Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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La lunga marcia – S. King
«La città stessa era stata inghiottita, strangolata e sepolta. [...] C’era solo la folla, una creatura senza corpo, senza testa e senza cervello. La folla era solo una voce e un occhio, e non c’era da stupirsi che fosse tanto Dio quanto Mammona. [...] Era come camminare in mezzo a giganteschi tralicci di alta tensione, sentendo un continuo susseguirsi di scosse e crepitii che facevano rizzare i capelli, seccavano la lingua in bocca e davano l’impressione che gli occhi facessero scaturire scintille roteando nelle orbite. La folla doveva essere accontentata. La folla doveva essere adorata e temuta. La folla voleva il sacrificio.»
Nel 1979 Stephen King pubblica questo inquietante romanzo sotto l’ormai celebre pseudonimo di Richard Bachman. La lunga marcia ha una trama semplice e lineare, che riassume le regole di questo gioco perverso: 100 ragazzi volontari si mettono in marcia attraverso il Maine. Se camminano troppo lentamente, si fermano, indietreggiano, abbandonano la sede stradale, vengono uccisi a fucilate. La marcia andrà avanti fino a quando ne resterà uno solo, il vincitore, al quale verrà concesso per premio qualunque cosa lui voglia.
Sul piano strettamente contenutistico, questo romanzo non è niente di più di questo. Ma la vera maestria di King risiede proprio nella sua capacità di trasformare una storia poverissima in un romanzo magnetico ed appassionante, che è in grado di tramortire il lettore e trascinarlo in questo stillicidio, in questa follia, con il focus nella mente del protagonista.
Il narratore è una terza persona stretta sul personaggio protagonista, Garraty, un giovane ragazzo equilibrato, sano e robusto. Abbiamo la possibilità quindi di avere una visione talvolta a volo d’uccello sulla comitiva che ci consente di seguire la progressione della marcia, e allo stesso tempo possiamo entrare nella mente del protagonista, nei suoi pensieri e paure, nelle sue considerazioni nei confronti di questa impresa assurda.
Oggi risulta inevitabile fare un raffronto tra La lunga marcia e Hunger Games, in particolare a causa della crudezza e la precisione delle regole del gioco e la delineazione di uno scenario distopico. Se Hunger Games ha il suo punto di forza dall’impotenza dei giocatori che si trovano nell’arena di morte loro malgrado, La lunga marcia verte proprio sul concetto opposto. Tutti i cento marciatori sono volontari, si sono candidati spontaneamente, con le loro intrinseche motivazioni (tendenzialmente autodistruttive). E’ pur vero che nella società distopica la Marcia viene interpretata come una specie di prova di valore, alla quale più o meno tutti i giovani uomini sono soliti candidarsi, ma alla quale nessuno crede davvero di partecipare, almeno finchè il loro nome non viene scelto.
Come Ossessione, anche La lunga marcia presenza le caratteristiche peculiari di King ma allo stesso tempo mostra tratti tipici di Bachman: più crudi, più realistici, più vividi, del tutto scevri dagli accenti soprannaturali classici della produzione ufficiale.
Un romanzo annichilente, assolutamente consigliato.
Noticina di puro orgoglio personale: abbiamo trovato un refuso! Uno dei personaggi puramente di contorno del quale viene citato solo il cognome, muore qualche riga dopo la citazione riportata all’inizio di questo articolo e poi di nuovo nelle battute finali del romanzo. Nessuno è perfetto, neanche King
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Vernice fresca – A. Grassi
In una cittadina lombarda del 2007, un importante laboratorio di ingegneria genetica finisce al centro dell’attenzione pubblica locale per un allarme paventato dalla stampa e negato dalla dirigenza. Questo evento innescherà una reazione a catena alla scoperta di segreti taciuti, progetti sotterranei e altarini del passato riportati a galla, in una girandola di minacce, pressioni e morti sospette.
Vernice fresca di Antonio Grassi si presenta come un thriller incentrato sulle implicazioni potenzialmente distruttive dell’ingegneria genetica attraverso le attività di manipolazioni di virus, con accenni alla politica tanto locale quanto internazionale.
Il risultato alla lettura è però un testo eccessivamente verboso e dispersivo, povero di azione e dai personaggi piuttosto spogli. La scelta dell’utilizzo del tempo imperfetto e lo stile tipicamente giornalistico fa sì che il lettore si trovi collocato molto lontano dallo svolgersi degli eventi. Ogni fatto viene raccontato da un narratore onniscente e ubique che si destreggia in esercizi di stile, figure retoriche e similitudini graffianti ma che di fatto non mostrano nulla al lettore, lasciandolo distante.
I personaggi vengono descritti più e più volte a seconda del punto di vista del narratore, che si colloca ora sopra la testa di un attore e ora sull’altro. Il risultato è quindi un bouquet di personaggi senza voce e senza profondità interiore, che si muovono sulla scena come marionette. La povertà dei dialoghi non fa altro che rafforzare questa sensazione di distacco, mantenendo il lettore sempre e solo spettatore e mai partecipe dell’azione.
Queste caratteristiche tecniche fanno sì che le aspettative riservate al genere thriller siano del tutto disattese. Il ritmo è incalzante e nervoso ma dispersivo nell’ottica dell’avanzamento della trama, i passaggi più tesi vengono interrotti dagli interventi del narratore, che spezzano la scena e nuovamente allontanano il lettore dall’immedesimazione.
La trama ha effettivamente del potenziale interessante, anche proprio nell’ottica della creazione di un thriller dal tema atipico; inoltre è indubbio come l’autore abbia effettuato approfondite ricerche in preparazione a questo romanzo, che infatti disegna situazioni del tutto credibili senza lasciare la percezione di scenari raffazzonati.
Risulta però evidente come una base solida e l’effettivo carattere di approfondimento vengano smorzati da alcune scelte stilistiche opinabili, rendendo di difficile lettura un’opera fondata su una tematica già di per sè ostica.
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Ossessione – S. King
«Non esiste alcuna divisione del tempo con cui esprimere il midollo della nostra vita, il tempo fra l’esplosione del piombo dalla canna e l’impatto con la carne viva, fra l’impatto e la tenebra. C’è solo uno sterile replay istantaneo che non ci mostra niente di nuovo. [...] Che effetto prova un suicida quando piomba giù da un cornicione? Sono sicuro che la sensazione sia del tutto sana. Probabilmente è per quello che urlano durante tutto il volo. »
Esistono romanzi che per essere appassionanti e divertenti puntano tutto su uno stile accattivante, stringente o sapientemente cesellato; altri se la giocano con una trama straordinaria, bilanciata con maestria; altri ancora, quando difettano di entrambe le caratteristiche, puntano sul grottesco, sull’eccesso, sull’inverosimile, sul gusto dell’orrido per stupire, stregare, far sognare o quantomeno disgustare il lettore.
Esistono romanzi invece, pochi in verità, che non hanno bisogno di truchetti, non abbisognano nemmeno di avere chissà quale trama accattivante. Sono scritti semplicemente con una tale maestria e sapienza da mettere in luce la realtà che abbiamo tutti di fronte, nè più nè meno.
Uno di questi romanzi speciali è Ossessione, di Stephen King. Pubblicato nel 1977 sotto lo pseudonimo di gioventù Richard Bachman, in apparenza parla di come un giovanotto normale, un giorno parta di testa uccidendo due professori e sequestrando la sua classe.
In realtà, questo romanzo sintetizza con una lucidità agghiacciante quanto la follia non sia una eccezione, una fuoriuscita dagli schemi della normalità, bensì sia un aspetto presente in ciascuno di noi, che si manifesta in tanti piccoli segnali e che, in fondo, serve da punto di equilibrio per affrontare l’impredicibile che ci riserva la vita.
Naturalmente, al lettore superficiale o a colui che affronta un romanzo di questo genere con occhio malizioso, questo libro può apparire osceno e sovversivo, specie di fronte a tragedie avvenute nelle scuole non troppo tempo fa. Qualche mente già fragile ha trovato in Ossessione una giustificazione per i propri istinti violenti, emulandone le gesta. Non deve stupire infatti che questo romanzo, purtroppo, sia da diverso tempo fuori catalogo.
Però, quante volte i romanzi sono stati fonte di emulazione malata? Vogliamo solo parlare di Arancia Meccanica, o delle inclinazioni autolesioniste narrate in Fight Club? Perchè questo romanzo ha dovuto farne le spese?
A nostro avviso, Ossessione è un libro che rivelerà, a chi saprà prestare attenzione, un modo di vedere la realtà dei fatti del tutto nuova e verissima, e questo non significa che sarà necessario impugnare una pistola e darsi alla violenza gratuita per trovarla, bensì darà una visione di apertura e tolleranza verso il prossimo e verso sè stesso, anche quando la propria mente produce pensieri e parole con denti ed occhi.
Non sono gli eventi che fanno impazzire un uomo, ma è il modo in cui vengono affrontati. E tutti noi abbiamo una ferita, piccola o grande, che ci influenza e ci fa deragliare verso il lato oscuro. Solo quando neghiamo la presenza di questa altra faccia della medaglia, allora sì che si arriva allo squilibrio mentale, perchè si tratta di un conflitto rivolto verso noi stessi e il nostro modo di essere.
Ossessione parla di questo, niente di più sovversivo di qualunque libro di psicologia spicciola.
Auguriamo a tutti i lettori di cervello e di cuore di avere l’opportunità di leggere questo libro perchè, pregiudizi a parte, ne vale davvero la pena.
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Level 26 – A. Zuiker
Siamo dei fan appassionati del celebre telefilm CSI, e quando abbiamo saputo che il suo produttore Anthony E. Zuiker aveva scritto anche dei romanzi, la curiosità è stata troppa e ci siamo accaparrati il primo della serie, Level 26, che successivamente ha aggiunto un sottotitolo: The Dark origin.
Beh, ci duole ammetterlo ma siamo rimasti piuttosto delusi. Si tratta di un thriller, per carità, ma di quelli più dimenticabili. Molto poco originale o innovativo, abbiamo trovato anche piuttosto difficile proseguire la lettura fino alla fine per quanto la narrazione è risultata fiacca.
Clichè a non finire, primo tra tutti il cattivo cattivissimo che viene considerato il più cattivo di tutti, arrivando ad attribuirgli un livello di cattiveria tutto suo (il 26 appunto), viene trattato dal narratore e dagli investigatori come un mostro di ingegno e perversione quando in fin dei conti la sua genialità è piuttosto ordinaria e la sua perversioe…. beh, di quella parleremo più avanti.
Anche i “buoni” sanno di stantìo e già letto: investigatori che hanno visto le cose peggiori che la mente umana possa concepire, logorati, grandi bevitori, sempre schiacciati da capi inetti dalla voce grossa e dalle maniere gratuitamente spicce e violente.
Il protagonista, Steve Dark (evitiamo i parlare del nome, va), è al limite dell’irritante. Anzi, no: lui in fondo è solo un’ennesima marionetta. L’irritazione è dovuta solo al narratore, sempre molto distante dai protagonisti, che ne racconta le gesta e i pensieri e lo fa in un modo che ben presto risulta difficilmente sopportabile.
Punta di diamante di questo romanzo, a detta ovviamente della quarta, è “l’innovativa” commistione di letteratura e elementi visivi. Ogni ventina di pagine infatti è presente un codice. Con questo codice, andando sul sito della serie, è possibile visualizzare dei contenuti extra, ovvero dei brevi video che approfondiscono alcuni aspetti della trama.
Sorvolando sull’effettiva utilità di questo espediente, abbiamo trovato quesi contributi filmati di una banalità agghiacciante. L’unico davvero degno di nota è il succitato cattivissimo Squeegle, che si presta bene al video in quanto coperto da una tutina bianca di latex e dotato di una notevole abilità contorsionistica (infatti questo personaggio era già apparso in una puntata del telefilm). Gli altri attori sono semplicemente inguardabili, primo tra tutti Dark, che nel romanzo viene descritto come un uomo dal fascino irresistibile (ma va?) senza trovare poi riscontro nell’attore.
Insomma, contributi extra del tutto ininfluenti, considerando anche che difficilmente un lettore avrà voglia e opportunità di interrompere la lettura ad ogni codice per andare a vedere il video, e in linea di massima anche lo stesso romanzo non è certo una delle esperienze letterarie più riuscite o appassionanti. Un thriller che si fonda solo sul tentativo di suggestionare il lettore con scene crude fini a loro stesse e senza tensione emotiva, nient’altro.
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Everwild – N. Shusterman
Dopo lunga attesa, ecco il secondo episodio della “trilogia dei rubapelle”: Everwild, degnissimo seguito del da noi mai abbastanza osannato Everlost, nato dalla brillante mente letteraria di Neal Shusterman.
Se in Everlost la protagonista indiscussa è appunto la dimensione di Everlost, una specie di limbo tra la vita e l’aldilà dedicato esclusivamente ai ragazzi, in Everwild prendono piede e spessore le vicende dei protagonisti, Allie e Nick, alle quali si aggiungono le traversie dell’antagonista (ora ancora più antagonista nella sua risoluta follia) Mary, dell’ex mostro e fratello Mickey e di una piccola insidiosa squadra di rubapelle capitanata dal fascinoso russo Milos.
Dal punto di vista narrativo sicuramente la trama di questo romanzo risulta molto più ricca e corposa del predecessore, che si incentrava principalmente sul suscitare nel lettore stupore e meraviglia davanti a questo mondo evanescente costruito con tanta maestria. Si viaggia a cavallo di Everlost e del mondo vivo, con un sacco di colpi di scena alcuni dei quali davvero inaspettati, gettando le basi verso l’episodio conclusivo della saga.
Vengono toccati qui alcuni dei temi tanto cari alla letturatura per giovani adulti, primo tra tutti l’amore, ma non viene rubato spazio a ciò che meglio caratterizza l’arte di Shusterman: si parla di morte in modo talvolta crudo e sconcertante, ma con una sapienza nella scelta del linguaggio tale da essere in grado di togliere il fiato e commuovere sempre nel profondo. Si parla anche tanto di vita, di quanto possa essere effimera, di come talvolta ci si lasci vivere senza assaporare davvero il potere delle sensazioni; di memoria, di mancanza, di volontà ferrea, di crudeltà, di scopi, di falsi miti, di illusioni.
Anche questa volta Shusterman non tradisce, regalando nuove sfaccettature e implicazioni del mondo di Everlost ancora più sconcertanti e varie, mantenendo sempre una consistenza e una solidità di costruzione che rassicurano il lettore e lo lanciano a tutta velocità in un mondo fantastico scisso tra la meraviglia e l’orrore.
Consigliamo moltissimo la lettura di questo romanzo, imprescindibile per chi ha letto il primo romanzo, ricordando però che il terzo volume della serie, Everfound, non è ancora stato pubblicato in Italia.
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E anche il primo volume della saga: Everlost
La bussola d’oro – P. Pullman
Senza dubbio uno dei più grandi classici della fantascienza per ragazzi, La bussola d’oro di Philip Pullman appartiene a quel tipo di romanzo per ragazzi vecchio stile, ma non per questo stantìo o spiacevole, con i quali sono stati svezzati i moderni lettori.
Primo episodio della trilogia Queste oscure materie, Pullman ci presenta un mondo per alcuni aspetti simile al nostro ma per altri estremamente diverso.
La giovane Lyra ed il suo daimon Pantalaimon si troveranno ad affrontare una grande avventura nel gelido Nord che si scoprirà di cruciale importanza per l’esistenza dell’intera dimensione.
Questo romanzo è entrato a buon titolo tra i best seller di genere: la narrazione è magistrale e esalta una storia originale che cattura e stupisce, come ogni romanzo fantasy dovrebbe fare. A leggerlo oggi è possibile trovare decine di riferimenti di opere più recenti che hanno attinto e preso ispirazione da La bussola d’oro.
I personaggi sono vividi e di grande spessore, mai banali o scontati: i buoni hanno le caratteristiche classiche del surrogato genitoriale, mentre gli antagonisti brillano per spietatezza e insensibilità. Anche la protagonista è meno perfetta di quanto a primo acchito si potrebbe immaginare.
Ad una analisi approfondita della trama è possibile trovare qualche difetto, in particolare vengono lasciate ampie zone di scarsa chiarezza sui punti cardine. Alcuni passaggi sono giustificati con elaborati ragionamenti filosofici estremamente difficili da seguire, altri aspetti vengono lasciati in sospeso, come se qualche sottointeso dovesse chiarire e rispondere a tutte le domande. Rimane quindi la sensazione di aver letto un’opera di grande potenza simbolica ma che non si è riusciti ad espugnare completamente, lasciando una diffusa sensazione di incertezza.
Queste considerazioni nulla tolgono comunque alla grande qualità di questo romanzo, che resta un’opera imprescindibile per i giovani e i meno giovani lettori amanti del genere.
La bussola d’oro. Queste oscure materie: 1
E anche il film: La Bussola D’Oro (Disco Singolo)
Il tempo è un bastardo – J. Egan
E’ complesso, quasi impossibile, scrivere un commento utile al romanzo premio Pulitzer 2011 di Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo.
Costruito attraverso una sequenza di racconti incentrati via via su personaggi legati tra loro, viene proposto uno spaccato di vite contrassegnate dalla celebrità, dalla fama e dalla ricchezza e di come le alterne fortune possono comportare fallimenti, rovine, malattie e disgrazie.
Disegnato con una struttura in cerchi concentrici, passando da un personaggio all’altro, viene delineato un arco narrativo circolare, concludendosi là dove il romanzo è iniziato, attraverso un percorso temporale saltabeccante, dal presente, al passato (anche remoto) dei personaggi, fino a qualche accenno del futuro.
L’intera opera evidenzia uno studio e una pianificazione straordinaria, dove nessun aspetto è lasciato al caso. Ciascun racconto è una unità atomica, chiarissimo e autoesplicativo, che potenzialmente può essere letto all’interno di qualunque sequenza con gli altri, eppure ciascun elemento costituisce un tassello nella costruzione di un quadro di amplissimo respiro: vengono via via chiariti punti ed aspetti rimasti aperti in altri racconti, vengono approfondite personalità e personaggi che sembravano marginali e che invece non lo sono.
Nonostante questa complessa struttura, questo romanzo è semplicissimo da leggere e da capire, al punto da essere del tutto disarmante. Lo stile è chiaro, linearissimo, semplice come solo i veri capolavori sanno essere.
Che conclusioni è possibile trarre dalla lettura di questo romanzo? Che ciascuno è protagonista della propria storia e che la nostra si lega indissolubilmente a quella degli altri; che la fortuna è solo un attimo, e che più è intensa più marcato sarà anche il successivo fallimento; che è vero che il tempo è un bastardo per la sua implacabile capacità di spianare, smussare, corrodere qualunque cosa e persona, anche quelle più robuste e in apparenza inossidabili. Ma nonostante questo, il tempo può costituire ancora una occasione, per chi saprà coglierla.
Un libro assolutamente consigliato, anche solo per il semplice piacere di leggere un romanzo innovativo e di grande qualità.
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Portland souvenir – C. Palahniuk
«L’intera città [...] soffre del “complesso del minidotato”. [...] Portland compensa le sue ridotte dimensioni facendo casino e dando fastidio.»
Un libro che è un punto di congiunzione tra la guida turistica, la raccolta di racconti e la biografia. In Portland souvenir, Chuck Palahniuk racconta la vita nascosta della sua città e ce la mostra attraverso gli occhi di ci ha vissuto una vita ne conosce pregi e segreti.
Portland ci viene presentata come una fucina ricca di paradossi e assurdità, di estremi, di sottointesi, di segreti di Pulcinella che conoscono tutti, almeno quelli meglio inseriti nei giochi d’ombra.
Ogni capitolo è dedicato ad un’area tematica, con consigli puntuali tipici della guida turistica, con tanto di indirizzi e numeri di telefono a cui fare riferimento. Le interviste e i personaggi mostrati danno ancora più concretezza alle descrizioni.
Ciascun capitolo è seguito da una “cartolina”, che come spiega l’autore, non proviene tanto da un luogo preciso ma da un momento particolare. Sono frammenti, episodi, provenienti dalla vita di Palahniuk, che danno un assaggio del suo passato e del sapore reale della città.
La conclusione che si può trarre dalla lettura di questo non-romanzo è, a nostro avviso, una sola: l’autore ha attinto a piene mani dalle esperienze e dall’anima della sua città per la realizzazione dei suoi romanzi. Dopo aver letto i suoi microracconti, romanzi come Fight Club ne risultano quasi sintesi ovvie. La realtà allucinata, drammatica, grottesca ed estrema che racconta sono come la prosecuzione del naturale andamento della vita di quella città.
O forse è il suo occhio che ha saputo catturare la realtà bizzarra celata sotto la superficie di una delle pacifiche cittadine del Northwest americano.
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