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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

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Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Penne d’aquila – S. Polimanti

Postato da Legione il 8 Febbraio 2013

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Susanna Polimanti nel suo romanzo Penne d’aquila racconta i moti interiori della protagonista Virginia, attraverso gli eventi salienti della sua vita, alla ricerca di un equilibrio e di una risposta alle sue tante incertezze.
Questo romanzo ha senz’altro una valenza autobiografica, sebbene sia evidente la scelta simbolica dei nomi dei personaggi: l’autrice interviene più volte all’interno della vicenda con osservazioni e commenti, manifestando la sua presenza. Purtroppo la scelta di utilizzare la terza persona rende la lettura molto difficile ed è arduo il mantenimento ad alti livelli dell’attenzione. Tutte le vicende vengono strettamente narrate e mai mostrate, ogni episodio viene caratterizzato da scarsa tridimensionalità immersiva proprio a causa dell’uso della terza persona, i pochi dialoghi suonano forzati e poco verosimili e gli stesssi personaggi vengono descritti con i tratti tipici del clichè.
L’utilizzo della prima persona avrebbe reso più verosimile e più comunicativo il viaggio nell’interiorità della protagonista, rendendo quindi più accettabili anche le osservazioni personali, donando all’opera una forma di diario più rigorosa.
La struttura narrativa non è molto forte, spesso in alcuni passaggi in particolare nella prima metà del romanzo il lettore fa fatica a seguire agevolmente i riferimenti a personaggi che non sono stati adeguatamente illustrati in precedenza.
Un romanzo fortemente introspettivo che illustra uno sfogo dell’autrice in una forma forse non proprio efficace ma che costituisce un banco di prova per una fruttuosa crescita futura.

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Breve guida al suicidio – G. Galato

Postato da Legione il 14 Gennaio 2013

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Ben lo sanno gli attori e gli autori, di libri, di teatro e di cinema: far ridere il pubblico è estremamente difficile.
Suscitare le lacrime è quasi banale, basta fare perno sulla pietà, sul patetismo all’occorrenza. Le corde umane da solleticare per commuovere il pubblico sono poche e abbastanza chiare. Ben più arduo è invece suscitare vero divertimento.
L’umorismo ha connotazioni fortemente personali: c’è chi si diverte con battute semplici e che non capisce quelle più complesse, ricche di sottointesi; c’è chi apprezza un umorismo ricercato e un po’ “nerd”, che però non viene compreso dai più. La via più corta è far perno sul turpiloquio e l’umorismo becero da strada, mentre quella più lunga è senza dubbio lo humor inglese, ricco di sottotesto e sfumature.
Il giovane Giuseppe Galato si è voluto cimentare in un’impresa ambiziosa, sotto diversi punti di vista. Con il suo breve ebook Breve guida al suicidio ha voluto fare un omaggio all’umorismo dell’assurdo e del nonsense filosofico di grandi esponenti mondiali: Douglas Adams, Woody Allen e i Monthy Python, su un tema delicato come quello del suicidio.
Sarà per l’arduo cimento e per la limitata esperienza in ambito letterario, ma questo saggio sui generis riesce a strappare solo qualche sorriso. L’autore si destreggia sui giochi di parole, in particolare stroppiando i nomi, lasciando sottointesi e citazioni che spaziano un po’ ovunque nella cultura pop (sicuramente ne abbiamo mancati più di metà), ma il riconoscimento di questi messaggi porta ad un divertimento molto contenuto.
A nostro avviso il punto più critico che non permette di apprezzare appieno lo sforzo creativo (che non dubitiamo sia stato consistente, perchè la cura nella realizzazione di quest’opera è chiara) è la raffica di riferimenti umoristici, che non danno tregua. Più probabilmente, se il testo fosse strutturato attorno ad una storia, concedendo qualche pausa nel fuoco di fila delle gag, permetterebbe al lettore di apprezzarle meglio.
Nel complesso comunque l’idea è buona e, come detto, ambiziosa: l’autore spazia tra psicologia, filosofia, religione, attualità, politica, storia, società e costume con intelligenza e sagacia, nonchè anche una buona dose di coraggio per il politically incorrect.
Insomma, una lettura piacevole, forse un po’ troppo concentrata sull’umorismo a tutti i costi ma che senza dubbio può piacere.

E’ possibile scaricare il pdf qui: www.breveguidaalsuicidio.it

Lo Hobbit, un viaggio inaspettato – regia di P. Jackson

Postato da Legione il 10 Gennaio 2013

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In tutte le grandi storie che si rispettino, c’è sempre qualche aspetto che va approfondito, qualche sottotrama che merita un ampliamento o più semplicemente le avventure complesse fondano le loro radici in un passato e in altre avventure che meritano di essere raccontate.
E’ questo lo scopo di Tolkien nello scrivere Lo Hobbit: raccontare le vicende che hanno preparato il fato a compiersi ne Il Signore degli Anelli.
Peter Jackson si è cimentato nella trasposizione cinematografica anche di questo romanzo, che a confronto della più famosa trilogia altro non è che un timido libretto, più fortemente orientato ad un pubblico giovane.
Ne è nata un’altra trilogia, della quale Un viaggio inaspettato è il primo capitolo.

L’impressione generale che ne abbiamo è positiva: uno sforzo stilistico che regge il confronto con i titolati predecessori, buoni gli attori, sempre superlativi i costumi, ottimi gli effetti speciali e le ambientazioni, semplicemente mozzafiato i paesaggi.
Qualche nota negativa però è presente. Sicuramente la lunghezza: più di due ore e mezza di film non avrebbero risentito di una sforbiciata, in particolare all’inizio, dove il ritmo lentissimo fa perdere un po’ dell’entusiasmo dettato dalla curiosità. Altra pecca l’abbiamo riscontrata nel doppiaggio di Gandalf (siamo nostalgici, e quello tradizionale ci piaceva più dell’attuale Proietti) e, curiosamente nel suo trucco: nei primi piani ci è sembrato talmente mal fatto che abbiamo pensato non fosse nemmeno Ian McKellen.
Per il resto tutto in regola, come ogni appassionato si aspetterebbe: qualche scena di troppo con il principe Thorin in modalità Braveheart, un Gollum schizofrenico più che mai, torme di orchi e troll e goblin, tanti da togliersi ogni voglia.
Il vero grande assente, non per colpa del film ma perchè latitante proprio nell’opera originaria, è l’individuazione di un vero e proprio antagonista. Nel romanzo Bilbo e compagni si trovano a fronteggiare orde di creature malvagie ma di fatto indistinte, mentre nel film è stato utilizzato l’espediente dell’ orco pallido per creare un avversario a Thorin, in attesa di incontrare il terribile Smaug (che ci incuriosisce moltissimo!).

Insomma, un film da vedere per tutti gli appassionati del genere, con qualche digressione e approfondimento preso dalle appendici de Il signore degli anelli, sempre pertinenti. Non all’altezza della trilogia ma sempre un degno e piacevole spettacolo.

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Così parlò il nano da giardino – M. Oggero

Postato da Legione il 29 Dicembre 2012

C’era una volta un’allegra colonia di gerbilli in un ameno gerbido. Un brutto giorno vennero a scoprire che nel giro di poco tempo sarebbe sorto lì accanto una terribile pensione per cani. I gerbilli affranti cercarono soccorso da Gongolo, il saggio nano da giardino, che illustrò loro l’unica soluzione possibile.

Così parlò il nano da giardino, di Margherita Oggero, altro non è che una piacevole favola, parecchio surreale come solo le favole sanno essere. E’ anche un esercizio di stile, perchè l’autrice, pur senza indugiare nell’alludere a morali o a messaggi nascosti nel sottotesto, gioca con le parole (a partire dall’esordio sui gerbilli nel gerbido), le figure retoriche, le allitterazioni, creando scene al limite della comicità e dell’assurdo.
Una velocissima e piacevole lettura, di puro intrattenimento.

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Mysterious skin – regia di G. Araki

Postato da Legione il 25 Dicembre 2012

Cittadina della provincia americana. Un ragazzino, Neill, a soli otto anni, viene fatto oggetto degli abusi sessuali dal coach della sua quadra di baseball, reiteratamente per diversi mesi. Nello stesso periodo Brian, suo coetaneo e concittadino, viene rapito dagli alieni, causandogli vuoti di memoria e frequenti epistassi.
Con il passare degli anni, i due ragazzi vivono le loro vite infuenzate da questi due avvenimenti: Neill accetta la propria omosessualità ed inizia a prostituirsi mentre Brian cerca informazioni ed indizi sul rapimento alieno facendolo diventare il suo unico interesse e scopo.
Le loro strade a distanza di molti anni si incroceranno di nuovo e sopraggiungerà finalmente chiarezza per entrambi, ma ad un prezzo molto alto.

Questo film del 2004 di Gregg Araki, Mysterious skin, costituisce una di quelle esperienze destabilizzanti che lasciano un senso di orrore e distaccamento dalla realtà allo spettatore. E’ di certo un film non adatto agli stomaci deboli, poichè l’argomento trattato è profondamente disturbante, sebbene sia maneggiato con una sensibilità ed una schiettezza difficile da rintracciare in altri titoli analoghi.
Bravissimi i due giovani protagonisti, Joseph Gordon-Levitt brilla per espressività e credibilità in una vera prova d’attore, in una parte che avrebbe fatto tremare le vene ai polsi a qualunque altro collega più consumato.
Tratto dal romanzo omonimo di Scott Heim, ne mutua la narrazione soggettiva, rendendo la angosciosa vicenda ancora più cruda e vibrante.
Senza dubbio film come questo trasmettono con efficacia il messaggio secondo il quale il vero orrore non si manifesta in zombie, fantasmi, mostri o alieni, ma si può nascondere nella quotidianità, nella routine, nella distrazione delle madri, negli incubi dei bambini. Un film da vedere con consapevolezza ed un po’ di coraggio, ma assolutamente notevole.

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Shutter island – regia di M. Scorsese

Postato da Legione il 21 Dicembre 2012

1954. Teddy Daniels e il suo vice Chuck, agenti federali, arrivano sull’isola di Ashecliffe ad indagare sulla sparizione di una donna infanticida in cura nell’ospedale psichiatrico criminale residente sull’isola. A causa del maltempo, i due si trovano nell’impossibilità di rientrare sulla terraferma, e le indagini, bruscamente interrotte con il ritrovamento della donna, iniziano a scoprire attività sospette celate sotto la rigorosità scientifica dell’istituto.
Ma, grattando sotto la superficie, qualcos’altro cova sotto la cenere, perchè niente è come sembra.

Il crepuscolare ed evocativo film di Martin Scorsese, Shutter island, nasce dal meno noto romanzo L’isola della paura che abbiamo segnalato tempo fa. Cast d’eccezione, dallo spettacolare Leonardo di Caprio che diventa di fatto protagonista assoluto della sua storia, a un sinistro Ben Kingsley, un empatico Mark Ruffalo e una disperata e bellissima Michelle Williams, per un film che parte come un poliziesco e finisce come un thriller psicologico dalle tinte inaspettate.
L’ambientazione è degna dei migliori film horror, quasi un clichè per chi bazzica nell’ambiente dei videogiochi. Addirittura i tempi che scandiscono i movimenti dei personaggi e i tratti salienti della trama vanno in un crescendo di claustrofobia oscura nel male di paripasso con la presentazione di elementi importanti per districare la storia, esattamente come succede nella maggior parte dei videogiochi horror.
Il film infatti di per sè non stupisce con effetti speciali o con evoluzioni di trama imprevedibili, bensì si concentra sulle vicende umane, focalizzandosi in un primo momento sulle evidenti criticità del manicomio e dei ricoverati e poi, avvitandosi su se stesso, sulle uniche vicende umane che abbiano mai avuto davvero importanza, quelle di Teddy.
E’ un film questo che, con un altro regista e un altro cast, avrebbe potuto essere più che mediocre ed invece è un piccolo capolavoro nella sua semplicità, sia per la magistrale regia (e non poteva essere diversamente) che per la bravura indiscutibile degli attori. Di Caprio regge di fatto da solo l’intero film, con una espressività sconcertante.
Assolutamente consigliato agli amanti del genere.

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Alice nel paese della vaporità – F. Dimitri

Postato da Legione il 17 Dicembre 2012

Partiamo dalle cose facili. Alice nel paese della Vaporità è un romanzo del 2010 di Francesco Dimitri. In breve, in questo romanzo viene affrontata una rilettura in chiave retrofuturistica a vaga ispirazione steampunk della ben nota storia di Alice nel paese delle meraviglie, universalmente conosciuta.
Ora arriviamo alle cose meno facili. Abbiamo letto questo romanzo, lo ammettiamo, con un certo senso di sfida. Sappiamo bene in che condizioni vivacchia la fantasy italica, e questo romanzo pare abbia suscitato pareri piuttosto concordi, tra gli esperti del genere, segnalandolo come un altro pessimo esempio da annoverare nella categoria di cui sopra.

I buoni romanzi, di qualunque genere siano, devono essere in grado di comunicare con il lettore, deve saper mostrare le sue trame, il suo mondo, i suoi personaggi, dar voce alle loro storie.
Ebbene, Alice nella sua Steamland ci ha delusi, sotto tanti punti di vista.
Innanzitutto, dal punto di vista del contenuto. La trama è piuttosto deboluccia, tendente all’assenza, i punti cardine sono vacui tanto quanto la vaporità in cui sono immersi. C’è un senso di dispersione che permea tutta la storia, assimilandola, in questo senz’altro, alla storia nonsense della Alice originale. I personaggi sono piuttosto banali, Alice stessa ci ricorda da vicino Nihal della Troisi, almeno per i toni con cui viene descritta.
Abbiamo trovato lo stile dell’autore piuttosto scadente. Il concept su cui si basa la storia aveva un potenziale molto alto, ma non viene sfruttato, in primis dallo stile dell’autore, e poi dall’impronta che l’autore vuole dare alla storia stessa.
La voce del narratore è sempre molto presente, lasciando poco margine di manovra al lettore e all’immedesimazione. Ci vengono raccontate scene che sembrano uscite direttamente da uno splatter di serie B, di crudezza gratuita e non funzionali alla storia, che comunque non suscitano altro che noia e fastidio. Questo si presenta spessissimo, dalle descrizioni delle mutazioni dovute agli effetti della vaporità sugli esseri viventi, fino alla presenza di creature che non sembrano appartenere alla Steamland, come i vampiri, che sembrano inseriti lì, a bella posta, tanto per fare calderone. Non una trovata originale, non un accenno di vero sense of wonder. Cose già viste, già lette, usurate e consumate.

Inoltre, questa assenza di contestualizzazione è quello che, a nostro avviso, fa sì che Alice nel paese della Vaporità sia steampunk solo di nome e non di fatto. Abbiamo la presenza, infatti, di marchingegni retrofuturistici che funzionano a vapore, ma la loro esistenza è del tutto marginale, immotivata, di contorno. La storia stessa si sarebbe potuta reggere senza problemi anche in assenza di macchine a vapore.
La storia in sè, quindi, oscilla tra il disgusto controllato, la voglia di suscitare sensazioni estreme senza riuscirci, e il banale/già visto. La struttura di base infatti ripercorre quasi pedissequamente quella de La storia infinita, storica opera di Michael Ende. A discostarsi da questa, abbiamo un sovrannumero di concetti astratti, a descrizione (e giustificazione) del mondo Steamland, che non chiariscono le questioni ma le confondono ancora di più.

L’autore esprime la sua teoria, ma senza fornire prove, dimostrazioni tangibili nella trama, cambi di punti di vista, intrecci, per renderlo credibile ed eventualmente condivisibile dal lettore.
In questo romanzo non accade niente di tutto questo: vengono proposti una serie di sparate nozionistiche nelle quali veniamo resi edotti di questo e quello, senza che il lettore possa essere messo in grado fattivamente di comprendere ed immedesimarsi.

L’autore sostiene che la Vaporità produca effetti sinestetici su chi la respira, eppure questo sconvolgimento appare a gusto dell’autore, solo quando gli serve; l’utilizzo di deus ex machina grossi come carri allegorici, che di fatto in più di un’occasione costituiscono l’unico mezzo per mandare avanti la storia… potremmo andare avanti ancora parecchio elencando le sconsideratezze narrative contenute nel romanzo.

In breve, ci sembra che Alice nel paese della vaporità sia un romanzo più che mediocre: dal tono accondiscendente e dalla scarsa cura strutturale potremmo quasi considerarlo come YA di basso profilo, ma i contenuti lo fanno rientrare nella letteratura per adulti, i quali potrebbero (dovrebbero?) offendersi a giusto titolo se si trovassero nelle condizioni di acquistarlo.

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Trans-Human Express – L. Kremo

Postato da Legione il 12 Dicembre 2012

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In un futuro non molto lontano, la Terra è coperta da una coltre quasi impenetrabile di inquinamento e abitata da uomini insieme a costrutti e cyborg. All’improvviso e uno dopo l’altro, tutti gli uomini più importanti del mondo, capi di stato, primi ministri e capi religiosi, vengono colti da un breve malore e iniziano a manifestare comportamenti singolari, portando rapidamente ad una distruzione dei già fragili equilibri politici tra le potenze mondiali.
Luke Pitagora, ex detective particolarmente dotato, viene coinvolto nella task force d’emergenza istituita per arginare la crisi politica mondiale. Ben presto però scoprirà, attraverso vie sempre meno lecite, che dietro questa apparente follia generalizzata si nasconde un’eminenza grigia dalla lunga mano e dagli obiettivi decisamente ambiziosi.
Trans-Humans Express non è certo il primo romanzo di fantascienza all’attivo dell’autore Lukha Kremo, e si vede. Un progetto di ampio respiro, quasi enciclopedico, che va a toccare oltre ai temi tanto cari alla fantascienza classica (tecnologia, fantapolitica, distopie, decadimento ecologico) teorie e concetti a cavallo tra la scienza e l’immaginazione. Meccanica quantistica, viaggi nel tempo, personaggi storici, filosofia, religione, medicina e tanti altri elementi compongono la complessa trama di questo romanzo, arricchendolo di implicazioni e dando al lettore sempre nuovi motivi di stupore e di riflessione.
I personaggi sono interessanti, ma forse proprio il debole spessore caratteriale ed emotivo che viene dato loro costituisce un po’ il punto di carenza di questo romanzo altrimenti molto forte ed efficace. La scientificità dell’approccio e l’accuratezza dello stile sono consistenti con quelle tipiche del genere ma concedono poco spazio alla caratterizzazione emotiva dei protagonisti, in particolare per Luke che nelle sue accezioni più umane si esprime in modo un po’ stereotipato e in generale poco convincente.
Sicuramente un romanzo di quella fantascienza che non ti aspetti, che ti concede anche uno sguardo nuovo sul presente e l’attuale e che sa portarti in un mondo fosco dalle regole imprevedibili, raccontato con competenza e equilibrio.

 

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