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Le streghe di Smirne – M. Meimaridi
A questo libro (Le streghe di Smirne, di Mara Meimaridi, N.d.Staff) mancherebbe solo una cosa. Avete presente quando, alle medie, si perdevano pomeriggi interi su Iliade e Odissea? E che l’unica ancora di salvezza in un groviglio di intrighi, incesti e relazioni clandestine era quel bellissimo albero genealogico capeggiato da Zeus?
Ecco, con una cosa del genere e il libro sarebbe leggibile. O quantomeno per il lettore sarebbe più facile districarsi tra assurde relazioni parentali, dove figlie in realtà sono nipoti, i cognati mariti e le cugine zie. Sicuramente non sarebbe un accorgimento fuori luogo, del resto si parla di donne turche e uomini greci. Donne che magheggiano, complottano e lottano per una scalata al vertice sociale e che sono delle streghe, davvero.
Dati tempo e spazio sufficienti, sarebbe utile anche un glossario (sempre sullo stile di quelli che si trovano sui libri scolastici!), dove inserire i mille nomi e le mille connotazioni che i vari personaggi ricoprono nel corso della storia, sempre che possa definirsi tale. Oltre ai nomi impronunciabili e impossibili da ricordare, si è costretti a infiniti salti temporali che rendono davvero difficile tenere le fila del racconto.
Nonostante ciò il libro è pieno di descrizioni non solo di luoghi, ma soprattutto di tradizioni, usanze e piatti tipici della zona di Smirne, in Turchia, che sanno trasportarti in un luogo magico, al centro di un crocevia di popoli e culture che, almeno in questo, arricchisce.
Il libro in Grecia è stato un caso editoriale…forse perché lì non hanno problemi a leggere tutti quei nomi strani e quindi la storia è risultata più chiara che non qui?
Recensione scritta da Gocciolina di Rugiada
Strane creature – T. Chevalier
Dopo aver letto e recensito l’opera prima dell’autrice Tracy Chevalier, La vergine azzurra, abbiamo quadrato il cerchio con l’ultimo in ordine di tempo, Strane creature. Il progresso nell’abilità narrativa l’avevamo già notato con le altre opere intermedie, uno tra tutti il celebre Ragazza con l’orecchino di perla; in effetti la lettura consecutiva di questi due romanzi, così diversi eppure così affini, hanno creato casualmente un binomio singolare.
In questo libro si narra la vita di due ragazze nella metà dell’Ottocento, diverse per età ed estrazione sociale, ma accumunate da una grande passione, che trascende anche le convenzioni sociali dell’epoca: la caccia dei fossili. Si trovano infatti a Lyme Regis, zona marittima del sud dell’Inghilterra, rinomata per i grandi e ricchissimi giacimenti di fossili. Attraverso le esperienze di vita delle sue donne negli gli anni di amicizia, scopriamo uno spaccato di vita quotidiana in questi paesini sperduti agli albori delle prime scoperte di animali fossili. Ma alla lettura attenta, tutto il libro è un espediente, per narrare gli effetti sociali e religiosi che queste scoperte hanno avuto sulla visione del mondo e sulle certezze dell’epoca.
Che animali sono, questi intrappolati nella roccia? Come ci sono finiti dentro le scogliere? Quindi il mondo e la vita non è immutabile come è descritto nella Bibbia? Quindi è possibile che gli animali fossili appartengano a specie che ora non esistono più? E pertanto questo potrebbe voler significare che Dio ha permesso l’estinzione di creature così particolari?
Oggi queste domande hanno trovato risposte ampiamente riconosciute e supportate, ma in quell’epoca, in cui la scienza era legata a doppio nodo con la religione e in cui bisognava fare molta attenzione alle domande che ci si poneva, pena la scomunica per eresia, queste scoperte hanno creato un sommovimento nei cuori delle certezze di tutti, anche le persone più umili.
Su questi temi si aggira con la consueta grazia la Chevalier, con il suo ormai rodato espediente della narrazione in prima persona, intervallando nei capitoli la voce dell’una e dell’altra.
Abbiamo trovato questa lettura molto piacevole e rilassante, sebbene alcuni della Legione l’abbiano trovato un po’ lento e con poco ritmo. In effetti gli eventi sono sempre piuttosto sottotono, nulla di eclatante, ma d’altra parte tutto è rimasto nel contesto e i fatti si susseguono con la frequenza appropriata, mantenendo sempre vivo l’interesse del lettore. Notevole anche lo stile narrativo, che modifica la voce narrante in base al personaggio che si esprime, quindi con toni posati e istruiti per la donna di buona famiglia, e con toni popolari e infantili per la ragazza popolana.
Insomma, un altro ottimo romanzo della Chevalier che consigliamo di leggere.
La vergine azzurra – T. Chevalier
Cos’hanno in comune una giovane donna vissuta nella metà del Cinquecento in Francia, nel pieno del movimento Calvinista e un’ ostetrica americana del Ventesimo secolo appena trasferitasi dalla California e ossessionata da un incubo in cui è avvolta dall’azzurro? Da questa domanda si dipana la storia de La vergine azzurra, primo romanzo della nota Tracy Chevalier della quale abbiamo già parlato più volte (La ragazza con l’orecchino di perla e La dama e l’unicorno). Grazie a questo esordio, la Chevalier è riuscita a conquistare l’interesse mondiale, preparando il terreno per i successivi best sellers. La trama è certamente interessante, narrata già con la maestria che l’ha portata al successo come la migliore scrittrice storica contemporanea. Inoltre è proposta in una forna narrativa molto originale ed accattivante, seguendo due linee temporali parallele ed intervallandole tra loro: la vicenda di Isabelle nel Cinquecento in terza persona e la storia di Ella ai giorni nostri espressa in prima persona. Il salto tra le due storie avviene di capitolo in capitolo, ma questo non distruba il lettore, anzi, permette di seguire meglio l’intreccio senza smarrirsi, costruendo un legame tra le due protagoniste. Di per sè è un buon romanzo, ma dobbiamo ammettere che ci ha lasciati un po’ delusi, specie a confronto delle opere d’arte di cesello alle quali ci siamo abituati con le sue produzioni più recenti. L’impostazione e la strama sono interessanti ed accattivanti, come dicevamo, ma abbiamo riscontrato poco mordente e poco ritmo, per lo meno in gran parte del libro. Se la storia di Isabelle è drammaticamente verosimile e non banale, perfettamente immersa nella realtà cruda dell’epoca, la vicenda di Ella risulta piuttosto prevedibile, per poi sfociare nell’assurdo verso la fine. Per non parlare poi di tutto il tratto finale del libro (che non vi spoileriamo) che abbiamo trovato parecchio di cattivo gusto e poco credibile, e l’epilogo, in cui Ella dice cose che non può assolutamente conoscere. D’altra parte, se si lo considera come il primo sforzo letterario dell’autore, possiamo riconoscerle certamente una crescita esponenziale di qualità, creatività e abilità narrativa e lessicale.
Un buon libro insomma, da leggere per chi apprezza la scrittrice, ma che al primo approccio potrebbe essere un po’ deludente e poco significativo.
La ragazza con l’orecchino di perla – T. Chevalier
Di questo libro e del relativo film con Scarlett Johansson e Colin Firth è stato scritto e detto tutto. Eppure, al nostro secondo romanzo della Tracy Chevalier, ci sentiamo in dovere di spenderne ancora qualcuna. Superbo e sontuoso per quanto, oppure proprio perchè, semplice e lineare, come solo lei sa fare. Scritto magistralmente in una prima persona mai opprimente e con un lessico minimo, semplicissimo, perfetto per il personaggio umile che fa da protagonista ad una storia altrettanto semplice e verosimile. Eppure, la Chevalier cesella con un’abilità ottima ogni frase ed ogni immagine, esattamente perchè come per qualunque opera d’arte, il trucco c’è ma non si vede, ottenendo una narrazione fluida e diretta ma tanto carica di significato e emozioni.
Una storia d’amore intensa ed impossibile, un romanzo straripante di fortissimi sentimenti inespressi, e di colori. Dalla penna della Chevalier vediamo davanti ai nostri occhi i dipinti che ci descrive sapientemente, attraverso i particolari che rendono la scena viva, proprio come impariamo leggendo la storia di Griet e del taciturno pittore Vermeer dagli occhi grigi.
Un capolavoro della narrativa moderna, un altro libro da leggere assolutamente, anche se si conosce la più che ben nota trama, proprio per il valore della prosa: pacata, sobria, eppure molto evocativa e di grande comunicatività. Se avete bisogno di un angolo di pace e contemplazione, di assaporare qualcosa di bello anche solo per qualche minuto, leggete questo libro e non rimarrete delusi.
La dama e l’unicorno – T. Chevalier
Questo romanzo, scritto da Tracy Chevalier, salita alla ribalta del grande pubblico grazie ad un altro romanzo, La ragazza dall’orecchino di perla, narra le vicende che si intessono attorno alla realizzazione di sei grandi arazzi commissionati da un notabile parigino della fine del 1400.
Come è nello stile della Chevalier, La dama e l’unicorno è un gradevolissimo romanzo storico, ispirato ad arazzi fiamminghi realmente esistenti, che raffigurano la seduzione dell’unicorno da parte delle dame rappresentate, attraverso l’allegoria dei cinque sensi.
In questo romanzo l’autrice fa parlare ciascun personaggio, dedicandogli un intero capitolo, permettendo al lettore di comprendere il punto di vista ed il pensiero più intimo di ciascuno. Non ci sono mai descrizioni fisiche precise dei protagonisti, eppure hanno una profondità sfaccettata di altissimo livello. La prosa è semplicissima e diretta, muta per ciascun personaggio parlante, facendo sì che il carattere di ognuno possa trasparire con forza e chiarezza in ogni passaggio: abbiamo quindi Claude, figlioletta viziata e vacua del notabile, che si esprime con infantilismo e pedanteria; Nicholas, il pittore che ha realizzato i disegni degli arazzi, sciupafemmine e materialista, che con il suo modo di raccontarci le vicende ci trasmette anche una profondità e sensibilità d’animo che non avremmo certo sospettato; Aliénor, la figlia non vedente del tessitore fiammingo, che si esprime con compostezza e ci racconta il valore di un suono o di un profumo di un fiore.
In questo bel romanzo, la protagonista è l’interiorità dei personaggi, utilizzando l’espediente degli arazzi per mostrare lo spaccato di vita alle porte del 1500 in Europa, dal punto di vista dei benestanti, degli artigiani e degli artisti, con una sensibilità che raramente abbiamo riscontrato altrove.
Consigliamo la lettura di questo libro a tutti, ed in particolare a chi, dopo aver visto il vero ciclo di arazzi in questione (ad esempio qui: La dama e l’unicorno) si sentirà incuriosito e stuzzicato a sapere che cosa questi tessuti avrebbero potuto celare.
La stirpe dell’aquila – J. Whyte
Eccoci al terzo libro della saga Le cronache di Camelot di Jack Whyte. Questo ponderoso episodio, La stirpe dell’aquila, da l’avvio ad una nuova generazione di narratori, prendendo come protagonista il ben noto Merlino, nato in seno alla comunità della Colonia, ribattezzata Camulod. Si raccontano le vicende di Caio Merlino e del cugino, Uther Pendragon, dalla più tenera infanzia fino all’età dei trant’anni, attraverso i decenni e i grandi mutamenti della Britannia durante il disgregamento dell’impero romano.
Abbiamo quindi un’ampia gamma di tematiche trattate, dalle consuete dissertazioni di tattica militare (non sempre semplicissime da afferrare completamente) alle elucubrazioni spirituali e filosofiche, in un’epoca in cui i patriarchi della Chiesa parevano più occuparsi del combattere le ipotetiche eresie invece di coltivare e seguire le scritture. Abbiamo come sempre un forte accento sull’aspetto umano dei protagonisti, quindi leggiamo della dicotomia tra l’amore quasi fraterno tra Merlino e Uther che al contempo si stempera nell’odio e nel sospetto, a causa dei caratteri e delle intime inclinazioni così diverse.
Questo episodio rispetto ai precedenti è un po’ più leggero dal punto di vista della prosa, il protagonista però tende sempre a quell’aura di perfezione che però a Merlino ci sentiamo di perdonare. Per il resto, la narrazione è piuttosto scontata, una volta individuato lo schema e la cadenza degli avvenimenti, niente di eclatante, fino al finale, ovviamente aperto, sanguinoso come non mai, che prepara la strada, finalmente, alla venuta di Artù.
Il re dei cani – C. Betti
Questo piccolo romanzo storico di Claudia Betti, Il re dei cani, edito da ArpaNet, racconta una storia semplice e toccante. Segue da vicino l’esistenza di un uomo, lasciato volutamente senza nome, che fin dalla più tenera infanzia vive affiancato dai cani, che lo eleggono sempre, misteriosamente, come loro padrone e guida. Sullo sfondo, la dura realtà della guerra, la fame, la morte, la paura e la dura ricostruzione dell’equilibrio perduto.
Questo libro, quasi più un racconto che non un romanzo vero e proprio, ci ha colpiti per la sua semplicità. La storia è narrata in terza persona con un punto di vista distaccato e quasi sempre puntato sul protagonista, questo ragazzo senza nome e senza volto, che cresce ed attraversa le difficoltà della guerra e della vita. A tratti, la narrazione sequenziale viene interrotta da frammenti riferiti al presente del protagonista.
Accanto alla semplicità della storia abbiamo la prosa, che non è semplicistica, ma ben si accorda con ciò che racconta. Ci sono delle imperfezioni stilistiche: molti passaggi potrebbero essere ampliati, alcune volte il punto di vista del narratore si perde tra un personaggio e l’altro e spesso si cerca di esplicare dall’esterno quello che forse più efficacemente avrebbe potuto essere mostrato o lasciato sottinteso, permettendo alle azioni di parlare da sole; ma questi piccoli nei sono fisiologici in un’opera prima e comunque nulla che non possa essere migliorato con un po’ di esperienza.
La storia è chiara e lineare, forse un po’ volutamente favolistica, i personaggi sono appena accennati e tutti con un’accezione fortemente positiva, che contrasta con il contesto storico di grande durezza. Nella figura canina, a volte defilata ma sempre presente, si può riscontrare una simbologia di fedeltà e umiltà, che apporta al racconto una buona dose emotiva.
Nel complesso, Il re dei cani è un racconto toccante e delicato, che coinvolge il lettore con gentilezza e lo commuove, davanti ai suoi protagonisti umili ma veri e la naturale dimostrazione di affetto e dedizione tipica dei cani nei confronti del loro amico e padrone.
I delitti della luce – G. Leoni
Questo libro, I delitti della luce dell’autore italiano Giulio Leoni, è il secondo libro di una serie incentrata sulla risoluzione di enigmi misteriosi ambientati nella Firenze del 1300, con protagonista un fiorentino d’eccezione, Dante Alighieri.
Un veliero viene ritrovato arenato diversi chilometri dalla foce dall’Arno, carico di decine di uomini morti. In una stanza, viene rinvenuto un meccanismo misterioso, volutamente manomesso.
Da queste premesse si dipana una storia piuttosto ricca ed incalzante, nella quale le morti inspiegabili si susseguono, mentre Dante, priore di Firenze, si affanna per cercare la soluzione degli omicidi e il significato nascosto di tutto questo.
Giulio Leoni ha indubbiamente scritto un libro di valore dal punto di vista della prosa. E’ ineccepibile e scorrevole, e propone un narratore onniscente compenetrato nell’epoca che sta trattando, facendogli fare osservazioni e inserendo dettagli che calzano con il modo di vedere il mondo al quel tempo.
C’è da dire però, che in questo romanzo la risoluzione del mistero diventa un aspetto secondario rispetto al contesto storico, diventando forse un po’ poco verosimile. Ci troviamo quindi Dante che disquisisce di filosofia a due passi da un tafferuglio in piazza, oppure sempre Dante che corre a perdifiato per le vie della città, quando a 35 anni ce lo aspetteremmo come un posato uomo di mezza età più che uno scapestrato giovincello.
E’ forse questa la pecca principale di questo libro, il fatto di voler utilizzare Dante come protagonista dichiarato, dandogli una dimensione di quotidianità che, forse, non siamo abituati a leggere e a immaginarci. Abbiamo più volte storto il naso davanti al sommo poeta che parla come un Gil Grissom ante litteram, asserendo di voler ascoltare quello che il morto ha da dire sulla dinamica dell’omicidio e sul suo assassino…
Tolto questo stravaganze riguardo la verosimiglianza dei personaggi, l’intreccio è interessante ed originale e di certo incuriosisce il contesto storico ricostruito così con cura a fare da sfondo ad una vicenda dai toni noir.