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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

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Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Lo Hobbit, la desolazione di Smaug – regia di P. Jackson

Postato da Legione il 24 Dicembre 2013

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***ATTENZIONE! IRONIA E SPOILER!***

Prosegue l’avventura di Bilbo Baggings e dello squadrone di nani alla volta della riconquista del regno sotto la montagna. La desolazione di Smaug entra nel vivo ciccioso della storia, in due ore e quaranta di film succede proprio di tutto.
Entramo nel cuore di Bosco Atro e ci perdiamo nei suoi infidi meandri, facendo la conoscenza (toh, guarda! una ragnatela *enorme*, perchè non la punzecchiamo un po’?) con varie oscure (e schifose) creature. Ma soprattutto incontriamo gli elfi silvani, ritrovando l’algido viso di Legolas e del suo più che amichevole padre: si sa, a furia di stare sepolti dentro una foresta asfittica, tagliati fuori dal mondo esterno, tanto teneri non si può essere. E di freccia in freccia, tra aspiranti amici che diventano nemici ma poi ridiventano amici (forse, per ora e per un po’), e di elfiche grazie infilate di forza all’interno della storia, i nostri arrivano finalmente alle porte di Erebor dopo indicibili fatiche e aver sbocconcellato la squadra di nani. E arrivano agli ingressi proprio nel momento giusto, ma la porta non si vede e dopo tipo dieci minuti di tentativi il nostro Thorin Scudodiquercia e Occhiofiero, condottiero di eserciti nanici e forgiatore di stampi per biscotti, il Thorin che vuole smuovere un *drago* per riprendersi il suo trono, smolla la preziosa chiave e se ne va scornato. Logico.
Ma alla fine l’intervento risolutivo del nostro hobbit dall’àplomb british fa aprire comunque il portoncin… ehm, la porta magica per il regno sotterraneo e quindi tutto bene.
Ma invece di festeggiare con una merenda hobbit, i nani mollano due pacche sulle spalle a Bilbo: “vai caro, trovami l’archengemma, ma mi raccomando, cerca di non svegliare il drago eh! Noi stiamo qua e ti guardiamo le spalle! Vai caro, vai!”.
E così, Bilbo sentendosi un peletto fregato si incammina nelle viscere di Erebor. Ben presto ci accorgiamo che cercare quel gingillino prezioso non è che sia proprio una passeggiata: in un salone che nemmeno il deposito di Zio Paperone è conservato un tesoro vastissimo, oltre che un draguccio serpentiforme dall’eloquio forbito. Visto che Bilbo da solo non riusciva a quagliare, accorre Thorin e con un grande gesto di amicizia (l’avrebbe affettato lì per lì) riprende in mano la situazione e decide di… no vabbè, questa non ve la dico perchè è troppo furba e non posso spoilerarvi proprio tutto, men che meno il finalone col botto.

Comunque, al di là della facile ironia (in fondo tutta la fantasy sta a cavallo tra il fantastico e l’idiozia, dipende da con quali occhi la si guarda), La desolazione di Smaug è un film pregevole. L’ho visto in 3D e ha fatto la sua bella figura: non se n’è sentito l’abuso ma anzi è sempre stato funzionale all’apprezzamento delle scene.
C’è però qualcosa che stona, in questa rilettura cinematografica, e non parlo solo dell’aggiunta a tavolino della figura di Tauriel e del ricamo pseudoromantico costruitole attorno (talmente assurdo che gli stessi protagonisti hanno la faccia poco convinta mentre recitano), che si vede lontano chilometri per quanto poco è amalgamato nella storia. I dialoghi sono forzati, in particolare quelli tra gli elfi, e alcuni comportamenti un po’ assurdi, per quanto attinenti al romanzo, potevano essere reinterpretati in un modo un po’ più profondo e introspettivo invece di essere solo spiattellati così nell’assurdità.
Senz’altro un filmone, perchè gli attori sono tutti bravissimi, vista anche la coralità dell’interpretazione, ma forse subisce un po’ l’eccesso della CGI che in pratica domina tutte le scene, costruendo legioni di comparse (oltre che tre cattivi più il Cattivissimo per eccellenza, Sauron, che si manifesta in forma umanoide e che ricorda un po’ lo Shrike di simmonsiana memoria), ambienti, draghi, ecc. e che fanno compiere alla storia un altro gradino sulla scala del surreale.
Ma comunque, ironie a parte, il terzo episodio me l’andrò a vedere eccome!

Recensione scritta da Sayu

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La ragazza di fuoco – regia di F. Lawrence

Postato da Legione il 15 Dicembre 2013

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La ragazza di fuoco è probabilmente l’unico caso per il momento disponibile nella storia del cinema in cui il secondo film di una serie risulta essere qualitativamente migliore del suo predecessore.
Sicuramente l’ha fatta da padrone l’aumento del budget a disposizione della produzione: se per Hunger Games si è puntato il più possibile sulla creazione di un legame fortemente emotivo con la protagonista, per mantenere viva l’immedesimazione forte creata dal romanzo in prima persona, girando a proprio favore una limitatezza di budget che ha fatto volare basso la produzione e gli effetti speciali; con La ragazza di fuoco la possibilità di poter puntare più in alto, alzando l’asticella della completezza dello show, ha fatto sì che il prodotto confezionato fosse molto più godibile anche dal puro punto di vista estetico.
Va anche dato merito alla qualità recitativa degli attori, che se nel primo film era già elevata, in questo secondo episodio tocchiamo vette davvero apprezzabili.
La Lawrence sembra più matura e più consapevole di quello che è il suo talento, rimanendo comunque naturale, che è in fondo il suo punto di forza: tutto il film ruota attorno alla sua bravura e alla sua capacità di essere una ragazza forte e fragile, ma soprattutto disarmata davanti all’orrore in cui nuovamente, suo malgrado, è immersa. Una pedina che inizia a rendersi conto del suo status di pedina, alla quale nessuno dice niente ma di cui tutti cercano di deciderne le sorti in virtù della strumentalizzazione di quello che è stato solo un gesto di autoconservazione.
Sempre carino e inevitabilmente con un ruolo di sfondo, Josh Hutcherson rappresenta lui forse ancora meglio di Katniss il ruolo della vittima degli eventi: innamorato senza speranza, trascinato all’interno di una situazione in cui comunque la si giri risulta perdente, aspira esclusivamente a salvare la sua amata, in fondo crogiolandosi con semplicità all’interno della sua scarsa autostima e del suo senso di profonda inutilità. In questo episodio però il personaggio acquista agli occhi degli spettatori (e di Katniss quindi) una profondità che avevamo solo sospettato e viene gettato il seme di quello che sarà effettivamente il Grande Dubbio Amoroso nella protagonista e che si esprimerà al suo meglio nei prossimi episodi.
Una nota naturalmente anche per i nuovi personaggi secondari, che in questo episodio sono molti e con ruoli piuttosto rilevanti. Bisogna dire che a parte forse Finnick, figo ma non tanto da oscurare i protagonisti (chi ha letto il libro sa il perché di questa osservazione) che lascia un buon potenziale di approfondimento per i figuri sviluppi del personaggio, gli altri sono un po’ forzati all’interno dei loro stereotipi individuati nel romanzo. Wiress e Beetee sono calzantissimi nei personaggi ma un po’ freddi, Johanna Mason è perfetta nella parte della schizoide ma non riesce ad essere del tutto convincente a causa di una certa teatralità forse studiata ad arte, mentre gli altri sono del tutto marginali. Merita almeno una citazione per l’efficacia la scelta di rendere incapace di parlare l’anziana e dolce Mags, che con il suo sorriso disarmante riesce a rendere speciale un personaggio per il quale, anche nel romanzo, non si può non provare tenerezza.
Un consiglio a tutti gli amanti della saga: se ancora non avete letto i libri, non leggeteli prima di vedere il film. Quando abbiamo visto Hunger Games non avevamo letto il relativo romanzo e l’effetto è stato deflagrante per pathos e coinvolgimento emotivo; ora che abbiamo assistito alla proiezione de La Ragazza di fuoco dopo aver letto il romanzo ne siamo entusiasti ma decisamente meno sconvolti e molto più freddini. Ciò non toglie che per gli estimatori sia la lettura che la visione sono esperienze decisamente piacevoli e che consigliamo vivacemente.

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Il canto della rivolta.

La versione di Barney – diretto da R. J. Lewis

Postato da Legione il 10 Novembre 2013

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Abbiamo letto e amato con un entusiasmo raro il romanzo di Mordechai Richler, ma ci siamo commossi alle lacrime (moltissime volte) davanti al piccolo capolavoro cinematografico di Richard J. Lewis.
La versione di Barney in formato audio-video è un’esperienza, come lo è anche se in modo diverso la lettura del libro.
Una trama così destrutturata, ricca di dettagli, episodi, giochi di parole, personaggi ed eventi necessitava per forza di cose una riduzione, per essere portata sullo schermo. Questo film non ne costituisce il complemento, ma una decorosa sintesi, se non per la storia (estremamente semplificata e ridotta a due soli filoni narrativi: le consorti Panofsky e la scomparsa di Boogie) almeno per la bravura degli attori, uno su tutti un Paul Giamatti che da un volto umano ed espressivo a Barney attraverso svariati decenni e mille disavventure.
Il risultato è un film sensibile, forse ancora di più del libro, nel quale la commozione cerca di stemperarsi senza riuscirci con l’ironia. Fenomenali anche gli altri attori, che sostengono con efficacia questo one-man-show senza mai perdere di mordente o annoiare, nelle oltre 2 ore di proiezione.
Un film che mantiene le promesse e raccoglie bene la sfida gettata da un libro strepitoso e difficile da gestire.
Fortemente consigliato.

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Il lato positivo – regia di D.O.Russel

Postato da Legione il 2 Ottobre 2013

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Pat è appena uscito dall’ospedale spichiatrico dopo otto mesi, fermo e risoluto sull’obiettivo da raggiungere: riconquistare al più presto sua moglie Nikki e riprendere la vita là dove era stata interrotta. Ma questo non è così semplice quando si ha a che fare con un’ordinanza restrittiva… ben presto entra in contatto con Tiffany, una giovanissima vedova, che ha la possibilità di intercedere per lui. La ragazza decide di aiutarlo, in cambio però del suo aiuto per una gara di ballo.

Forse non uno tra i film più originali mai visti, probabilmente nemmeno così stupefacente, visto che il “finale inatteso” si concretizza esattamente come ciascuno di noi si è già immaginato, però nel complesso si tratta di un film piacevole e anche piuttosto intelligente. Stiamo parlando de Il lato positivo diretto da David O. Russel, tratto dal romanzo di Matthew Quick Silver linings playbook, L’orlo argenteo delle nuvole, e non esattamente di un film qualunque. Innanzitutto può vantare un cast d’eccezione, con i belli e bravi Bradley Cooper e Jennifer Lawrence (conosciuta nel film neo cult Hunger Games che grazie al ruolo di Tiffany ha vinto tre premi, tra cui un Golden Globe e un Oscar, e scusate se è poco) e un Robert DeNiro d’eccezione nella parte secondaria ma rilevantissima del padre di Pat.
Per quanto concerne il film in sè, come dicevamo, la trama nei suoi tratti generali non è niente di speciale o di particolarmente originale, ma il valore aggiunto, secondo noi, risiede nei dettagli.

Pat ha un grosso problema con la gestione della rabbia, che l’ha portato appunto a trascorrere otto mesi in cura dietro ordinanza giudiziale, Tiffany ha elaborato come ha potuto il suo lutto rendendosi scostante, aggressiva e rifugiandosi nell’effimera consolazione della promiscuità, il padre stesso di Pat rivela un atteggiamento ossessivo-compulsivo nei confronti delle sue tanto tormentate partite di football, il migliore amico di Pat risulta incapace di difendersi da un moglie invadente che lo soffoca e lo tiene al guinzaglio.
Ciascun personaggio si presenta con una debolezza, con una fragilità psicologica che lo rende a suo modo normale, umano, rendendo quindi altrettanto umano e accettabile il disagio psicologico, ancora oggi considerato un tabù per molti. Gli attori, in particolare la Lawrence, sono stati molto bravi a trasmettere questa fragilità senza scadere nel grottesco o nell’eccesso, semplicemente rappresentando quella parte di noi che ad un certo punto può saltare e farci perdere l’equilibrio nella quotidianità.

A nostro avviso, parte del successo di questo film va attribuito alla forte impronta yankee che caratterizza la storia: l’amore viscerale per il football, le scommesse, la birra e gli stuzzichini, ma anche il semplice modo di fare, gli atteggiamenti che hanno gli attori in alcune circostanze (la scena della martingala a casa di Pat ne è un esempio lampante). Forse proprio questi accenti marcati di patriottismo rendono in alcuni momenti la recitazione forzata e stereotipata.
Nel complesso comunque è un film gradevole, probabilmente il romanzo da cui è tratto è anche meglio, considerando le possibilità di approfondimento interiore dei personaggi impossibile sullo schermo.

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Il caso dell’infedele Klara – regia di R. Faenza

Postato da Legione il 9 Giugno 2013

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Ci siamo imbattuti per caso in questo film, Il caso dell’infedele Klara, e abbiamo scoperto altrettanto per caso che questa produzione è stata “liberamente ispirata” dall’omonimo romanzo di Michal Viewegh, che non abbiamo letto ma che, ci auguriamo per lui e per i lettori, sia meglio del film.
Ambientato nella Praga moderna, un giovane italiano (tu guarda) interpretato da Claudio Santamaria è ossessionato dall’idea che la sua bella fidanzata Klara (Laura Chiatti) lo stia tradendo. Interpella quindi un investigatore privato (il Jorah Mormont di Game of Thrones) per tenerla d’occhio. Lei è onesta e fedele, ma il fidanzato non si fida nemmeno delle prove, e insiste ed ossessiona tutti finchè il fattaccio inevitabilmente si compie.
La storia non è certamente delle più brillanti, senza citare la sottotrama assurda del piccolo fisarmonicista prodigio assolutamente fine a se stessa (ricorda le commedie elisabettiane nelle quali piazzavano un cagnolino sul palco solo perchè faceva colore), ma l’aspetto che rende più attoniti è senza dubbio l’oscena qualità della recitazione dei protagonisti, che si sono poi successivamente doppiati in italiano.
Un film dal mordente pressochè assente, dalla storia moscia, le battute scontate e la recitazione terribile, insomma un’esperienza del tutto dimenticabile.

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Film: Il Caso Dell’Infedele Klara
Romanzo: Il caso dell’infedele Klára

An education – regia di L. Scherfig

Postato da Legione il 4 Marzo 2013

Anni ’60. Jenny ha 16 anni ed è oggetto del sogno ambizioso dei suoi genitori di entrare ad Oxford. Ama la Francia e sognare ad occhi aperti, vorrebbe concedersi qualche divertimento ma deve concentrarsi sullo studio e tutto le è precluso. Finchè un giorno incontra David, bello, maturo e sicuro di sè, che la affascina e le fa conoscere un mondo che aveva solo immaginato, ma a caro prezzo.

An education
è un film del 2009 di Lone Scherfig e sceneggiato da Nick Hornby. Nonostante il nostro amore dichiarato per Hornby, siamo costretti ad ammettere che questo film non è esattamente un successone. Forse il piglio graffiante e caustico dell’autore rende meglio sulla carta che non in un film (ma anche no, visto Alta Fedeltà) o forse è semplicemente un’opera non proprio riuscita (in fondo può capitare anche ai migliori). La storia è interessante ma la dinamica è lenta, lentissima… con una sensazione di fondo opprimente e deprimente che dopo il primo terzo del film diventa dominante, per arrivare al suo culmine nel finale.
C’è un sapore non ben chiaro in questa sceneggiatura, un sapore che non siamo soliti riconoscere nell’Hornby più classico. Sembra che, in fondo a tutto, ci sia una specie di moraletta di stampo ormai anacronistico e buonista (studia e fai la brava perchè le tentazioni sono ovunque e si presenteranno sottoforma di un galante giovanotto poco di buono che da te vuole solo una cosa) che delude un po’.
L’attrice protagonista, Carey Mulligan, è senza dubbio molto brava in una parte difficile, un viso pulito acqua e sapone ma un’espressività profonda ed adulta che ben si attaglia al ruolo. Il belloccio di turno, Peter Sarsgaard, invece, ci è risultato assolutamente fastidioso, ben al di là del sentimento di fascino ammaliante che invece avrebbe dovuto suscitare. Se per buona parte del film è, diciamo, tollerabile, nella parte finale del film è un crescendo di indisponenza.
Insomma, un film che si lascia senza dubbio guardare, giusto per la curiosità di vedere come va a finire e qualche moto di spirito per un personaggio-macchietta (un ottimo Alfred Molina nel ruolo del padre di Jenny, bigotto soffocante e generalmente ignorante), ma che una volta giunto a termine lascia abbastanza indifferenti.

Lo Hobbit, un viaggio inaspettato – regia di P. Jackson

Postato da Legione il 10 Gennaio 2013

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In tutte le grandi storie che si rispettino, c’è sempre qualche aspetto che va approfondito, qualche sottotrama che merita un ampliamento o più semplicemente le avventure complesse fondano le loro radici in un passato e in altre avventure che meritano di essere raccontate.
E’ questo lo scopo di Tolkien nello scrivere Lo Hobbit: raccontare le vicende che hanno preparato il fato a compiersi ne Il Signore degli Anelli.
Peter Jackson si è cimentato nella trasposizione cinematografica anche di questo romanzo, che a confronto della più famosa trilogia altro non è che un timido libretto, più fortemente orientato ad un pubblico giovane.
Ne è nata un’altra trilogia, della quale Un viaggio inaspettato è il primo capitolo.

L’impressione generale che ne abbiamo è positiva: uno sforzo stilistico che regge il confronto con i titolati predecessori, buoni gli attori, sempre superlativi i costumi, ottimi gli effetti speciali e le ambientazioni, semplicemente mozzafiato i paesaggi.
Qualche nota negativa però è presente. Sicuramente la lunghezza: più di due ore e mezza di film non avrebbero risentito di una sforbiciata, in particolare all’inizio, dove il ritmo lentissimo fa perdere un po’ dell’entusiasmo dettato dalla curiosità. Altra pecca l’abbiamo riscontrata nel doppiaggio di Gandalf (siamo nostalgici, e quello tradizionale ci piaceva più dell’attuale Proietti) e, curiosamente nel suo trucco: nei primi piani ci è sembrato talmente mal fatto che abbiamo pensato non fosse nemmeno Ian McKellen.
Per il resto tutto in regola, come ogni appassionato si aspetterebbe: qualche scena di troppo con il principe Thorin in modalità Braveheart, un Gollum schizofrenico più che mai, torme di orchi e troll e goblin, tanti da togliersi ogni voglia.
Il vero grande assente, non per colpa del film ma perchè latitante proprio nell’opera originaria, è l’individuazione di un vero e proprio antagonista. Nel romanzo Bilbo e compagni si trovano a fronteggiare orde di creature malvagie ma di fatto indistinte, mentre nel film è stato utilizzato l’espediente dell’ orco pallido per creare un avversario a Thorin, in attesa di incontrare il terribile Smaug (che ci incuriosisce moltissimo!).

Insomma, un film da vedere per tutti gli appassionati del genere, con qualche digressione e approfondimento preso dalle appendici de Il signore degli anelli, sempre pertinenti. Non all’altezza della trilogia ma sempre un degno e piacevole spettacolo.

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Mysterious skin – regia di G. Araki

Postato da Legione il 25 Dicembre 2012

Cittadina della provincia americana. Un ragazzino, Neill, a soli otto anni, viene fatto oggetto degli abusi sessuali dal coach della sua quadra di baseball, reiteratamente per diversi mesi. Nello stesso periodo Brian, suo coetaneo e concittadino, viene rapito dagli alieni, causandogli vuoti di memoria e frequenti epistassi.
Con il passare degli anni, i due ragazzi vivono le loro vite infuenzate da questi due avvenimenti: Neill accetta la propria omosessualità ed inizia a prostituirsi mentre Brian cerca informazioni ed indizi sul rapimento alieno facendolo diventare il suo unico interesse e scopo.
Le loro strade a distanza di molti anni si incroceranno di nuovo e sopraggiungerà finalmente chiarezza per entrambi, ma ad un prezzo molto alto.

Questo film del 2004 di Gregg Araki, Mysterious skin, costituisce una di quelle esperienze destabilizzanti che lasciano un senso di orrore e distaccamento dalla realtà allo spettatore. E’ di certo un film non adatto agli stomaci deboli, poichè l’argomento trattato è profondamente disturbante, sebbene sia maneggiato con una sensibilità ed una schiettezza difficile da rintracciare in altri titoli analoghi.
Bravissimi i due giovani protagonisti, Joseph Gordon-Levitt brilla per espressività e credibilità in una vera prova d’attore, in una parte che avrebbe fatto tremare le vene ai polsi a qualunque altro collega più consumato.
Tratto dal romanzo omonimo di Scott Heim, ne mutua la narrazione soggettiva, rendendo la angosciosa vicenda ancora più cruda e vibrante.
Senza dubbio film come questo trasmettono con efficacia il messaggio secondo il quale il vero orrore non si manifesta in zombie, fantasmi, mostri o alieni, ma si può nascondere nella quotidianità, nella routine, nella distrazione delle madri, negli incubi dei bambini. Un film da vedere con consapevolezza ed un po’ di coraggio, ma assolutamente notevole.

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