Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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La metà oscura – S. King
Uno scrittore di romanzi dall’incerto successo riesce a conquistare il grande pubblico grazie al suo alter ego, firmando romanzi di alta violenza. Ma quando lo scrittore si decide a chiudere definitivamente questo capitolo della sua vita, eliminando il suo pseudonimo, succede qualcosa di imprevisto ai limiti della fantascienza.
Stephen King non è certo nuovo a trattare questo genere di tema: lui per primo conosce bene l’argomento, visto che ha firmato alcuni romanzi con lo pseudonimo di Richard Bachman in età giovanile. Proprio in virtù del fatto che Bachman costituiva la sua valvola di sfogo per le fantasie più crude (non che la fantasia “classica” di King sia mai stata così ben educata), anche l’alter ego Stark de La metà oscura incarna (mai termine fu più appropriato) i pensieri più malati e viziosi del moderato protagonista.
Questa dualità è stata oggetto di diversi racconti, in svariate forme, ma in questo caso King vi dedica l’intero romanzo, uscendo fuori da qualunque metafora: l’alter ego si trasforma in un concretissimo doppelganger capace di uccidere e seviziare nel mondo reale chiunque dovesse intralciare il suo personalissimo piano di autodeterminazione.
Contrariamente alle aspettative, il romanzo ci ha un po’ delusi. Un po’ per lo stile propriamente narrativo, insolitamente verboso e prolisso, un po’ per gli accenti marcatamente inverosimili della trama stessa. Per quanto gli stessi personaggi giustamente facciano fatica a credere all’incarnazione di Stark, alla fine il lettore riesce a digerire con difficoltà questa versione, con tutte le sue particolarissime accezioni che dovrebbero fornire una base logica e che invece non fanno altro che dare una sensazione di brancolamento nel caos.
Indubbiamente, come ogni produzione di King, si tratta di un indiscutibile best seller, ma in prospettiva, dopo aver letto opere decisamente migliori e più incisive, questo romanzo lascia un po’ straniti ed insoddisfatti.
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La lunga marcia – S. King
«La città stessa era stata inghiottita, strangolata e sepolta. [...] C’era solo la folla, una creatura senza corpo, senza testa e senza cervello. La folla era solo una voce e un occhio, e non c’era da stupirsi che fosse tanto Dio quanto Mammona. [...] Era come camminare in mezzo a giganteschi tralicci di alta tensione, sentendo un continuo susseguirsi di scosse e crepitii che facevano rizzare i capelli, seccavano la lingua in bocca e davano l’impressione che gli occhi facessero scaturire scintille roteando nelle orbite. La folla doveva essere accontentata. La folla doveva essere adorata e temuta. La folla voleva il sacrificio.»
Nel 1979 Stephen King pubblica questo inquietante romanzo sotto l’ormai celebre pseudonimo di Richard Bachman. La lunga marcia ha una trama semplice e lineare, che riassume le regole di questo gioco perverso: 100 ragazzi volontari si mettono in marcia attraverso il Maine. Se camminano troppo lentamente, si fermano, indietreggiano, abbandonano la sede stradale, vengono uccisi a fucilate. La marcia andrà avanti fino a quando ne resterà uno solo, il vincitore, al quale verrà concesso per premio qualunque cosa lui voglia.
Sul piano strettamente contenutistico, questo romanzo non è niente di più di questo. Ma la vera maestria di King risiede proprio nella sua capacità di trasformare una storia poverissima in un romanzo magnetico ed appassionante, che è in grado di tramortire il lettore e trascinarlo in questo stillicidio, in questa follia, con il focus nella mente del protagonista.
Il narratore è una terza persona stretta sul personaggio protagonista, Garraty, un giovane ragazzo equilibrato, sano e robusto. Abbiamo la possibilità quindi di avere una visione talvolta a volo d’uccello sulla comitiva che ci consente di seguire la progressione della marcia, e allo stesso tempo possiamo entrare nella mente del protagonista, nei suoi pensieri e paure, nelle sue considerazioni nei confronti di questa impresa assurda.
Oggi risulta inevitabile fare un raffronto tra La lunga marcia e Hunger Games, in particolare a causa della crudezza e la precisione delle regole del gioco e la delineazione di uno scenario distopico. Se Hunger Games ha il suo punto di forza dall’impotenza dei giocatori che si trovano nell’arena di morte loro malgrado, La lunga marcia verte proprio sul concetto opposto. Tutti i cento marciatori sono volontari, si sono candidati spontaneamente, con le loro intrinseche motivazioni (tendenzialmente autodistruttive). E’ pur vero che nella società distopica la Marcia viene interpretata come una specie di prova di valore, alla quale più o meno tutti i giovani uomini sono soliti candidarsi, ma alla quale nessuno crede davvero di partecipare, almeno finchè il loro nome non viene scelto.
Come Ossessione, anche La lunga marcia presenza le caratteristiche peculiari di King ma allo stesso tempo mostra tratti tipici di Bachman: più crudi, più realistici, più vividi, del tutto scevri dagli accenti soprannaturali classici della produzione ufficiale.
Un romanzo annichilente, assolutamente consigliato.
Noticina di puro orgoglio personale: abbiamo trovato un refuso! Uno dei personaggi puramente di contorno del quale viene citato solo il cognome, muore qualche riga dopo la citazione riportata all’inizio di questo articolo e poi di nuovo nelle battute finali del romanzo. Nessuno è perfetto, neanche King
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Ossessione – S. King
«Non esiste alcuna divisione del tempo con cui esprimere il midollo della nostra vita, il tempo fra l’esplosione del piombo dalla canna e l’impatto con la carne viva, fra l’impatto e la tenebra. C’è solo uno sterile replay istantaneo che non ci mostra niente di nuovo. [...] Che effetto prova un suicida quando piomba giù da un cornicione? Sono sicuro che la sensazione sia del tutto sana. Probabilmente è per quello che urlano durante tutto il volo. »
Esistono romanzi che per essere appassionanti e divertenti puntano tutto su uno stile accattivante, stringente o sapientemente cesellato; altri se la giocano con una trama straordinaria, bilanciata con maestria; altri ancora, quando difettano di entrambe le caratteristiche, puntano sul grottesco, sull’eccesso, sull’inverosimile, sul gusto dell’orrido per stupire, stregare, far sognare o quantomeno disgustare il lettore.
Esistono romanzi invece, pochi in verità, che non hanno bisogno di truchetti, non abbisognano nemmeno di avere chissà quale trama accattivante. Sono scritti semplicemente con una tale maestria e sapienza da mettere in luce la realtà che abbiamo tutti di fronte, nè più nè meno.
Uno di questi romanzi speciali è Ossessione, di Stephen King. Pubblicato nel 1977 sotto lo pseudonimo di gioventù Richard Bachman, in apparenza parla di come un giovanotto normale, un giorno parta di testa uccidendo due professori e sequestrando la sua classe.
In realtà, questo romanzo sintetizza con una lucidità agghiacciante quanto la follia non sia una eccezione, una fuoriuscita dagli schemi della normalità, bensì sia un aspetto presente in ciascuno di noi, che si manifesta in tanti piccoli segnali e che, in fondo, serve da punto di equilibrio per affrontare l’impredicibile che ci riserva la vita.
Naturalmente, al lettore superficiale o a colui che affronta un romanzo di questo genere con occhio malizioso, questo libro può apparire osceno e sovversivo, specie di fronte a tragedie avvenute nelle scuole non troppo tempo fa. Qualche mente già fragile ha trovato in Ossessione una giustificazione per i propri istinti violenti, emulandone le gesta. Non deve stupire infatti che questo romanzo, purtroppo, sia da diverso tempo fuori catalogo.
Però, quante volte i romanzi sono stati fonte di emulazione malata? Vogliamo solo parlare di Arancia Meccanica, o delle inclinazioni autolesioniste narrate in Fight Club? Perchè questo romanzo ha dovuto farne le spese?
A nostro avviso, Ossessione è un libro che rivelerà, a chi saprà prestare attenzione, un modo di vedere la realtà dei fatti del tutto nuova e verissima, e questo non significa che sarà necessario impugnare una pistola e darsi alla violenza gratuita per trovarla, bensì darà una visione di apertura e tolleranza verso il prossimo e verso sè stesso, anche quando la propria mente produce pensieri e parole con denti ed occhi.
Non sono gli eventi che fanno impazzire un uomo, ma è il modo in cui vengono affrontati. E tutti noi abbiamo una ferita, piccola o grande, che ci influenza e ci fa deragliare verso il lato oscuro. Solo quando neghiamo la presenza di questa altra faccia della medaglia, allora sì che si arriva allo squilibrio mentale, perchè si tratta di un conflitto rivolto verso noi stessi e il nostro modo di essere.
Ossessione parla di questo, niente di più sovversivo di qualunque libro di psicologia spicciola.
Auguriamo a tutti i lettori di cervello e di cuore di avere l’opportunità di leggere questo libro perchè, pregiudizi a parte, ne vale davvero la pena.
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Notte buia, niente stelle – S. King
«Scrivere male non è solo questione di cattiva sintassi o scarso spirito di osservazione: si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente. Quando, mi viene da dire, si rifugge questo dato di realtà: capita che l’assassino aiuti una vecchietta ad attraversare la strada.»
Un anno particolarmente nefasto all’insegna di una serie di scelte sbagliate; una tremenda disavventura fronteggiata da una tranquilla scrittrice di romanzi gialli da salotto; un curioso incontro tra un malato terminale e un bizzarro venditore di “giuste estensioni”; la scoperta di una moglie del piccolo segretuccio del marito.
Questa raccolta di quattro racconti, Notte buia, niente stelle, di Stephen King, certamente entra a buon titolo nella produzione del Re del brivido.
A differenza delle grandi raccolte degli anni giovanili di King (primo tra tutti il celebre “Stagioni diverse”), in questi racconti più che in altri si individua saltuariamente il tentativo dell’autore di “fare sé stesso”, inserendo elementi tipici del suo stile e accenti horror anche laddove magari non sarebbe necessario.
A parte questo però, il libro costituisce una lettura assolutamente godibile. I racconti sono legati da un filo comune, che viene poi chiarito nella postilla finale dell’autore. Le cose brutte succedono e basta, per parafrasare un noto modo di dire americano, e di solito le cose molto brutte possono capitare anche alle persone più normali. E’ questo che King ci racconta: il comportamento, le risorse (o la mancanza delle stesse) che l’uomo e la donna media possono tirare fuori in circostanze eccezionali.
I veri elementi distintivi della produzione kinghiana ci sono tutti, al di là del semplice gusto dell’horror: sopra tutto sono i personaggi ad essere degni di nota, come sempre. Personaggi profondi e complessi, con voci originali e una introspezione degna di un romanzo vero e proprio. Ma sono le storie di questi racconti ad essere a modo loro terribili e indimenticabili. Lasciano dietro di loro una scia di verosimiglianza che non può lasciare indifferente nemmeno il più approssimativo dei lettori.
Una lettura consigliata, ovviamente: come potremmo dire qualcosa di diverso?
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Tradimento – R. Furth, P. David, S. King
Roland ed il suo ka-tet sono tornati a Gilead dopo le pessime vicissitudini ad Hambry e dopo il terribile viaggio di ritorno.
Mentre Bert e Alain, promossi pistoleri sul campo, cercano di tenere a bada le invidie dei coetanei, Roland ha ben altri problemi. Invece di consegnare a suo padre il Pompelmo di Maerlyn, la sfera rosa proprietà ed emissaria del Re Rosso, rimane intrappolato nelle sue suadenti spire, provocandogli uno stato quasi costante di allucinazione, durante il quale assiste a scene raccapriccianti della Torre e di Rhea del Coos che cerca di uccidere suo padre così come ha fatto con la sua amata Susan Delgado.
Questo episodio ha una tematica ben precisa che funge da filo conduttore alla narrazione: il tradimento. Si manifesta in molti modi, alcuni più subdoli, altri più evidenti. In ogni caso però, il tradimento esige un pedaggio di sofferenza e sangue.
Anche in questo terzo episodio del fumetto de La torre nera pubblicato da Marvel e Sperling & Kupfer, Lee e Furth non si sono risparmiati. Così come accade nell’episodio precedente, non vengono ripresi fatti narrati nei romanzi di Stephen King, bensì vine approfondita la storia del giovane Roland, con accenti verosimili che rendono il personaggio che ben conosciamo dai romanzi ancora più realistico e sfaccettato.
In questa occasione inoltre abbiamo l’introduzione di un nuovo personaggio femminile, che si inserisce nella vicenda in modo piuttosto originale. Aileen è la giovane nipote di Cort, l’addestratore di pistoleri di Gilead. E’ una ragazza bella e volitiva, che farebbe di tutto per essere considerata alla stregua dei suoi pari maschi ed avere la possibilità di essere anche lei un pistolero al servizio del Medio-Mondo.
Come sempre accade, i fans più accaniti della saga potrebbero storcere il naso davanti a questi personaggi gratuitamente aggiunti alla storia; d’altra parte occorre ricordare che l’infanzia di Roland è sempre stata narrata con povertà di particolari, e che quindi le opere a fumetti vanno ad aggiungere tasselli taciuti o solo allusi nei romanzi.
Come sempre, una nota a parte va ovviamente per la qualità del fumetto in sè, al di là della storia che racconta. I disegni sono come sempre superbi, mantengono la qualità elevatissima degli episodi precedenti, i colori sono strabilianti, foschi, cupi e tenebrosi. I volti restano quasi sempre nell’ombra, diventando visibili e chiari solo di rado, lasciando quindi di fatto ancora un ampio margine di immaginazione e di coinvolgimento.
Un ottimo prodotto che non delude in nessuna sua parte.
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La lunga via del ritorno – R. Furth, P. David, S. King
L’incarico ad Hambry si è concluso nel peggiore dei modi possibile ed ora il ka-tet di Roland sta tornando a Gilead in più in fretta possibile. Susan è morta bruciata dai suoi stessi concittadini, che ora inseguono i tre ragazzi capitanati dall’unico superstite dei Cacciatori della Bara. Ben presto però i tre capiscono che il vero problema non è costituito tanto gli inseguitori quanto quello che si stanno portando appresso. La sfera rosa, il Pompelmo di Maerlyn, cattura la mente di Roland proiettandola davanti al Re Rosso in persona.
Questa la trama de La lunga via del ritorno, seconda miniserie a fumetti della premiata ditta Furth, David, King e gli stupefacenti disegni di Isanove. Se il primo episodio, La nascita del pistolero seguiva il soggetto di uno dei romanzi originali della saga della Torre Nera, questo inizia una parentesi che non viene assolutamente toccata nei romanzi di King, discostandosene ed approfondendo eventi che vengono al massimo solo accennati nella saga romanzesca.
Questo probabilmente è il punto debole più rilevante di questo episodio: il soggetto è praticamente inesistente, così come è assente una storia degna di questo nome. Un po’ a causa del fatto che questo costituisce un capitolo di raccordo con quello che verrà narrato più avanti ed un po’ perchè privo della guida diretta della storia di King, questa miniserie risulta un po’ povera dal punto di vista del contenuto.
Viene compensato però dalla perfezione dei disegni: immagini dai colori foschi, torvi, i visi deformati dalle ombre e dai turbamenti interiori, in questo capitolo si intervallano alle scene ambientate nel Casse Roi Russe, al centro del Fine-Mondo, caratterizzate dai toni sanguigni ed abborbanti del rosso e del nero.
Come nel capitolo precedente, abbiamo una notevole profusione di contenuti extra di approfondimento, alcune prese da tematiche trattate nei romanzi, altre completamente originali.
Un altro capitolo da non perdere per gli amanti della saga, un altro capolavoro di fumetto per tutti gli appassionati del genere. In attesa del terzo capitolo:Tradimento.
La nascita del pistolero – R. Furth, P. David, S. King
Cos’è la Torre Nera? A questa domanda qualunque Kinghiano convinto partirebbe con una filippica di almeno qualche ora. Di certo è il fulcro, il nocciolo di tutta la produzione creativa di Stephen King, il perno attorno al quale ruotano gran parte delle sue opere, la rappresentazione di quello che è sempre stata la Storia Definitiva nella sua mente.
La storia del pistolero Roland ufficialmente si esplica nei 7 ponderosi volumi della serie La Torre Nera, romanzi scritti nell’arco di quasi quarant’anni e portati a compimento nel 2004 con la pubblicazione dell’episodio conclusivo.
Ma non tutto è stato detto e raccontato di questo mondo così incredibile e sinistro che è il Medio Mondo, per questo tante piccole costole sono nate (ad esempio alcuni racconti in diverse raccolte di King) nel corso degli anni. Quella più importante è costituita, naturalmente, dalle serie di graphic novel publicate dalla Panini Comics (e dalla Sperling & Kupfer nella versione rilegata) dal nome omonimo.
La prima miniserie, La nascita del pistolero, racconta per immagini la triste storia del Ka-tet del giovane Roland e del suo sfortunato amore con Susan Delgado. Questo episodio è l’unico delle serie attualmente pubblicate ad essere tratto esplicitamente da uno dei romanzi, La sfera del buio.
La storia nel romanzo infatti viene presentata come un lungo flashback, che si distacca completamente dalla storia narrata, e apre una finestra sulla giovinezza di Roland. Di quello che capiterà infine ai suoi amici ne veniamo ben presto edotti, ma nel romanzo non viene mai spiegato esattamente come le cose arrivarono a quell’epilogo. I fumetti colmano il vuoto in un totale di 5 miniserie, e per gli estimatori della saga è una buona notizia, visto che quella vecchia storia costituisce di fatto il punto di svolta nella vita di Roland, che lo renderà il personaggio ruvido e scostante che vediamo nel resto della saga.
In quanto serie a fumetti, menzione speciale va riservata ai disegni. Magistrali probabilmente è dire poco: quei colori, quei volti, quei giochi di luci ed ombre: a chiunque abbia amato il Medio Mondo non potranno che venire i brividi, di piacere e di inquietudine insieme.
Il gioco di Gerald – S. King
Abbiamo deciso di fare uno strappo alla nostra tacita e salutare regola di recensire solo romanzi appena letti per questo romanzo di Stephen King, Il gioco di Gerald. Indubbiamente non è uno dei romanzi del Re più famosi e, nonostante siamo dichiaratamente suoi fan, non è nemmeno uno dei migliori. Eppure, abbiamo deciso di recensirlo perchè, sebbene siano passati diversi anni da quando l’abbiamo letto, è rimasto stampato nel nostro immaginario per la sua semplice crudeltà.
King solitamente si divide su poche macrotematiche concettuali sulle quali poi fonda i suoi romanzi: il Male in senso incorporeo ed il Male incarnato nelle bassezze dell’uomo. Di questa divisione generica è poi possibile effettuare altre suddivisioni, anche se alcune opere si possono inserire a cavallo tra le due categorie.
Senza scendere nei morbosi dettagli nerd che certamente sapremmo tirare fuori, Il gioco di Gerald si può ascrivere alla seconda categoria, dove il Male viene principalmente rappresentato da una persona umana con smaccate caratteristiche negative.
La storia, come nel meglio del suo stile, parte da un concetto semplice quanto angosciante: cosa succederebbe se, a causa di un giochetto erotico, una donna rimanesse ammanettata al letto e non avesse più alcun modo per liberarsi?
E questo è quello che succede a Jesse, che soggiace all’ultima richiesta del marito, Gerald, e si lascia ammenettare ad un robusto letto nella loro casetta al lago. Involontariamente però, Jesse provoca la morte di Gerald, e da quel momento l’intera esistenza della donna collassa in quella casetta, su quel letto, sul quale l’attende una morte lenta e psicologicamente devastante.
L’abilità narrativa di King raccoglie bene la sfida, focalizzandosi sui loop mentali di Jesse, che rievoca il passato travagliato, le sue lotte interiori di coscienza e l’immaginazione, che con il passare delle ore, la mancanza di acqua e cibo ma soprattutto la paura dell’approssimarsi della fine, le provocano allucinazioni terrorizzanti… che forse non sono affatto allucinazioni, bensì una nuova manifestazione del Male incorporeo ed assoluto, che la aspetta negli angoli bui della sua stanza, in attesa solo che abbassi la guardia e si lasci andare alla disperazione.
Un romanzo senza dubbio molto particolare, che per gli amanti del genere è un appuntamento imperdibile, proprio perchè risulta un esercizio di stile dalla crudezza unica. Da provare. E dopo averlo letto, non vedrete mai più un paio di manette con gli stessi occhi.
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