Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
Archivio del 2009
Rose Madder – S. King
Abbiamo rispolverato questo romanzo, certamente non dei più recenti, che ci pareva di aver letto in passato ma che non ricordavamo per nulla.
In effetti qualcosa ci era sfuggito, perchè rischiavamo di dare per letto un romanzo per il quale valeva certamente la pena di impiegare il tempo.
Rosie, una giovane moglie piegata da un marito intrattabile, sadico e violento, dopo 14 anni riesce a svegliarsi dal suo torpore e lascia casa e consorte.
Inizia così un lungo e difficile percorso nel quale cerca di crearsi una nuova esistenza ed un futuro, mentre Norman, il marito abbandonato, scende sempre di più in lunghe spirali di follia per cercare la sua vendetta. (Qui la trama completa del romanzo, molto molto spoiler)
Come a volte accade nei romanzi di King, questo è un romanzo horror, ma non fino ai punti che ci si potrebbe aspettare. L’aspetto soprannaturale è importante, cruciale, senza dubbio, ma il vero orrore, il vero incubo che King riesce ogni volta a somministrare, non è costituito da questo. Il vero terrore è l’abisso delle menti umani malate, il sadismo, la vessazione, la prevaricazione, i modi sempre nuovi in cui un uomo può ferire e far soffrire. La dimostrazione di quello che l’uomo in quanto tale è in grado di partorire, il mostro aberrante che è in grado di diventare.
Questo romanzo è anche una fiaba simbolica che disegna in teneri tratti la rinascita di una donna che dapprincipio non possedeva nemmeno una descrizione fisica, per poi diventare bellissima, con doti insospettate, in grado di amare e di farsi amare da un uomo per bene. In grado di difendere quello che con dolore ha conquistato, in grado di vivere, più semplicemente, la vita che si merita. Una specie di dolce riscatto per tutto quello che ha dovuto patire. Questa è una caratteristica abbastanza comune nei romanzi di King, una specie di leitmotiv che addolcisce certi tratti di crudezza: ci comunica che nella sua ottica il Male a senso unico, immotivato, è raro, e che se avviene per contro ci sarà una riscossa, un lieto fine, la vittoria del Bene, per farci dormire sonni tranquilli dopo tanto orrore.
Infine, carino il gioco di parole con il titolo: il nome si riferisce ad un personaggio ben preciso nella trama e in inglese è il nome proprio di un colore, il “rosa di robbia”, ma vogliamo notare l’assonanza con la parola “madness”, pazzia? Nulla è per caso, Fedele Lettore.
Il cavallino bianco – E. Goudge
Come avevamo preannunciato qui, dopo aver visto il film Moonacre, I misteri dell’ultima luna, siamo riusciti finalmente a leggere il romanzo dal quale è stato tratto.
La copertina del libro risulta ristampata e ridisegnata per l’occasione, modificandone inoltre il titolo per farlo meglio associare al film, con tanto di fascettina pubblicitaria sulla sovraccoperta e locandina.
Ok.
Peccato che alla lettura saltino agli occhi tali e tante discrepanze da risultare praticamente due storie diverse. Solo i personaggi sono nominalmente gli stessi, e nemmeno tutti, le descrizioni di ciascuno sono travisate, anche nei semplici stati d’animo e peculiarità caratteriali. La stessa trama è cosa altra rispetto al romanzo, inventando e creando cose, vertendo su dettagli infinitesimali e tralasciando ampie argomentazioni.
Non si può certo sospettare che chi ha amato in verde età questo romanzo (scritto nel 1946 e dal quale traspare con evidenza l’allegoria della guerra e la ricerca spasmodica di felicità, tranquillità e pace) si sia ritrovato soddisfatto dopo aver guardato il film. Anzi, ci pare di sentire l’unanime voce: “Scusate, ma che libro avete letto?”.
Preso da solo, Moonacre può essere considerato, come dicevamo, una gradevole visione; alla luce del romanzo originale, che quindi ha indubbiamente più diritto di riconoscimento che non l’opera più recente, il film, lo script, il casting risultano brillanti per la loro inappropriatezza.
Parlando esclusivamente del romanzo, “Il cavallino bianco” è una favola d’altri tempi, dove l’atto di più abominevole violenza è l’abigeato e riempirsi lo stomaco il più ed il meglio possibile è l’obbiettivo fondamentale di ciascun essere vivente.
A tratti stucchevole per il suo ribattere sul tema della felicità, questo romanzo può essere certamente consigliato ad un pubblico molto molto giovane, non oltre i 12 anni, perché solo a quell’età è possibile soprassedere sulla prevedibilità ed i cliché, abbandonandosi ad una storia “buona”, che lascia un sapore di zucchero sulla lingua quando si chiude il libro e si va a dormire.
Un grido fino al cielo – A. Rice
Chi pensa di prendere indifferentemente un libro qualunque della Rice e di trovarvi dentro un vampiro, questa volta sbaglia di grosso. Non possiamo dire di conoscere approfonditamente e esaustivamente tutto il suo repertorio, ma per ora questo è il primo romanzo che ci capita di aprire e nel quale non troviamo alcun riferimento al mondo vampirico e affine.
Siamo rimasti piacevolmente stupiti da questa assenza, che comunque non si fa rimpiangere.
La Rice, come ci ha già abituati, ci parla in modo ricercato e barocco (nonchè ben documentato) dell’Italia del 1800, di musica e della vita tormentata e ricca di contrasti che avvolgeva l’immagine di quelle strane ed intriganti creature che erano i castrati.
Sottoposti al coltello alle più svariate età, addestrati ad essere perfette voci angeliche, duttili e flessibili ben di più di qualunque voce naturale terrestre, anche quella femminile. Con la crescita, che risultava poi modificata ed innaturale a causa dell’operazione, la voce poteva anche perdersi e guastarsi: in quel caso il ragazzo tagliato diventava un essere senza speranza e senza futuro, precluso al matrimonio ed a tutti gli ordini religiosi, diseredato dalle famiglie in quanto impossibilitato a procreare, inutile dal punto di vista della carriera lavorativa, vista la debolezza fisica, la costituzione esile e il mancato addestramento a qualunque attività diversa dall’apprendimento della musica.
In questo contesto si inserisce la storia di due giovani, Guido e Tonio, che hanno fatto dell’amore per la musica l’unica ragione di vita e la molla, poi, per far vivere un affetto profondo anche tra loro.
Un romanzo indiscutibilmente crudo e toccante, che tratta argomenti che non sono molto frequenti sebbene affascinanti.
Un inno all’amore, inteso come motore di ogni azione buona dell’uomo, in grado di dare giustizia anche a coloro che sentono di non avere più un futuro ed un motivo per esistere.
Cronache del Mondo Emerso – Nihal della Terra del Vento
Autore: Licia Troisi
Trama: il Mondo Emerso è sotto una grave minaccia. Il Tiranno, potente mago, utilizza il proprio potere e il proprio esercito per distruggere tutti i popoli che vivono attorno a lui. Nihal è una giovane mezzelfa sopravvissuta alla strage del proprio popolo. È l’ultima della sua razza. Forse è l’unica speranza per le Terre Libere.
Prendere in mano questo libro dopo aver letto almeno altri quindici titoli fantasy, tra cui The Lord of the Ring, è un po’ sconcertante. Un po’ perché l’autrice è italiana, cosa abbastanza strana nel panorama contemporaneo del genere, un po’ perché è da qualche tempo che sono convinto che dopo l’opera di Tolkien non sia stato scritto poi questo granché. Eppure, memore delle emozioni che il fumetto mi ha suscitato, decido di dare lo stesso una speranza all’opera della Troisi. Non c’è che dire: questo primo volume delude pienamente ogni speranza.
Anche se nell’edizione che ho letto non è presente una mappa, ho avuto modo di vederla in libreria nel tomo contenente tutta la trilogia (ma chi se lo compra? Pesa un quintale, troppo scomodo…) e non ho potuto non sospirare deluso: la mappa delle Terre Emerse è uguale a quella della Terra di Mezzo. Così com’è uguale a quella di ogni altro mondo fantasy. Ma cristo, è così difficile immaginarsi un mondo che abbia la forma delle terre attorno al mar Mediterraneo, per dire? Evidentemente si. Ma non diamo un peso eccessivo a questa -in fondo- sciocchezza e dedichiamoci alla lettura. Dio mio.
Lo stile della Troisi, bisogna ammetterlo, è molto leggero e scorrevole. Nonostante qualche scelta grammaticale decisamente dubbia nei primi capitoli, si lascia leggere facilmente. Un linguaggio moderno, molto efficace a trasmettere nell’immediato le immagini che l’autrice ha in mente. Ma forse proprio qui sta la debolezza di Licia Troisi: lo stile è troppo leggero, troppo moderno. Non è capace di coinvolgere chi sia anche solo leggermente avvezzo al genere fantasy e manca di quel mordente che possiamo trovare nei titoli -assolutamente non più originali della Licia, per carità- di autori come Terry Brooks. Inoltre la trama è portata avanti con tante di quelle lacune che, a voler fare associazione di idee, non possiamo non pensare all’Emmentaler. Sebbene migliori vero la fine, questo primo volume è un’accozzaglia di già letto semplicistico, raccontato abbastanza male e assolutamente poco coinvolgente. Senza contare che certe frasi che dovrebbero risuonare epiche lasciano invece un’impressione di copia&incolla da chissà quale altro tomo degli anni ‘60.
Se non altro, il crescendo stilistico degli ultimi capitoli -che non sembrano scritti dalla stessa persona, nonostante siano ancora decisamente carenti soprattutto sul lato della coerenza- fa presagire qualcosa di buono per gli altri due volumi della serie.
E si che li leggerò, perché la letteratura per tutti non ha mai fatto male a nessuno. Eppoi voglio vedere se la letteratura fantasy italiana ha toccato il fondo o può ancora scavare.
qualcuno ha fanno una stroncatura di gran lunga più precisa della mia. merita.
Recensione scritta da: RM
Il giardino delle vergini suicide – diretto da S. Coppola
Avevamo questo film nella lista di quelli da vedere da molto tempo. Siamo stati incuriositi da questo titolo per diverse ragioni. Prima tra tutte il fatto che la regista sia cotanta figlia d’arte e che certamente il suo primo film abbia attirato molta attenzione da parte del pubblico.
Secondariamente, sono stati i nomi di alcuni degli attori principali, notissimi, ad attrarci: James Woods nella parte del signor Lisbon, marito di una angosciante Kathleen Turner, (paradigma dell’asserzione artistica “Non ci sono piccole parti ma solo piccoli attori”: la parte della madre Lisbon è molto molto piccola, ma è su di essa che si impernia l’intera vicenda. L’interpretazione è risultata magistrale), Kristen Dunst nella parte di Lux, una delle sorelle fulcro della storia e un semisconosciuto Josh Hartnett nella parte del rubacuori scolastico di turno.
Il film non ha deluso le aspettative. E’ stato tratto da un romanzo di Eugenides Jeffrey del quale avevamo già sentito parlare abbastanza bene in termini piuttosto particolari.
Infatti, il film come nella narrazione del romanzo, si incentra, sì, sull’ultimo anno di vita delle cinque sorelle Lisbon, ma sempre e solo attraverso gli occhi di chi le ha conosciute, incrociando anche solo per qualche ora le loro esistenze. E’ un espediente narrativo decisamente particolare, che ben si attaglia al tema trattato: queste cinque giovanissime donne, tutte bellissime e solari, di fatto tenute sotto la campana di vetro di una madre accentratrice e di un padre perfettamente passivo.
Un gruppetto di ragazzi vicini di casa narra le loro vite in declino come in un reportage, per il quale raccolgono informazioni ed indizi in maniera quasi maniacale, asserendo continuamente quanto quelle cinque ragazze abbiano segnato la loro vita per sempre.
“Il giardino delle vergini suicide” è senza dubbio un film drammatico, ma distaccato, che espone i fatti in ordine cronologico, analizzandoli e cercando di trovare il motivo effettivo per quegli insani gesti che alla fine tutte e cinque compiono. E fa riflettere su come questa storia sia verosimile, su come è possibile che il male di vivere si celi anche dietro il sorriso più dolce di una fanciulla nel fiore della giovinezza.
Moonacre, i segreti dell’ultima luna – diretto da G. Csupo
Abbiamo visto questo film dopo averne sentito parlare per 30 secondi nel relativo trailer, qualche mesetto fa. Veniva precisato che era il film tratto dal romanzo “che ha ispirato Harry Potter”, così, oltre ad aver messo in wishlist il libro relativo (The Little White Horse di Elizabeth Goudge, opera divenuta fondamentale per generazioni di adolescenti dalla pubblicazione nel 1946 e che ci siamo appena procurati), ci siamo impegnati a ritagliare qualche ora per vedere il film.
Ecco, se una cosa è certa, questo film, né la storia che viene narrata, ha alcunché a che vedere con Harry Potter. Ma proprio niente niente eh, al più l’unica attinenza è il genere, fantasy per ragazzi.
E questo è tutt’altro che un difetto.
Questo film, nonostante le aspettative non proprio entusiasmanti, ci è piaciuto sinceramente.
E’ una favola in costume, ma che potrebbe avere luogo in qualunque epoca. Non ha particolari caratteri innovativi, ma è fresco, scorrevole, appassionante.
Dallo stretto punto di vista cinematografico, abbiamo apprezzato moltissimo la notevole cura della fotografia, la scelta delle location, gli ambienti affascinanti, gli abiti assurdi ma al contempo perfettamente integrati nel contesto di favola: lunghissimi strascichi di velluto cremisi in abiti all’imperiale, l’”effetto principessa” è immediato (certo che vedere il suddetto strascico portato a spasso in giro per una foresta… Vabbè, è pur sempre una fiaba!).
E come ogni fiaba con profumo fantasy, non può non essere basata su un qualche tipo di allegoria. In questo caso è evidente il messaggio ecologista e ambientalista, nemmeno poi troppo celato, ma che non stona affatto e anzi permea tutta la storia di uno scopo ben preciso.
Molto buono il casting, la ragazzina che interpreta Maria (vista piccolissima ne “La guerra dei mondi”) ha un volto molto espressivo, incorniciato da una cascata di riccioli rosso naturale che è una caratteristica piuttosto inconsueta per le attrici in circolazione.
Gli altri personaggi vengono giustamente interpretati come estremi, clichè ben delineati, figure stilizzate e chiare nella storia: il principe azzurro dal cuore indurito per l’amore perduto, la principessa decaduta ancora prima di salire al trono, il cattivo cattivissimo (vestito di nero e dal nome De Noir), il ragazzo scapestrato ma dal cuore d’oro.
Per quest’ultimo, Robin, siamo rimasti deliziati dalla citazione, non sappiamo quanto volontaria, per la scelta della veste di scena: bombetta nera, trucco scuro attorno agli occhi e sguardo spiritato, zazzera disordinata e giubbotto aderente. All’apparire suo e della sua cricca, ci è venuta in mente “Arancia Meccanica” in versione dark (ed edulcorata, ovviamente).
Infine, una nota agli effetti speciali, di tutto rispetto. E la scena finale, quella della cavalcata di centinaia di bianchi destrieri (no spoiler, ci fermiamo qui)… varrebbe da sola tutto il film!
Insomma, bello, un bel film fantasy per ragazzi, senza dubbio il libro promette di essere molto migliore, ma siamo stati piacevolmente impressionati da questa piccola perla (guardate in film per capirla) che si inserisce in un contesto dove sempre più spesso la fanno da padrone i soli effetti speciali a discapito di una trama interessante.
After Dark – H. Murakami
Trama: le due sorelle Mari ed Eri si muovono nella notte. Eri cerca di sfuggire alla prigione della propria coscienza in un lungo sonno profondo che dura ormai da due mesi. Mari non sopporta la condizione della sorella e fugge nell’oscurità della notte. Le loro storie si intrecciano con un osservatore obiettivo, con un jazzista che vuole fare il giudice, con l’amministratore di un love hotel.
Dopo tanti titoli, un po’ dovremmo essere abituati allo stile di Murakami. Eppure com’è che ogni volta in un modo o nell’altro qualcosa di lui ci sorprende? A differenza degli ultimi titoli, After Dark è una storia quasi breve, che se raccolta in un economica non dovrebbe superare le 100 pagine. Nell’arco di una sola notte, Murakami viaggia da un angolo all’altro della città, da una parte e dall’altra della linea che separa luce e ombra, linea su cui l’autore pare posizionare la condizione dell’uomo. Maneggiando a suo completo piacimento il tempo della storia e il tempo del racconto, Murakami confonde i nostri sensi, ci trasporta nella dimensione temporale tutta particolare della notte, una dimensione in cui il tempo non ha senso e tutto viaggia un po’ per conto suo. Dal padre di famiglia che in preda ad un raptus malmena una prostituta cinese alla giovane di Osaka che fugge da un’ombra che la perseguita giorno e notte, le storie dei personaggi di After Dark si intrecciano quasi senza uno scopo, eppure ognuno lascia negli altri -e nel lettore- un qualcosa della propria esperienza, medaglia gloriosa o macchia infedele che sia. Alla fine sorge il sole: che ne è dei personaggi non ci è dato sapere. Mari troverà l’affetto per la sorella? Eri riuscirà a svegliarsi dal suo sonno? Prima che la notte riprenda ad inseguirci c’è ancora tempo.
Recensione scritta da RM
Lasciami entrare – diretto da T. Alfredson
Come avevamo preannunciato tempo fa qui, abbiamo finalmente visto il film tratto dal romanzo di Linqvist omonimo, “Lasciami entrare”.
Come avevamo già accennato per il libro, che ci era piaciuto molto, anche in questo caso l’influenza dello stile nordico si fa sentire non poco. Indubbiamente questo film non si può certo dire che sia ricco di mordente e dal ritmo incalzante, anzi.
Abbiamo trovato molto ben sviluppato il personaggio di Eli, la scelta dell’attrice è stata calzante, per contro abbiamo trovato una perdita di spessore di praticamente tutti i personaggi, principali e secondari, una semplificazione estrema di una storia che possedeva certamente un intreccio interessante.
Ci siamo domandati anche che tipo di idea uno spettatore è in grado di farsi assistendo solo alla visione del film, senza aver letto il libro in precedenza e quindi senza conoscere gli effettivi sviluppi della storia. A nostro avviso, questo film costituisce esattamente una riduzione del romanzo, nel senso letterale del termine, una specie di Bignami che alla fine lascia poco allo spettatore, al contrario di come invece fa l’opera originale.
Non viene spiegato per nulla chi sia effettivamente Eli, viene lanciato il sasso (nella scena clou a casa di Oskar, che è stata modificata e semplificata anch’essa) e ritirata la mano; non assume alcun tipo di importanza nella profondità del personaggio di Eli la figura di Håkan, del quale sappiamo nulla (qui appare addirittura felice di fare quello che la ragazzina gli chiede!); indizi vaghi sulla vacuità della madre e del padre di Oskar; e l’elenco delle mancanze potrebbe essere ancora molto lungo.
Insomma, in sintesi questa trasposizione non ci ha particolarmente entusiasmati, se la storia potrebbe essere di vostro interesse vi consigliamo vivamente di procurarvi il libro e di scordarvi tutto il resto.