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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Hyperversum – C. Randall

Postato da Legione il 29 Dicembre 2009

copertina hyperversumTrama: uno strano avvenimento porta Ian, Daniel e i loro amici all’interno del mondo di Hyperversum, un videogioco estremamente realistico ambientato nel medioevo. Dopo essere scappati alle crudeltà degli Inglesi, il gruppetto si trova sempre più immerso nella scrittura della Storia così come la conoscono.

Potrei iniziare e concludere qui la mia recensione dicendo che, alla fin fine, questo libro altro non è che il solito fantasy italiano. Ma mi rendo conto che sarebbe un’imprecisione, quindi cerco di continuarla per spiegare cos’ha di buono e cosa no. Iniziamo dal cosa no: stile di scrittura, costruzione della trama e, infine, i personaggi. In realtà il libro, di per se, non è scritto male e la trama non è nemmeno tanto banale. Purtroppo, il motivo scatenante di Hyperversum viene presto dimenticato per ritornare solo casualmente durante la storia e in maniera quasi del tutto incongrua nel finale. Non mancano i momenti appassionanti e coinvolgenti, ma nel complesso si nota una cosa sola: totale incapacità di mostrare gli eventi. Anche qui, altra precisazione: la Randall è brava a descrivere abiti e castelli, ma è debolissima (no, no, è proprio indecente) quando si tratta di mostrare scene concitate o di guerra. Se alla fine del libro avremo capito benissimo quanto sia gnokka [cit.] Isabeau, non avremo capito assolutamente niente delle effettive capacità nella spada di Ian o di come si sia svolta la battaglia finale. I personaggi, poi, lasciamo perdere. Più stereotipati dello stereotipo, per chiunque sia anche solo leggermente avvezzo alla letteratura di genere: Ian è il classico eroe senza macchia e senza paura, inizialmente confuso dal mondo in cui si trova catapultato, ma capace di prenderne le redini e piegarlo al suo volere; Isabeau l’eroina che accetta il suo destino senza piegare il capo, ma che nel cuore cova un segreto (insomma) amore per il protagonista; Daniel l’amico dell’eroe, disposto a fare di tutto per l’amico, tranne abbandonarlo nella più cupa disperazione per qualche giorno e tornare, infine, con la coda tra le gambe. Gli altri, sono solamente delle sagome messe lì per riempire li spazi. Anche se ci riescono abbastanza bene, devo dirlo. Certe situazioni, poi, lasciamo perdere: credo di aver riso alle lacrime quando Daniel ha citato il Robin Hood della Disney, ma lascerò a voi il piacere di scoprire quando e come.
Ora, mi sono dimenticato cosa avevo pensato di aver visto di buono in Hyperversum!
Scherzo.
Di buono, Hyperversum ha che non è esattamente il solito fantasy italiano: il mondo non è popolato da elfi, draghi e nani, ma solo da esseri umani che cercano di seguire un certo realismo storico. Anche se all’inizio la trama si sviluppa in maniera un po’ affrettata, prosegue per una buona metà del libro senza scadere eccessivamente nel banale. Salvo poi impantanarsi nella solita, inutile commedia amorosa, necessaria solo per prolungare la tortura (ottocento pagine di libro, di cui la metà dedicata alle magagne amorose di Ian e Isabeau, le considero una tortura) della trappola nella quale la Randall, da buona italiana, non è capace di sfuggire. I personaggi poi saranno anche stereotipati, ma in più di un’occasione risultano decisamente simpatici ed è raro che siano caratterizzati come Nihal o Sennar.
Ma su tutte, una cosa di questo libro l’ho apprezzata: vale a dire che la Randall non ha cercato a tutti i costi il realismo, e questo si nota, ma soprattutto che lo ha ammesso. In coda al libro troviamo due paginette in cui lei si scusa per le imprecisioni (armi e armature, infatti, non mi sono sembrate molto credibili), ma le imputa solamente alla propria ignoranza e non ad un “beh, sui numeri non ci ho pensato troppo”. Grazie Randall, anche se forse è proprio per questo che non hai superato la Troisi nelle classifiche di vendita.

(A proposito: nel complesso, Hyperversum non mi è dispiaciuto. Non è un capolavoro, ma non è certo un libro da mettere negli abissi dello schifo più assoluto. Non ho notato grossi problemi, tranne uno stile di scrittura da migliorare e dei personaggi che effettivamente sarebbero da rivedere. Però la storia, anche se senza grandi pretese, non è male e soprattutto è più credibile di molte altre del genere, soprattutto contando che la scrittrice è italiana. Perché si, nel fantasy, essere italiani è un grosso handicap. Quindi, se non avete di meglio da fare, leggetelo. Al massimo saltate le parti di Ian e Isabeau, se anche ve ne perdete un paio la storia la capite lo stesso… ma nel frattempo vi sarete risparmiati almeno 200 pagine.)

Edito da: Giunti. Ottocento pagine, copertina rigida, dimensioni contenute e grandezza dei caratteri decente. Il tutto per 7,90€. WIN. Anche se, al solito, un po’ di editing finale non avrebbe fatto schifo.

Recensione scritta da RM

Un gioco da ragazze – Diretto da M. Rovere

Postato da Legione il 25 Dicembre 2009

Abbiamo guardato questo film che abbiamo scovato non si sa bene dove nei meandri della rete. Ci ha incuriosito la locandina, ma anche il fatto che trattasse del tema (usurato?) del disagio giovanile e del bullismo al femminile e fosse al contempo vietato ai minori di 14 anni (ma per un certo periodo fu vietato ai minori). Ci siamo lasciati incuriosire da questo lungometraggio praticamente sconosciuto italiano, adattamento dell’omonimo romanzo di Andrea Cotti, anche se con un filino di supponenza.
Il film narra le vicende di tre ragazze, bellissime e di ottima famiglia, dagli atteggiamenti da “bulle” di scuola, dure, fredde e senza cuore, mangiauomini e sempre arrabbiate col mondo. Il fragile regno delle tre regine vacilla all’arrivo di un giovane professore di italiano, semplice e diretto, che non ha paura di loro, specialmente della boss delle tre, l’ape regina, che resta profondamente scossa da questa resistenza dell’uomo e la prende terribilmente sul personale, fino all’impensabile epilogo.
Come detto, eravamo scettici. Non è certo il primo nè sarà l’ultimo film che si dedicherà a questo tipo di argomento, cercando di trasmettere il messaggio critico nei confronti della gioventù bruciata da vita notturna, alcool, sesso e droghe, ma sempre ricalcando il clichè educativo ed immancabilmente fallendo.
Questo film, almeno da quel punto di vista, ci ha stupiti. La storia è malata ma non forzata, terribilmente verosimile, l’impostazione è più ritrattistica che educativa e moralistica. Abbiamo apprezzato molto il cast: Filippo Nigro è ottimo nei panni del professore equilibrato almeno quanto Chiara Chiti è una cupa e terribile ape regina, probabilmente il miglior sguardo truce del cinema contemporaneo italiano.
E, lì dove ci aspettavamo il crollo, abbiamo ricevuto una sorpresa: il finale. Aspettandoci infine la redenzione delle bad girls e quindi una ricaduta nella banalità, troviamo invece un epilogo che raggiunge le vette dell’impensabile.
Un film indubbiamente curato, con un’impostazione non banale, un cast adatto, un ritratto sociale forse estremo ma che richiama terribilmente le cronache degli ultimi anni.

La filosofia in quarantadue favole – E. Bencivenga

Postato da Legione il 21 Dicembre 2009

Di solito la filosofia è cosa da filosofi, non certo da gente comune che alle domande preferisce le risposte. Eppure quel giorno in libreria (una libreria nuova di zecca che era imperativo esplorare il prima possibile) il libro La filosofia in quarantadue favole di Ermanno Bencivenga mi incuriosì a tal punto che decisi di comprarlo.
Si tratta di favole brevi e brevissime ognuna delle quali tratta un tema chiave della filosofia con uno stile semplice ed immediato che incanta e incuriosisce. Ad esempio, è universalmente noto che due più due faccia quattro, ma cosa succederebbe se il quattro di stufasse di essere “solo quello”, un insipido numero pari, e aspirasse alle grandezze dei numeri dispari?
Oppure, perché alla domanda “Chi sei?” non possiamo rispondere con un semplice “Sono io”? E ancora, cosa c’è da capire nel mondo? C’è davvero qualcosa da capire?
Domande che nascondono altre domande, come infinite matriosche, a cui l’autore ha il pregio di far avvicinare il lettore con dolcezza, senza fastidiosi mal di testa.
Il libro non si legge per la trama, non ci sono né eroi né cattivi, ci sono invece tante storie in cui a volte si scorgono sia domande che risposte.
Non c’è da illudersi però di capire meglio la filosofia a fine lettura, quanto piuttosto si arriva a comprendere che essa permea la nostra vita quotidiana. Forse è per questo che ho apprezzato molto libro: perché ti ricorda che non si può sapere tutto e alle volte è il “non sapere e voler scoprire” a fare la differenza.

Recensione scritta da LM

Ti interessa acquistare questo libro? Prova su Amazon! La filosofia in quarantadue favole (Oscar saggi)

Abarat – C. Barker

Postato da Legione il 13 Dicembre 2009

Trama: la giovane Candy viene catapultata dal noioso Minnesota in un mondo incredibile. È Abarat, la terra delle venticinque isole: una per ogni ora, più la venticinquesima, l’isola senza tempo. Candy e Abarat sono molto più legate di quanto la ragazzina possa anche solo immaginare…

Alla fine del primo libro di Abarat (che scopro non essere autoconclusivo, il che mi fa incazzare abbastanza visto che non se ne fa cenno se non alla fine) sono spinto da due sensazioni contrastante. Da una parte, ho gradito Abarat: il mondo del libro non si appoggia sul fantasy di stampo Tolkieniano ma su fondamenta che, seppur non solidissime, profumano piacevolmente di originalità (almeno per me). L’idea di un mondo di Isole, ognuna ferma ad una precisa ora del giorno, abitate da creature di ogni tipo miste tra uomini e strani animali mi è piaciuta. Così come mi è piaciuta l’idea del collegamento tra i due mondi e del modo in cui essi interagiscono -anche se poco- tra di loro. Dall’altro, ho trovato una costruzione dei personaggi e delle situazioni molto grossolana e affrettata, per niente approfondita. L’evoluzione di Candy e delle sue reazioni ad Abarat (così come il viceversa) non è assolutamente coerente e buona parte delle cose che accadono non sembrano un seguito di causa-effetto ma solo del volere dell’autore. Quasi tutto sembra venire giustificato dal fatto che il libro è un fantasy. Questo vizio di mettere i fantasy nella collana “ragazzi” non lo sopporto, ma è vero che un lettore maturo non può uscire soddisfatto dalla lettura di questo libro. Nonostante questo, in parte sono catturato da questa nuova geografia e non vedo l’ora di leggere il seguito della serie. Ancora, però, non mi sento di consigliarla a nessuno che voglia leggere un buon libro.

Edito da: Bur. L’edizione Bur è abbastanza ben curata, anche se la traduzione avrebbe potuto passare sotto un po’ di editing. Bella copertina, suggestiva nella sua semplicità. Carta e inchiostro non sono il massimo della qualità, ma per 9€ possiamo anche accontentarci.

Recensione scritta da RM

Lo schiavo del tempo – A. Rice

Postato da Legione il 8 Dicembre 2009

Come spesso accade, penso, a tutti i maniaci compulsivi della lettura, talvolta si vogliono prendere in mano certi libri dei quali conosciamo bene l’autore, il suo modo di scrivere, l’argomento ci è congeniale ecc, anche se non conosciamo approfonditamente la trama della storia specifica che ci accingiamo a leggere.
E’ un po’ come andare in pizzeria e prendere veriazioni sul tema della nostra, amata, pizza preferita.
Questo è ciò che ci ha spinti nel prendere in mano questo volume, “Lo schiavo del tempo” di Anne Rice. Ne abbiamo letti molti, di suoi libri, con fortune alterne. Ineguagliabili le sue cronache vampiriche, sempre un po’ particolari e controversi i suo romanzi che escono dal solco da lei stessa tracciato. Con questo volume ci troviamo appunto in quest’ultimo caso.
Uno storico, Jonathan (un caso?), si trova bloccato in una baita in montagna, gravemente ammalato ed in fin di vita. Come un dono dal cielo, ecco arrivare un bellissimo giovane dai folti capelli neri e dallo sguardo carico d’amore. Lo cura, lo salva, ed in cambio chiede che la sua storia venga raccolta, scritta e resa pubblica.
Qui inizia il racconto del giovane Azriel, ebreo vissuto ai tempi dell’antica Babilonia ed ucciso barbaramente da negromanti incompetenti. Nasce così Azriel sotto nuova forma, uno spirito potentissimo, nato per fare del male e per essere schiavo dei suoi padroni, attraverso i secoli, ancorato alla terra mortale dalle sue stesse ossa d’oro.

Anche in questo romanzo abbiamo il leit-motiv della cronaca, lo stesso protagonista delle vicende narra al lettore la sua vita e la sua grama esistenza, con dovizia di paricolari. Al solito, la scrittura barocca della Rice permette di calarsi in queste atmosfere al di fuori del tempo.
Altro carattere distintivo è come sempre la caratterizzazione dei personaggi, carichi di sensazioni e sentimenti, lo sguardo sempre puntato verso l’interiorità, i pensieri e le emozioni.
Come spesso accade nei romanzi/cronaca, anche Lo schiavo del tempo non ha una vera conclusione, risolve le questione pressanti della narrazione ma lascia in sospeso moltissime domande, delle quali Azriel, in quanto protagonista e non narratore onniscente, non può conoscere le risposte.
Un romanzo forse poco noto all’interno del prolifico repertorio della Rice, ma che merita di essere letto con attenzione, per lasciarsi trasportare da questo protagonista, bellissimo come tutti i figli immortali che ci ha regalato l’autrice, che tenta di scoprire sè stesso e cerca di salvare l’Uomo per il quale nutre amore, odio ed invidia allo stesso tempo.

La casa del sonno – J. Coe

Postato da Legione il 1 Dicembre 2009

Trama: cinque ragazzi e una bambina si incontrano nel bellissimo dormitorio di Ashdown. Dodici anni dopo, un incredibile susseguirsi di esempi riporterà le loro strade, divise da tempo, ad incrociarsi con effetti devastanti.

Un po’ come al solito ho preso questo libro non tanto per il nome dell’autore, non l’avevo mai sentito prima, né perché ne avessi in qualche modo sentito parlare. Il titolo, La Casa del Sonno, semplicemente mi intrigava e la copertina -come quasi tutte le copertine Feltrinelli, oserei dire- aveva catturato la mia attenzione. Così mi sono trovato a leggere uno dei migliori libri che abbia toccato negli ultimi tre mesi, e visto i titoli che ho avuto modo di apprezzare non è certo poco. L’opera di Coe è un interessantissima commistione tra i migliori gialli psicologici e l’assurdità narrativa, il tutto unico con uno stile del raccontare che mi ha ricordato molto, almeno inizialmente, Le Regole dell’Attrazione di Bret Easton Ellis. Inizialmente scettico per aver trovato in La Casa del Sonno gli elementi di un libro che non mi era piaciuto affatto, mi sono dovuto ben presto ricredere di fronte al crescente coinvolgimento di cui quest’opera è capace. Il portare avanti due storie diverse su due piani temporali completamente differenti in un vortice di punti di vista quasi tutti opposti l’uno all’altro, assieme ad una sapiente gestione di chiusura e apertura dei diversi capitoli, trascinano il lettore nella storia e sembrano non volerlo abbandonare. Il problema è che lo fa: il finale è molto deludente e tutte le ottime premesse vanno a schiantarsi (ripensando al libro, trovo quasi ironica questa espressione) contro una scelta narrativa abbastanza banale, un po’ molto campata per aria e assolutamente fuori luogo rispetto all’atmosfera che lo scrittore era riuscito a creare fino a quel momento. Nonostante questo, il libro continua a scorrere tranquillo a dispetto di uno sconcerto iniziale per terminare il suo corso in modo naturale e, per così dire, nostalgico. La sensazione che rimane, alla fine, è quella di essere diventati padroni della storia e di poter ignorare le scelte dello scrittore per prendere il suo posto e decidere un finale tutto nostro.

Edito da: Feltrinelli. Per l’edizione Universale Economica ci troviamo con una bellissima copertina variopinta e un prodotto di qualità non eccelsa ma più che accettabile. La carta è sottile e i caratteri piccoli ma leggibili rendendo il tomo un ottimo compagno di viaggio. La traduzione sembra essere molto curata e il lavoro di editing sicuramente impeccabile vista l’assenza di typos di ogni genere.

Recensione scritta da RM

Gli anelli mancanti – I. Curzio

Postato da Legione il 29 Novembre 2009

Abbiamo affrontato con grande curiosità la lettura di questo volume. Ammettiamo che questo libro sia piuttosto singolare per le nostre abitudini letterarie: è un saggio (sebbene della giusta lunghezza e corredato da fotografie) e tratta indubbiamente di argomenti particolari, argomenti sui quali si sono versati fiumi di inchiostro e spese milioni di parole.
Esiste vita nel cosmo? Esisteva vita su Marte o su altri pianeti del sistema solare? Siamo stati visitati da queste civiltà? Addirittura, siamo noi frutto di un’evoluzione direttamente manipolata da agenti extraterrestri?
A queste ed a molte altre domande si cerca di dare una risposta in questa trattazione che, con umiltà, raccoglie un gran numero di informazioni dalle più svariate fonti e le presenta raggruppandole per argomento.
Il lettore così si trova naturalmente a riflettere su queste evidenze, a valutarle secondo il proprio sentire e a trarre le proprie conclusioni.
Le argomentazioni sono indubbiamente logiche e poste con chiarezza, senza forzare la mano sui passaggi e senza trarre conclusioni logiche dalle congetture. Gli argomenti sono presentati con dovizia di fonti e particolari, niente è lasciato nello scontato, visto che l’obbiettivo principale di questa tesi è appunto cercare i significati nascosti nelle pieghe che la storia e la scienza hanno lasciato, forse volutamente, poco chiare.
Anche il lettore più scettico si troverà inevitabilmente a ragionare sui temi proposti dall’autrice, senza necessariamente pretendere di consegnare una soluzione, ma offrendo una provocazione, come la stessa Curzio precisa nell’introduzione.
Insomma, un saggio che vale la pena di essere letto: per chi vuole credere sarà un’ulteriore prova a favore della propria posizione, per chi è scettico ma naturalmente curioso, troverà sicuramente buoni spunti di riflessione.

La casa degli spiriti – I. Allende

Postato da Legione il 15 Novembre 2009

Questo è indubbiamente uno dei romanzi di cui tutti hanno sentito parlare. Chi per il nome dell’autrice, Isabel Allende, una delle più grandi scrittrici al mondo e probabilmente la più grande sudamericana, chi più prosaicamente per l’omonimo film, interpretato da un cast veramente d’eccezione (e del quale provvederemo a fare una scheda al più presto). Insomma, anche solo di sfuggita questo romanzo lo conoscono tutti, ed è stato quindi con grande piacere ed aspettativa che lo abbiamo preso finalmente in mano.
Si presenta come un volumetto modesto (noi avevamo un’edizione paperback decisamente non lussuosa), nemmeno particolamente ponderoso. Leggendolo però siamo stati portati in un’altra epoca ed in un’altro luogo, in un Paese ufficialmente non meglio identificato del Sudamerica, ed abbiamo assistito a quella che a tutti gli effetti è una saga famigliare.
Un’anonima voce narrante ci espone i fatti in rigoroso ordine cronologico, partendo dai genitori di coloro che poi saranno i patriarchi della famiglia Trueba attraverso le tre succesive generazioni. Un racconto incredibile, denso di fantasmi, appunto, di predizioni e premonizioni ma al contempo terribilmente terreno, crudo e duro, ricalcando la stessa dicotomia che compare all’interno dei Trueba tra i maschi, prosaici e materiali, e le femmine della famiglia, sensibili alle influenze spiritiche ma anche alla compassione e all’empatia.
La stessa dicotomia di un Paese che è sempre vissuto di agricoltura ed allevamento sereno ma senza diritti che vede se stesso trasformarsi dall’interno per sfociare in un sovvertimento di forze e di
poteri, un golpe ed una dittatura militare che risultano peggiori della situazione che intendevano migliorare.
Attraverso la storia intricata dei Trueba e dei molteplici protagonisti si narrano le vicende storiche di un Paese, il Cile, che ha dovuto realmente patire questi sconvolgimenti politi e sociali e che faticosamente è riuscito poi, in epoche più vicine alla nostra, a rimettersi in sesto dopo anni di guerre intestine e grandi patimenti.
Questo è il romanzo di esordio della Allende, e capiamo bene perchè sia stato acclamato subito come un grande capolavoro. Nonostante la grande quantità di personaggi e vicende, l’autrice riesce a intrecciare tutte le variabili, spargendo semi di curiosità su quello che dovrà ancora raccontare pur mantenendo un rigoroso ordine cronologico, alternando la voce distaccata del narratore alla prima persona del patriarca Esteban, disegnando in tal modo personaggi vivi, pensanti e tormentati.
Un romanzo, un best seller, un grande classico moderno da leggere assolutamente.