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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Post Taggati ‘best seller’

Il gioco di Gerald – S. King

Postato da Legione il 18 Marzo 2011

Abbiamo deciso di fare uno strappo alla nostra tacita e salutare regola di recensire solo romanzi appena letti per questo romanzo di Stephen King, Il gioco di Gerald. Indubbiamente non è uno dei romanzi del Re più famosi e, nonostante siamo dichiaratamente suoi fan, non è nemmeno uno dei migliori. Eppure, abbiamo deciso di recensirlo perchè, sebbene siano passati diversi anni da quando l’abbiamo letto, è rimasto stampato nel nostro immaginario per la sua semplice crudeltà.

King solitamente si divide su poche macrotematiche concettuali sulle quali poi fonda i suoi romanzi: il Male in senso incorporeo ed il Male incarnato nelle bassezze dell’uomo. Di questa divisione generica è poi possibile effettuare altre suddivisioni, anche se alcune opere si possono inserire a cavallo tra le due categorie.
Senza scendere nei morbosi dettagli nerd che certamente sapremmo tirare fuori, Il gioco di Gerald si può ascrivere alla seconda categoria, dove il Male viene principalmente rappresentato da una persona umana con smaccate caratteristiche negative.

La storia, come nel meglio del suo stile, parte da un concetto semplice quanto angosciante: cosa succederebbe se, a causa di un giochetto erotico, una donna rimanesse ammanettata al letto e non avesse più alcun modo per liberarsi?
E questo è quello che succede a Jesse, che soggiace all’ultima richiesta del marito, Gerald, e si lascia ammenettare ad un robusto letto nella loro casetta al lago. Involontariamente però, Jesse provoca la morte di Gerald, e da quel momento l’intera esistenza della donna collassa in quella casetta, su quel letto, sul quale l’attende una morte lenta e psicologicamente devastante.

L’abilità narrativa di King raccoglie bene la sfida, focalizzandosi sui loop mentali di Jesse, che rievoca il passato travagliato, le sue lotte interiori di coscienza e l’immaginazione, che con il passare delle ore, la mancanza di acqua e cibo ma soprattutto la paura dell’approssimarsi della fine, le provocano allucinazioni terrorizzanti… che forse non sono affatto allucinazioni, bensì una nuova manifestazione del Male incorporeo ed assoluto, che la aspetta negli angoli bui della sua stanza, in attesa solo che abbassi la guardia e si lasci andare alla disperazione.

Un romanzo senza dubbio molto particolare, che per gli amanti del genere è un appuntamento imperdibile, proprio perchè risulta un esercizio di stile dalla crudezza unica. Da provare. E dopo averlo letto, non vedrete mai più un paio di manette con gli stessi occhi.

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Amabili resti – A. Sebold

Postato da Legione il 12 Marzo 2011

Si chiamava Susie Salmon, come il pesce, ed era una ragazzina liceale come tante. Aveva passioni e sogni, da grande voleva fare la fotografa naturalista. Susie è stata strappata dalla vita, è morta in un campo di granturco, per mano di un uomo che le ha riservato un trattamento di orrore indicibile.
Leggere Amabili resti di Alice Sebold oggi, quando la nostra cronaca racconta fatti similmente crudeli con protagoniste incolpevoli ragazzine altrettanto semplici e speciali, è una prova difficile da portare a termine.

La narratrice è la stessa Susie, che ci racconta quello che succede sulla terra ai suoi cari e ai suoi amici dopo la sua morte. Susie integra questa storia con quello che vede e succede nel suo Cielo, lì dove si trova, dando uno scorcio di quello che è la sua nuova realtà che ancora non comprende appieno.
Il romanzo si può dividere in due parti ideali, non nettamente scisse: la prima è caratterizzata dalla scomparsa di Susie e dagli effetti nel breve periodo su tutti coloro che l’hanno amata; nella seconda parte invece prendono consistenza le vite di ciascuno, che si allontanano e vanno a fondo nell’evento traumatico, che si allontanano tra loro e modificano i legami, per cambiare e interiorizzare il lutto.
E’ questa la caratteristica principale di questo bel romanzo: tutti i personaggi crescono e cambiano la loro vita, partendo dal dolore e costruendovi attorno qualcosa di unico e puro, il futuro e la speranza.

Lo stile è piuttosto efficace grazie alla voce di Susie, che è caratterizzata da un tono sognante e un po’ infantile, che urta con efficacia con la sua possibilità di vedere e sapere tutto quello che fanno e pensano i suoi familiari, rendendo la narrazione piuttosto realistica.
I personaggi, che in un primo momento parevano essere esempi di perfezione un po’ forzata, risultano invece molto umani, fragili e fortemente messi alla prova dalla vita. I dialoghi sono sempre freschi, mai scontati, usati con un giusto equilibrio tra il mostrato ed il narrato.
Abbiamo trovato questo libro particolamente intenso anche dal punto di vista emotivo: alcune metafore, alcuni passaggi ispirati, sono in grado di far sfuggire anche qualche lacrima.
Abbiamo identificato solo uno scivolone, verso la fine del libro, che per quanto venga giustificato, fa rimanere la percezione di una nota stonata all’interno dell’opera, che per il resto invece scorre via senza intoppi.
A parte questo passaggio, possiamo dire di essere rimasti molto soddisfatti da questo romanzo, che ci hai coinvolti ed appassionati con semplicità ed emozione.

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Come diventare buoni – N. Hornby

Postato da Legione il 9 Febbraio 2011

Probabilmente una delle opere più famose uscite dalla caustica penna inglese di Nick Hornby, Come diventare buoni soddisfa tutte le aspettative nei confronti dell’autore e forse va addirittura oltre.
L’intera vicenda viene narrata da Katie, madre di famiglia e medico del servizio sanitario nazionale inglese, fondamentalmente rilassata nella sua routine indagatrice nelle vite, a volte grame, che incontra. Suo marito, David, scrittore arrabbiato con tutto e tutti, al punto da tenerne una rubrica su una rivista, è perennemente ingrugnito e rende la vita domestica di Katie un fastidioso inferno. Finchè qualcosa di imprevisto cambia: lei decide di lasciare lui a causa di una storia extraconiugale e lui… assume un modo del tutto inatteso di affrontare la vita, facendo rivalutare all’intera famiglia, e non solo, il significato di essere buoni.
Un romanzo dallo stile impareggiabile che caratterizza da sempre Hornby: narrato in strettissima prima persona, la visione è sempre attraverso gli occhi di Katie, spesso inframmezzata da lunghe digressioni interiori, come sempre in toni un po’ esagerati ed enfatici che tanto sono cari all’autore e che integrano perfettamente la vicenda.
Questo romanzo infatti è forse uno dei più focalizzati al sentire dei personaggi, ai sentimenti che accompagnano le decisioni, spesso incomprensibilmente troppo buone, che il nuovo David impone alla famiglia.
I personaggi sono come sempre disegnati con maestria, chiari e coerenti eppure mai banali o pedanti. La visione di Katie, inoltre, rappresenta bene il pensiero di persona media (mediamente felice, mediamente partecipe dell’andamento della società, mediamente interessata a mutarne in prima persona la direzione) e quindi veicola bene il pensiero del lettore, con semplicità ed efficacia, accompagnandolo sempre attraverso questa storia in apparenza normalissima ed al contempo paradossalmente rivoluzionaria.
Un libro che non può mancare nel repertorio dell’estimatore dell’autore ma allo stesso tempo ottimo per chiunque per un viaggio introspettivo ma disimpegnato, come solo Hornby sa fare.

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L’arma di Caino – B. Meltzer

Postato da Legione il 28 Novembre 2010

Cosa lega Superman, la Bibbia, il nazismo e la filosofia dozzinale di basso profilo? Semplice: questo libro.
L’arma di Caino pare sia stato un best seller dell’anno scorso, prodotto dalla brillante penna dello scrittore americano Brad Meltzer. Brillante sotto diversi punti di vista, sebbene nel caso specifico di questo romanzo sarebbe più giusto definirla audace. Sì perchè indubbiamente un libro che sappia riunire tutti questi elementi in un contensto sensato non è certo impresa di poco conto. C’è da dire però che questo libro, nonostante l’audacia, brilla per mediocrità.

Come moltissimi altri autori dello stesso calibro pop-thriller-action (stile Cussler, Ludlum ecc), fa grande uso di ritmi serrati, narrazione stringata e veloce, personaggi abbozzati e sgrossati con l’accetta, caratterizzati da dettagli macroscopici per renderli sempre facilmente identificabili nella mischia.

E poco importa se la trama ha qualche piccola falla, se qualche passaggio si perde, se qualche particolare diventa incongruente: tutto gioca a funzione dell’azione. Ecco quindi che una giovane donna ispanica, che alle prima apparizione parla un lento e stentato inglese, dopo meno di 4 ore è in grado di tenere una conversazione di elevato grado filosofico; ecco che il cattivo di turno, che brilla per la sua attenzione nel passare inosservato, va in giro con un vistosissimo tatuaggio sulla mano, talmente vistoso che il protagonista riesce a vederlo a distanza, con luce crepuscolare e con una pistola puntata in faccia.

Insomma, questi dettagli saranno anche cavilli, ma di fatto danno una sensazione di approssimatezza che non può che dare fastidio.
Come sempre poi, se oltre ad una trama quasi assurda e alle incongruenze, anche lo stile è scadente… Bisogna ammettere che Meltzer si trova nel suo quando deve tenere il ritmo serrato e sta mostrando scene d’azione e di pathos, ma crolla nell’impreparazione nelle fasi iniziali, ad esempio, quando deve gettare le basi per la presentazione dei personaggi, nelle descrizioni, nelle introspezioni, anche nell’esposizione dei concetti chiave (in questo caso particolarmente complessi): insomma, nei passaggi più statici l’autore va a picco dal punto di vista della qualità, deprezzando l’intero romanzo.

Se siete amanti delle storie impossibili, se Giacobbo è il vostro guru, se Il Codice Da Vinci vi ha appassionato fino a togliervi il sonno, amerete indiscutibilmente questo romanzo.

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Nihal della terra del vento – L. Troisi e considerazioni sul fantasy italiano

Postato da Legione il 29 Ottobre 2010

Avremmo potuto evitare di affrontare questa lettura. E anche se proprio avessimo desiderato toglierci questa curiosità, avremmo potuto risparmiarci la recensione: la rete è piena di commenti pungenti e estremamente dettagliati sulla opera della Troisi, noi stessi ne ospitiamo già uno scritto da RM (qui la recensione). E invece no: contro ogni ragionevole logica, abbiamo letto questo famigerato volume, il primo episodio delle Cronache del Mondo Emerso: Nihal della terra del Vento.

Perchè? Perchè noi stessi più volte vi abbiamo fatto riferimento come pietra di misura (o dello scandalo) di quel gran mischione che esiste sotto il nome di Fantasy Italiano. La Troisi in quanto scrittrice, e Nihal della terra del Vento in quanto suo primo volume delle varie saghe del Mondo Emerso, hanno segnato e segnano un punto esemplificativo dello stato dell’arte di questo genere, attorno al quale lo stesso si è declinato in varie sfumature. Siamo ancora in attesa di leggere qualcosa di valore, qualcosa che sia in grado di trasmettere emozioni e suggestioni, qualcosa che sia scritto con cognizione di causa.
Per il momento non abbiamo trovato nulla del genere, certamente non nelle produzioni italiane mainstream. Questo capitolo delle Cronache non fa eccezione, sebbene, forse, riesca ad elevarsi da pantano dell’orribile soggiornando nello status di “meno peggio”.

Potremmo elencare i numerosi difetti di questo libro, ma desideriamo dare un approccio diverso. In che modo un fantasy più che mediocre potrebbe diventare indimenticabile (anche per un pubblico adulto: l’entusiasmo adolescenziale è una risorsa economica notevole ma non è particolarmente indicativo di qualità)?

Con una storia avvincente e originale, in prima battuta. Il fantasy per sua natura dovrebbe essere il genere per eccellenza che permette di lanciarsi in arditi voli di fantasia, appunto. Osare con una storia innovativa, sfaccettature mai viste, colpi di scena. Ricordiamo i libri della De Mari: magnifici scenari fantasy proprio perchè i suoi romanzi NON sono stati creati in funzione dei princìpi del fantasy, ma affondando le radici nella psicologia. Risultato: una storia avvincente, imprevedibile ed incredibilmente emozionante.
Potremmo anche citare il nostro sempre apprezzato Everlost, il cui intero concept brilla per originalità.
La Troisi bazzica in una storia che sa di minestra riscaldata, pesca un po’ da Tolkien, mette qualche brusco cambio di rotta ma non riesce mai completamente ad afferrare il lettore, che resta sempre piuttosto passivo. Arrivando al termine del libro non si ha particolare desiderio di vedere come proseguirà la vicenda.

Cos’altro occorre? Personaggi memorabili. Questo elemento probabilmente andrebbe posizionato al primo posto in ordine di importanza, in quanto, come disse l’Autore Saggio, sono i personaggi che fanno la storia, e non viceversa. L’autore conosce fino in fondo la propria creatura, conosce anche quello che non racconterà, perchè lo farà trasparire dalle sue azioni. Personaggi veri con difetti veri, vivi, pensanti.
Nihal, Sennar, Soana: tutti i personaggi presenti nel romanzo della Troisi sono identici tra loro, non hanno voce, non hanno spessore. Nihal in particolare, che dovrebbe essere la nostra eroina, viene proposta come una guerriera implacabile ma al contempo una piagnona insensata, una calamità naturale in libera uscita, con una spiccata attitudine a fare cose stupide ed immotivate, lasciandole senza contesto e senza perchè.

Cos’altro ancora? Beh, lo stile. La storia migliore del mondo, con personaggi brillanti e vividi, staranno sempre nel pozzo della mediocrità se verranno raccontati con una voce mediocre e senza stile. Non ci si improvvisa scrittori, nemmeno di fantasy, anzi: per rendere credibile la propria creatura bisogna documentarsi, perchè sono i dettagli a fare la differenza. Se si vuole incentrare un romanzo sull’aspetto del combattimento, occorre almeno sapere come sono fatte le armi, come si impugnano e si maneggiano, come si effettua un corpo a corpo. Si studiano i tempi, i ritmi, si impara la terminologia, si *osserva* e si cerca di riprodurre a parole. Se intendo creare il mio mondo basandomi su principi scientifici seppur manipolati, sarà bene essere informato su questi principi che voglio sovvertire.
Nel libro della Troisi manca tutto questo: manca la documentazione alle spalle di quello che scrive, ma manca anche lo stile evocativo in ciò per cui avrebbe gli strumenti di descrivere. La città verticale di Salazar, per esempio. Ci fa mancare completamente gli strumenti per vedere questa torre, e di fatto non la vediamo e non capiamo come sia strutturata (e il giardino al fondo della torre? Si è mai fatta un disegnino? Un giardino interno ad una torre sarebbe ben umido e poco rigoglioso per la scarsità di sole…). La narrazione è frettolosa ed accozzata, in più di 300 parine succede di tutto e di più, e al lettore mediamente interessato alla fine del libro non rimane quasi nulla nella memoria.

Insomma, probabilmente ne avrete abbastanza e di certo ne abbiamo abbastanza noi. Ci va talento per scrivere un romanzo degno di essere letto, anche per scrivere un fantasy, che ha la fama della Cenerentola dei generi letterari (basta una spada, un buono, un cattivo, un po’ di magia e il fantasy è fatto, che ci vuole?). Il problema, riteniamo, sta anche nella scarsità dei buoni esempi al momento. In mancanza di questo, ci si improvvisa (se la Mondadori ha pubblicato lei, posso farmi pubblicare qualunque cosa!)e probabilmente l’aspetto più utile è l’autocritica.
Nonostante tutto, vi consigliamo di leggere questo libro, se avete tempo da spendere, perchè tutto insegna, anche i cattivi esempi.

Mucchio d’ossa – S. King

Postato da Legione il 15 Ottobre 2010

Lessi questo libro tanti anni fa e da allora ne ho sempre conservato un ricordo da definizione da copertina: una bellissima e tragica storia d’amore. Ricordavo con particolare chiarezza gli aspetti più struggenti dell’amore tragicamente interrotto del protagonista Mike Noonan nei confronti della sua defunta consorte Johanna, incastonato in un contesto più o meno nebuloso di fantasmi e presenze incorporee.
Qualche giorno fa ne parlavo con una collega, che aveva apprezzato il libro ma nel quale aveva rilevato particolarmente l’aspetto carnale della storia, aspetto che io non ricordavo affatto.
Mossa quindi dalla volontà di riscoprire un libro in ogni caso notevole, ho ripreso in mano Mucchio d’ossa, probabilmente uno dei migliori romanzi nel nostro sempre mitico Re del Brivido.
Il risultato di questa seconda lettura è stato interessante ed ha confermato quello che molti esperti hanno spesso sostenuto: un bel libro contiene principalmente quello che il lettore ci vuole vedere.
La rilettura ha messo in evidenza al mio occhio più maturo la trama, che è molto intricata e per niente semplice da seguire (chi non si è mai perso attraverso gli alberi genealogici?) e ha fatto risaltare tutti gli aspetti torbidi della vicenda: le presenze incorporee (o quasi), la potenza dei ricordi, la vendetta, l’istinto e, naturale e sempre presente nei libri di King, la crudeltà umana portata al parossismo e incarnazione di ciò che c’è di Male in ciascuno.
L’aspetto romantico è presente, sì, ma quello che più mi ha coinvolto questa volta è stato l’amore praticamente paterno che il protagonista Mike riversa sulla piccola Kyra, questo amore, esatto fulcro non dichiarato dell’intera vicenda.
E’ vero, i bei libri comunicano con chi li ha in mano, ma al contempo diventano specchi che permettono al lettore di vedervi riflessi i propri pensieri e sentimenti, dandogli forma e sostanza, anche se attorno alle circonvoluzioni di lettere e punteggiatura.
Questo libro esce un po’ dal seminato horror di King, ma non di molto e comunque non lo lascia rimpiangere: unisce abilmente amore e morte, coinvolgendo il lettore in spirali sempre più strette di ansia ed apprensione. La parte finale è comunque estremamente Kinghiana, forse addirittura in eccesso, stonando un po’ nei confronti di un contesto così abilmente cesellato, ma glielo si può perdonare: dopo 600 pagine di romanzo, il finale col botto è più che gradito.
In conclusione, Mucchio d’ossa è e resta uno dei prodotti migliori usciti dalla mente maleducata di King, complesso e ponderoso ma toccante e coinvolgente come pochi altri. Da leggere assolutamente.

Recensione scritta da Sayu

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Scheda: Un tocco di morte – C. Harris

Postato da A&C Staff il 14 Settembre 2010

copertina un tocco di morteCharlaine Harris
Un tocco di morte
Traduzione di Simona Adami e Chiara Marmugi

pp. 200 ca. – euro 12,00
ISBN: 978-88-7625-090-3
In libreria: 10 settembre 2010

Al secondo posto nella bestseller list del New York Times, dall’autrice di culto Charlaine Harris, i racconti che svelano tutto ciò che di Sookie Stackhouse non si leggerà mai nei libri della serie Trueblood.
Posti cronologicamente tra un libro e l’altro, gli episodi narrati da Charlaine Harris in Un tocco di morte sono racconti spassosi, divertenti, a tratti cupi, che ripropongono ora personaggi già noti, ora inediti, in nuovi intrighi e nuove storie.

Dai libri della Harris è tratta la serie tv Trueblood, scritta, prodotta e in parte diretta da Alan Ball, autore del fortunato Six Feet Under e sceneggiatore di American Beauty.
Cinquantanove anni, una carriera letteraria dedicata al mistery, circa trenta titoli all’attivo, la Harris è un vero e proprio caso editoriale internazionale.

L’autrice
Charlaine Harris è nata in Mississippi. Da oltre vent’anni scrive opere di genere mystery e fantasy, è membro autorevole della Mystery Writers of America e della American Crime Writers League. Il ciclo di Sookie Stackhouse ha ottenuto un grande successo in America e ha vinto il prestigioso Premio Anthony per la narrativa mistery. Charlaine Harris vive in Arkansas con suo marito e tre figli.

«Mi sono divertita a scrivere queste storie. Qualcuna è spassosa, qualcun’altra più cupa, ma tutte mettono in evidenza un lato del carattere di Sookie o un episodio della sua vita che nei libri non compaiono. Spero che vi diano lo stesso piacere, nel leggerle, che hanno dato a me nello scriverle.» Charlaine Harris

«L’autrice mescola abilmente i generi rosa, horror e poliziesco. I suoi vampiri sono anzitutto degli outsider, indecisi tra l’assimilazione e l’obbedienza alla loro natura selvaggia tra una vita normalizzata e il richiamo del sangue. I romanzi della Harris non hanno nulla da invidiare a Via col vento e Rebecca.» Ranieri Polese, Corriere della sera

«True Blood propone un’America di un imprecisato futuro in cui i vampiri possono finalmente essere accettati. Invenzioni di questo genere finalizzate a normalizzare il vampiro dimostrano inequivocabilmente che il vampiro ci piace al punto che vorremmo essere come lui.»
Tommaso Pincio, Il manifesto

«Charlaine Harris ha una scrittura efficace e precisa». The New York Times Book Review

«La Harris ha creato un universo irresistibile e i suoi libri sono sexy, avvincenti, spiritosi.»
Alan Ball, creatore della serie True Blood e Six Feed Under

Uomini che odiano le donne – S. Larsson

Postato da Legione il 30 Luglio 2010

Su questo libro molto è già stato detto, quindi scriverne ancora potrebbe risultare ridondante. È un romanzo che sa farsi amare, nonostante alcuni ne abbiano criticato lo stile, non propriamente “di alto livello”, e la storia sia a tratti infarcita da stereotipi di vecchia data.
Premesso questo c’è però un aspetto in Uomini che odiano le donne di cui, credo, si possa ancora parlare senza cadere nel già detto. Basta leggere il titolo per capire di cosa si tratta: l’odio, la violenza che alcuni uomini provano nei confronti delle donne.
Certo, è vero che la storia parla di un serial killer, di un pazzo esaltato da se stesso e dalla sua psiche malata, quindi la violenza di costui è fine a se stessa, ma è anche vero che ogni parte del romanzo è accompagnata da dati reali che fanno venire i brividi. Ad esempio:

Parte Prima: “In Svezia il 18% delle donne al di sopra dei quindici anni è stato minacciato almeno una volta da un uomo”.

Almeno una volta. Nell’uomo c’è spesso una violenza gratuita e non giustificabile nei confronti della donna: fisica o psicologica che sia. E di questa violenza subìta che non può (e non deve) essere tollerata è simbolo Lisbeth Salander, il personaggio icona di Larsson, quello meglio riuscito, capace di ritagliarsi un ruolo da co-protagonista accanto al giornalista, “macho dal cuore tenero”, Mikael Blomkvist.
Ogni donna che si è sentita impotente di fronte a un uomo, per un’attenzione non richiesta, uno spazio violato, un rispetto negato, ha sognato di essere come Lisbeth Salander, di avere la sua stessa freddezza e lucidità per mettere in pratica non una vendetta come quella che amano gli uomini – violenta e letale – ma quella più sottilmente femminile: la tortura psicologica. Quello che hai fatto ti rimarrà marchiato addosso perché tu non lo possa più fare: questo è il potere di una donna su di un uomo, questa la vendetta di Lisbeth sul suo aguzzino.
Il merito di Larsson in questo libro non è solo quello di aver scritto un ottimo giallo-thriller dal ritmo incalzante, ma anche di aver saputo dar vita a un personaggio come Lisbeth, ovvero un personaggio che, anche a mistero scoperto, continua a stupirti e al quale finisci persino per affezionarti perché, per quanto non vorresti essere come lei, una parte di te l’ammira e spera che sia lei a vincere su tutti.

Recensione scritta da L’Imbrattacarte