Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
Archivio del 2011
Il castello bianco – O. Pamuk
A volte ci troviamo di fronte ad opere che, principalmente per motivi culturali, ci risultano semplicemente incomprensibili. Grosso modo è quello che è successo a noi nel caso dell’opera del premio Nobel turco per la letteratura Ohran Pamuk ed il suo Il castello bianco.
Un veneziano viene catturato dai turchi e viene tenuto come prigioniero per qualche tempo, finchè non dichiara di essere esperto in medicina e in astrologia. Ben presto viene quindi trasferito alle dipendenze del Maestro, un tuttologo che orbita attorno alla residenza del Pascià locale e che si occupa di scienza, astronomia, filosofia e quant’atro. La somiglianza fisica tra i due uomini è incredibile, al limite del sopportabile per entrambi. Conviveranno per anni, l’uno fungendo da trampolino all’altro, permettendogli di sviluppare teorie strane ed ardite per compiacere il sovrano. Arriveranno a compenetrarsi talmente da non essere più in grado di distinguersi l’uno dall’altro.
L’aspetto più ostico di quest’opera probabilmente è l’assenza di una storia ben precisa. Infatti non succede mai nulla di effettivamente apprezzabile, tutto resta molto raccontato dalla voce del protagonista, il veneziano, ed è un susseguirsi di fatti che si avvicendano nella vita dei due.
Il concetto fondamentale è quello psicologico dei protagonisti e la loro continua ricerca della risposta alla domanda che si pongono: perchè io sono io? cosa differenzia me dall’altro? cosa mi salva dalla dissoluzione tra altri mille altri individui?
La narrazione si avvale della un po’ usurata finzione narrativa del testo rinvenuto a distanza di anni da un curatore che si limita a scriverne una prefazione prima di trascriverlo così come l’ha trovato. Questo fa sì che l’autore possa prendere doppiamente le distanze da ciò che racconta, avendo la giustificazione di uno stile di scrittura piuttosto pomposo, desueto e poco scorrevole.
Nel complesso quindi il lettore si trova un po’ affaticato nella lettura, a parte qualche passaggio un po’ più chiaro è quasi un’impresa arrivare al fondo di questo libro, che comunque è breve (170 pagine circa).
In conclusione vi consigliamo di leggere quest’opera solo se vi sentite abbastanza in sintonia con la letteratura esotica e particolarmente ricettivi nei confronti di metafore ed allegorie non proprio immediate.
Amore e altri rimedi – diretto da E. Zwick
Jamie è un informatore farmaceutico con un vizietto: le donne; Maggie è un’artista e guida turistica con un problema di salute. Ad unirli, in principio, una storia di solo sesso. Ma proprio in virtù del loro desiderio di non legarsi, capiranno ben presto di non poter fare a meno l’uno dell’altra.
Questa è la trama, forse non proprio originalissima, di Amore e altri rimedi, film diretto da Edward Zwick, con Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway. Film che ha fatto molto discutere, fin già dalla scelta del nome italiano, visto che il titolo in lingua originale (Love and other drugs) giocava sul doppio significato della parola drugs: droghe sì, ma anche più in generale i presidi medici, accostando gli effetti di dipendenza tipici dell’amore alla droga, appunto.
Questo film è l’adattamento del romanzo autobiografico del protagosta (Hard Sell: The Evolution of a Viagra Salesman), in cui viene messo in luce il background discutibile che sta alle spalle dell’industria farmaceutica.
Amore e altri rimedi invece è una commedia romantica piacevole, senza infamia e senza lode, che mantiene grosso modo tutti ritmi più classici del genere: gli equivoci, i punti da lacrima facile e quelli più esilaranti si intervallano con leggerezza.
Bravi i due protagonisti, che affrontano con naturalezza un grande numero di scene di nudo (motivo principale del grande hype sul film) e di sesso abbastanza esplicito. Sono credibili come coppia e ciascuno nel proprio personaggio, lei spaventata dall’incombere della malattia e dagli effetti che potranno avere su di lei e su eventuali compagni di vita, lui che riversa sul lavoro e sui successi con le donne una atavica insicurezza in se stesso e una paura nei legami.
Pregevoli nei ruoli secondari, l’orribile fratello e il collega di Jamie, che fanno da spalla a situazioni comiche di buon livello.
Nel complesso un film godibile ma senza pretese, l’ideale per passare un paio d’ore senza troppi pensieri in compagnia del bel sorriso della Hathaway e della faccia da mascalzone dal cuore d’oro di Gyllenhaal.
Survivor – C. Palahniuk
Sono pochi gli autori che riescono a catturare in modo così tenace in lettore al punto di provocargli un voluto senso di malessere quando riesce a fare Chuck Palahniuk con i suoi libri.
L’ultimo che abbiamo letto è Survivor, opera non nuovissima ma certamente degna di essere accomunata a opere più note come Fight Club.
Anche questo libro inizia dalla fine, e si dipana come un lungo flashback. Un uomo è su un aereo, vuoto, che si schianterà tra qualche ora nel deserto australiano. Non sa quanto tempo gli rimane, sa solo che la sua ultima cosa da fare è lasciare traccia della sua vita e dei fatti che l’hanno portato lì. Quindi racconta la sua storia al nastro della scatola nera dell’aereo, mentre questo va in contro al suo destino.
Iniziamo quindi a conoscere quest’uomo senza nome (in senso letterale) e, con lo stile tipico di Palahniuk, frammentario, colloquiale, ricco di ripetizioni, misto di pensieri, contraddizioni e interruzioni, scopriamo passo passo la sua storia.
La vera maestria dell’autore risiede proprio in questo suo narrare apparentemente caotico e sconclusionato, perchè, nonostante ciò, il lettore riesce sempre a scoprire al momento giusto quello che è giusto che sappia.
Con salti avanti ed indietro nel tempo, con peregrinazioni dentro e fuori la mente del protagonista, scopriamo che è l’ultimo sopravvissuto di una setta religiosa suicida e che qualcuno sta cercando di ucciderlo, quando lui non desidera altro che morire ed eseguire l’ordine che la sua comunità ha già eseguito. C’è molto altro, ma non vogliamo spoilerarvi nulla di questa trama, perfetta come un castello di carte, così assurda e paradossale come solo la verosimiglianza può essere.
La sensazione che pervade questo libro è il peso dell’ineluttabile, del destino, dell’impossibilità o l’incapacità di decidere.
La vediamo dapprima in forma palese, con le rigide regole che la comunità Creedish impone ai suoi, poi in forme sempre diverse, in un susseguirsi di vincoli, menzogne, obblighi, imposizioni che rendono di fatto già scritta la vita del protagonista.
Questo si esprime anche molto bene nell’espediente stilistico del flashback (tutto opererà per portarmi qui) e anche nella curiosa trovata editoriale di numerare le pagine e i capitoli a ritroso. Il senso del conto alla rovescia verso lo schianto finale è quindi reso perfettamente, con notevole grado di coinvolgimento.
Insomma, a tutti coloro che apprezzano Palahniuk per la sua mente crudele, contorta e brillante, non possiamo fare altro che consigliare di leggere anche questo romanzo e di tenere duro fino alla fine.
Lo strano mistero di Torre Mozza – V. Galati
Sei ragazzi trovati senza vita su una spiaggia della Toscana. Composti, sepolti sotto un leggero strato di sabbia ed accompagnati da grosse conchiglie. Da qui si dipana l’indagine del commissario Barbagelata,che lo porterà a scoprire segreti e misteri sepolti in profondità sotto la sabbia e nel passato, davanti al mare.
Questo nel romanzo di esordio di Vincenzo Galati, Lo strano mistero di Torre Mozza, un giallo dalle caratteristiche brillanti.
Seppur breve (126 pagine), l’autore riesce a suscitare vivo interesse nel lettore, mostrando man mano gli elementi di un intreccio che risulta davvero accattivante. Il fulcro è senza dubbio lo svolgimento delle indagini, che si dipanano con le ben note modalità del romanzo giallo di tipo poliziesco. Alle informazioni fondamentali per la trama vengono aggiunti dettagli sulla storia dei personaggi, tormentati e legati a doppio filo tra loro da sentimenti contrastanti e inespressi.
La storia è intrigante, ben congegnata, con personaggi secondari piuttosto vividi e credibili sebbene appena tratteggiati. L’effettiva risoluzione del caso può forse lasciare un filo di amarezza, ma d’altra parte il vero cuore del romanzo giallo è l’indagine più che la soluzione del caso, che comunque, per quanto forse non proprio appagante, è logica e accettabile.
Lo stile di scrittura probabilmente è quello che più caratterizza questo libro. L’autore infatti mantiene un ritmo serrato e senza fronzoli, sebbene molto chiaro. Le frasi sono brevi, a volte frammentarie, talvolta con accenti quasi poetici; questo, in combinazione con la trama appassionante, rende il romanzo una lettura incalzante difficile da lasciare.
Se proprio volessimo trovare una pecca, potremmo dire che probabilmente una narrazione un po’ meno serrata e recisa avrebbe potuto dare un valore aggiunto all’opera, alternando fasi sincopate e passaggi più tranquilli, in cui si sarebbero potuti approfondire i personaggi arricchendone la psicologia e l’introspezione, rendendo questo giallo un romanzo di letteratura a tutto tondo.
Comunque questa lettura ci ha appassionati: non possiamo fare altro che consigliare Lo strano mistero di Torre Mozza a tutti gli amanti del genere e fare i nostri sinceri complimenti all’autore.
Il gioco di Gerald – S. King
Abbiamo deciso di fare uno strappo alla nostra tacita e salutare regola di recensire solo romanzi appena letti per questo romanzo di Stephen King, Il gioco di Gerald. Indubbiamente non è uno dei romanzi del Re più famosi e, nonostante siamo dichiaratamente suoi fan, non è nemmeno uno dei migliori. Eppure, abbiamo deciso di recensirlo perchè, sebbene siano passati diversi anni da quando l’abbiamo letto, è rimasto stampato nel nostro immaginario per la sua semplice crudeltà.
King solitamente si divide su poche macrotematiche concettuali sulle quali poi fonda i suoi romanzi: il Male in senso incorporeo ed il Male incarnato nelle bassezze dell’uomo. Di questa divisione generica è poi possibile effettuare altre suddivisioni, anche se alcune opere si possono inserire a cavallo tra le due categorie.
Senza scendere nei morbosi dettagli nerd che certamente sapremmo tirare fuori, Il gioco di Gerald si può ascrivere alla seconda categoria, dove il Male viene principalmente rappresentato da una persona umana con smaccate caratteristiche negative.
La storia, come nel meglio del suo stile, parte da un concetto semplice quanto angosciante: cosa succederebbe se, a causa di un giochetto erotico, una donna rimanesse ammanettata al letto e non avesse più alcun modo per liberarsi?
E questo è quello che succede a Jesse, che soggiace all’ultima richiesta del marito, Gerald, e si lascia ammenettare ad un robusto letto nella loro casetta al lago. Involontariamente però, Jesse provoca la morte di Gerald, e da quel momento l’intera esistenza della donna collassa in quella casetta, su quel letto, sul quale l’attende una morte lenta e psicologicamente devastante.
L’abilità narrativa di King raccoglie bene la sfida, focalizzandosi sui loop mentali di Jesse, che rievoca il passato travagliato, le sue lotte interiori di coscienza e l’immaginazione, che con il passare delle ore, la mancanza di acqua e cibo ma soprattutto la paura dell’approssimarsi della fine, le provocano allucinazioni terrorizzanti… che forse non sono affatto allucinazioni, bensì una nuova manifestazione del Male incorporeo ed assoluto, che la aspetta negli angoli bui della sua stanza, in attesa solo che abbassi la guardia e si lasci andare alla disperazione.
Un romanzo senza dubbio molto particolare, che per gli amanti del genere è un appuntamento imperdibile, proprio perchè risulta un esercizio di stile dalla crudezza unica. Da provare. E dopo averlo letto, non vedrete mai più un paio di manette con gli stessi occhi.
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Un’estate perfetta – C. Nudo
Ogni trama ha i suoi punti critici, così come ciascun genere letterario ha le sue caratteristiche particolari. Il romanzo giallo è certamente uno dei generi dalle peculiarità più spiccate: oltre alle normali insidie della narrazione, dello sviluppo della trama, dei personaggi e dello stile, il giallo per essere tale deve saper suscitare emozioni ben precise come suspence, curiosità e partecipazione nelle indagini in corso.
Un’estate perfetta, dell’esordiente Cassandra Nudo, si ascrive a questo genere così complesso. Giulia, inquieta adolescente con la mania per la scrittura, si trova suo malgrado ad indagare sulla morte sospetta della sua dispotica nonna. Si troverà a dubitare di tutti, fino a trovarsi in uno scenario che mai avrebbe sospettato.
Senza dubbio gli elementi chiave del romanzo giallo ci sono tutti: il gruppo ben definito di personaggi/sospettati, l’evento criminoso, le indagini, la scoperta dell’assassino. Spesso il rimescolamento di questi tasselli può incrementare la qualità del romanzo, facendo sì che la narrazione risulti destrutturata ed imprevedibile, coinvolgendo maggiormente il lettore. Nel caso di specie, invece, la struttura è quella delle più classiche: fin dall’inizio vengono presentati in serie tutti i personaggi attori della vicenda e i luoghi con tutte le relative descrizioni, svelando fin da subito tutte le principali caatteristiche di ciascun elemento importante.
La trama in sè ha del potenziale, in quanto gli elementi di indagine vengono forniti con le giuste tempistiche e le conclusioni vengono tratte alla fine in modo piuttosto chiaro e lineare, senza lasciare incongruenze al lettore. E’ indubbio però che l’intera narrazione e le descrizioni, ovvero l’intreccio su cui si posa il nocciolo di investigazione, è piuttosto ingenuo e poco fluido e le deduzioni della protagonista sono a volte contro logica e sembrano piovere dall’alto.
I personaggi, le loro azioni e i dialoghi risultano spesso innaturali e forzati rispetto alle esigenze di trama. Il personaggio della nonna Giulia è un paradosso di cattiveria da commedia, ingiustificata e gratuita, le reazioni degli altri personaggi sono esagerate rispetto alle ingerenze subite, lasciando una sensazione di scarsa credibilità generalizzata.
Sensazione che si sublima nel finale, che trascende il drammatico senza dare una motivazione o un contesto sfruttando l’emotività degli attori, che resta sempre nel sottotono e nel prevedibile.
Lo stile è piuttosto acerbo ed incerto, in particolare nelle fasi descrittive dell’intreccio dove risulta difficoltoso. La voce narrante è sempre molto presente e nulla viene lasciato alla sensibilità del lettore: ciascuna azione che risulterà essere importante viene raccontata e ribadita anche se sul momento non sembra necessario.
Insomma, certamente un romanzo con del potenziale inespresso, che un buon editing e un attento raffinamento di stile e di ritmo potrebbe portare alla luce anche in esperimenti letterari futuri dell’autrice.
Amabili resti – A. Sebold
Si chiamava Susie Salmon, come il pesce, ed era una ragazzina liceale come tante. Aveva passioni e sogni, da grande voleva fare la fotografa naturalista. Susie è stata strappata dalla vita, è morta in un campo di granturco, per mano di un uomo che le ha riservato un trattamento di orrore indicibile.
Leggere Amabili resti di Alice Sebold oggi, quando la nostra cronaca racconta fatti similmente crudeli con protagoniste incolpevoli ragazzine altrettanto semplici e speciali, è una prova difficile da portare a termine.
La narratrice è la stessa Susie, che ci racconta quello che succede sulla terra ai suoi cari e ai suoi amici dopo la sua morte. Susie integra questa storia con quello che vede e succede nel suo Cielo, lì dove si trova, dando uno scorcio di quello che è la sua nuova realtà che ancora non comprende appieno.
Il romanzo si può dividere in due parti ideali, non nettamente scisse: la prima è caratterizzata dalla scomparsa di Susie e dagli effetti nel breve periodo su tutti coloro che l’hanno amata; nella seconda parte invece prendono consistenza le vite di ciascuno, che si allontanano e vanno a fondo nell’evento traumatico, che si allontanano tra loro e modificano i legami, per cambiare e interiorizzare il lutto.
E’ questa la caratteristica principale di questo bel romanzo: tutti i personaggi crescono e cambiano la loro vita, partendo dal dolore e costruendovi attorno qualcosa di unico e puro, il futuro e la speranza.
Lo stile è piuttosto efficace grazie alla voce di Susie, che è caratterizzata da un tono sognante e un po’ infantile, che urta con efficacia con la sua possibilità di vedere e sapere tutto quello che fanno e pensano i suoi familiari, rendendo la narrazione piuttosto realistica.
I personaggi, che in un primo momento parevano essere esempi di perfezione un po’ forzata, risultano invece molto umani, fragili e fortemente messi alla prova dalla vita. I dialoghi sono sempre freschi, mai scontati, usati con un giusto equilibrio tra il mostrato ed il narrato.
Abbiamo trovato questo libro particolamente intenso anche dal punto di vista emotivo: alcune metafore, alcuni passaggi ispirati, sono in grado di far sfuggire anche qualche lacrima.
Abbiamo identificato solo uno scivolone, verso la fine del libro, che per quanto venga giustificato, fa rimanere la percezione di una nota stonata all’interno dell’opera, che per il resto invece scorre via senza intoppi.
A parte questo passaggio, possiamo dire di essere rimasti molto soddisfatti da questo romanzo, che ci hai coinvolti ed appassionati con semplicità ed emozione.
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Angelica – M. Sebastiani
Orfeo è un giovane universitario che si barcamena tra la scrittura della tesi, i problemi con le coinquiline, l’amore a senso unico nei confronti della sua migliore amica e alcuni problemi di salute che gli comportano uno strano effetto collaterale. Durante alcune crisi epilettiche, infatti, Orfeo si trova all’interno di un mondo ideale, in compagnia di una creatura perfetta ed amorevole di nome Angelica.
Questi in breve i punti salienti della trama del romanzo di Massimiliano Sebastiani, Angelica. Dobbiamo dire innanzitutto che abbiamo rilevato con interesse la trama ed il concept originale su cui si fonda: le visioni che si sviluppano nella mente del potagonista potevano costituire un buono spunto per sviluppare una storia intrigante e nuova, ottendo magari un romanzo fantasy o psicologico.
Purtroppo però questa buona idea di fondo viene smorzata all’interno di una narrazione farraginosa e dispersiva, al punto che ci si chiede più di una volta, durante la lettura, quale effettivamente sia la trama.
Ci vengono presentati un numero elevatissimo di personaggi che di fatto non hanno attinenza con la storia principale e che è impossibile distinguere gli uni dagli altri: sono tutti fortemente positivi, descritti sommariamente e denotati da un modo di esprimersi omogeneo. Nessuno di questi mostra peculiarità significative, qualunque caratteristica ci viene raccontata, e mai mostrata nei fatti o nei comportamenti.
I dialoghi sono, come detto, omogenei e inverosimili, statici ed artefatti, oltre che particolarmente ripetitivi: vengono riproposte battute ed espressioni più e più volte, pronunciati anche da personaggi diversi, rafforzando la percezione di uniformità tra i personaggi.
L’opera mostra del potenziale, che si sarebbe potuto esprimere ampliando meglio il concept originale e facendolo risaltare rispetto a tutto il resto della narrazione che ne dovrebbe costituire il contorno che invece lo soverchia, annullandolo. Un buon editing professionale avrebbe potuto sortire l’effetto, innanzitutto sfoltendo il testo da dettagli inutili e superflui (tutte le sfumature dei gusti musicali di Orfeo, i dettagli di amici e conoscenti, i girovagare tra le strade di Torino) e da tutta una serie di ripetizioni che appesantiscono la lettura, correggendo gli errori ed i refusi; successivamente spostando l’attenzione dispersa e focalizzandola sulla trama.
Abbiamo riscontrato inoltre una cosa davvero particolare nello stile di scrittura. La narrazione si svolge in una terza persona classica, ma così vicina al protagonista dall’essere quasi una prima persona. L’effetto risultate è singolare, perchè vengono espressi con distacco fittizio concetti che sono tipici e caratteristici invece della narrazione in prima persona. La sensazione alla lettura è di leggero fastidio, accentuato anche dall’uso poco fluido del tempo presente.
In conclusione: in Angelica è presente del buon potenziale, che attraverso un po’ di esperienza e meno ingenuità, un buon editing e un raffinamento puntuale del ritmo e della trama, si potrà esprimere nelle future fatiche del giovane autore, al quale facciamo il nostro sentito in bocca al lupo.