amore e la passione, con sensibile originalità.
Qui di seguito alcuni frammenti che ci hanno colpito particolarmente.
[...]
Deboli siamo
se c’è la tempesta
non miglioriamo nei giorni di festa
vittime stanche
di chi ha ucciso
con l’arma potente
di un bel sorriso.
Donami l’attimo
prima del sogno
lo porterò come un ciondolo
mentre l’attimo muore.
Alla fine di un numero
misurerai il mio amore.
Ferma, se puoi, l’attimo
prima del sonno
in cui nasce il risveglio
alba di un nuovo giorno.
Tra le pieghe di un segno
avrà inizio quel sogno.