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Joyland – S. King
Come ci ha insegnato gran parte della letteratura e della cinematografia di genere, le avventure, in particolare quelle più oscure e spaventose, capitano a chi meno se lo aspetta, a chi ha una vita ordinaria, a chi crede che il peggio che gli possa capitare sia già successo.
Devin Jones, protagonista di Joyland, appartiene esattamente a questa categoria. Siamo negli anni ’70, quando la vita era più semplice e a suo modo più facile. Devin affronta un lavoro estivo nel parco di divertimenti Joyland come riscatto per la storia finita male con la sua fidanzata. Quello che non sa è che, nell’autunno che seguirà, incontrerà delle persone che gli cambieranno la vita e scoprirà suo malgrado la risoluzione ad una serie di misteriosi omicidi avvenuti negli anni precedenti, di cui uno proprio a Joyland.
Premettendo che si tratta pur sempre di un frutto della penna del Re, Joyland è un romanzo mediocre.
La storia di per sè è molto carina, coerente e pregevole, la capacità descrittiva di Stephen King non viene mai messa in discussione, men che meno adesso. E’ certo però che l’aspetto “horror” in questa circostanza risulta un po’ forzato, un po’ appannato, come se per contratto avesse dovuto inserirlo e non perchè lui per primo ne trae vero piacere nel farlo.
La storia di Devin e dei suoi amici è uno spaccato di vita americana del recente passato, e sarebbe stata una lettura più che gradevole anche senza il fronzolo del mistero truculento da risolvere. Mistero che peraltro non suscita particolare ansia nel lettore, talmente è di contorno alla storia, e che viene risolto oltretutto in modi non molto chiari. Non voglio dare spoiler della trama, ma ci sono alcuni aspetti, che risultano essere chiave, che lasciano un po’ perplessi.
Insomma, da una bella idea come Joyland ci si poteva aspettare un solido romanzo di formazione giovanile come il sempre ottimo racconto Il corpo (Stand by me), senza alcuna necessità di infilare elementi horror o soprannaturali per vivacizzare la trama senza sentirne il bisogno.
Al netto di queste considerazioni, Joyland rimane un romanzo molto piacevole da leggere, con personaggi vividi e realistici come sempre il Re ci ha abituati.
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Doctor Sleep – S. King
Daniel Torrance è una nostra vecchia conoscenza. L’abbiamo incontrato la prima volta da ragazzino, con sua mamma e suo papà, a prendersi cura dell’Overlook Hotel per la stagione più fredda dell’anno. Quell’esperienza in effetti non fu proprio delle più esaltati per il piccolo Danny, anzi.
Doctor Sleep riprende le fila di un discorso interrotto tanti anni fa, alla conclusione di quel capolavoro di semplice perfezione che è Shining, raccontando cosa ne è stato di quel bambinetto che percorreva in triciclo i chilometrici corridoi dell’hotel popolato dalle presenze più sinistre messe in mostra da una acerba ma potente luccicanza.
Il Daniel moderno ha quasi del tutto perso l’innocenza di quei primi anni, ed ha dovuto usare armi pericolose per tenere a bada quel potere che gli portava davanti agli occhi i peggiori mostri dei propri incubi. Ma, come dice il saggio, da grandi poteri nascono grandi responsabilità, e la luccicanza di Daniel non poteva restare sopita per sempre. Perchè una bambina, Abra, ha bisogno che lui le faccia da mentore e che la aiuti ad esprimere quell’enorme capacità medianica con la quale è nata e che l’ha messa sulla strada di Rose Cilindro e della sua squinternata banda.
Se in Shining l’antagonista era il lato oscuro dentro ognuno di noi, rinfocolato da solitudine, alcol e luccicanza, in Doctor Sleep i cattivi hanno un nome ed un volto, e sono animati dalla sempre attuale sete di potere (che per certi versi maschera l’atavico istinto di conservazione).
E’ inevitabile cercare parallelismi qualitativi tra i due romanzi, e risulta chiaro con il progredire della storia che si tratta di due opere imparagonabili. Doctor Sleep è oggettivamente un romanzo piacevole, ben scritto e con un bel ritmo, con dei personaggi ben disegnati e con il giusto grado di fan service nei confronti delle aspettative del tipico lettore di King. E’ un romanzo onesto, che rende Daniel Torrance un uomo fatto con pregi e difetti e che da onore al Danny bambino; ma di fronte a Shining impallidisce, almeno per la pura capacità di essere deliziosamente inquietante.
Come detto però rimane una lettura molto piacevole che consigliamo a tutti.
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22/11/’63 – S. King
Tutte le storie migliori nascono con una domanda: che cosa succederebbe se…? Anche 22/11/’63, ponderoso tomo di Stephen King, nasce come risposta ad una semplice domanda: che cosa sarebbe successo se uno dei maggiori eventi spartiacque dell’era moderna non fosse avvenuto? Che cosa sarebbe oggi del nostro presente se quel giorno a Dallas John Kennedy non fosse stato assassinato?
Una domandona, senza dubbio, ma è risaputo che King non si faccia particolari timidezze nelle domande.
Vediamo quindi le vicende di Jake Epping, insegnante di lettere che nel 2011 scopre che un suo conoscente ha fatto avanti e indietro dal 1958 per anni, grazie ad una “buca del coniglio” nel retro della sua tavola calda. Questo amico aveva un obiettivo: salvare la vita a Kennedy quel giorno a Dallas e modificare tutta la catena di eventi successivi (l’omicidio di Martin Luther king, la guerra in Vietnam e chissà cos’altro), salvando di conseguenza migliaia forse milioni di persone e cambiare la storia. Jake dapprima sconcertato e poi affascinato, decide di cogliere questa opportunità, ipotecando cinque anni della sua vita nella Terra di Allora per impedire quell’evento e, se possibile, anche altri più piccoli e a lui più vicini. Ma dovrà scoprire ben presto che il passato non vuole essere cambiato, che il suo viaggio nel tempo ha messo in moto un marchingegno dai denti aguzzi, orientato a fare a pezzi tutto quello che si mette sul cammino della storia.
Indubbiamente si tratta di un romanzo ambizioso, dal quale traspare un grande lavoro di documentazione ma soprattutto un grande amore dell’autore per il tempo che era, per i primi anni ’60 degli Stati Uniti. La lettura è piacevole e appassionante ma non è possibile fare a meno di considerare una certa diluizione della storia che forse poteva essere ridotta o allegerita in alcune sue parti. Ciò nonostante, è interessante vedersi sviluppare una teoria sui viaggi nel tempo, con una sua logica e una sua consistenza che si manifesta nella generazione del paradosso, dapprima solo paventato e infine tragico e conclamato.
Questo libro tratta però un altro argomento, che forse nella maggior parte dei libri di King rischia di passare in secondo piano ma che è di fatto il vero fil rouge delle sue opere: l’amore, il sentimento toalizzante che ha saputo generare guerre, spargere sangue, crollare imperi e che ha rischiato, in questo caso, di cambiare per sempre la storia.
Nota di merito inoltre a Wu Ming 1 che ha curato la traduzione dell’opera.
Un ottimo romanzo, consigliato.
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L’occhio del male – S. King
Un avvocato sovrappeso investe una zingara e, grazie alle sue aderenze la fa franca, uscendone pulito e impunito. Ma un vecchio zingaro gli lancia una maledizione e lui inizia a dimagrire, sempre di più.
Richard Bachman ci ha abituati, a suo tempo, alle sue storie allucinate ed estreme. Per quanto sempre alter ego di Stephen King, Bachman si è distinto per i suoi libri tipicamente “e se”: che cosa succederebbe se uno zingaro per vendetta lanciasse una maledizione e facesse dimagrire a morte un avvocato obeso?
Da questo input si dipana la trama de L’occhio del male.
Bachman, rispetto a King, morde di più: il suo stile è più asciutto e più crudo, spesso è meno incentrato sul puramente soprannaturale a favore di una più netta concretezza, ma come King esalta la conoscenza profonda delle umane miserie, dell’iniquità intrinseca della borghesia nei confronti di chi vive ai margini, degli effetti della perdita delle sicurezze di una vita tranquilla e agiata.
L’unica grossa differenza tra King e Bachman è che se leggendo il primo ci sono buone probabilità che il romanzo finisca tutto sommato con un lieto fine, con il secondo difficilmente avverrà. E infatti.
Un romanzo un po’ antico ma di certo ancora molto attuale, amaro e grottesco e a modo suo triste perchè le considerazioni sono tutte vere.
Lettura consigliata.
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Gli occhi del drago – S. King
Prima che La Torre avesse la sua saga e prima che Roland fosse Roland, King ci concede una sbirciata in quello che diventerà il Medio Mondo in questo libro, Gli occhi del drago.
Roland è un anziano re, un po’ grezzo di modi ma fondamentalmente buono. Non ha mai avuto una particolare affinità con il sesso femminile, ma avrà anch’egli la sua regina che gli darà due figli, William e Thomas. Il primogenito è la luce degli occhi di Roland, e Thomas vive la sua gioventù da eterno secondo, sempre nell’ombra del fratello. Finchè il mago di corte e primo consigliere del re, Flagg (ci dice niente questo nome?) non decide che sia tempo di rimescolare un po’ le carte in tavola. Il re muore in un modo atroce che puzza di omicidio, e del reato viene accusato William, il devoto e perfetto figlio.
In un romanzo confezionato più come una fiaba fantasy che uno dei suoi più classici horror, King ci racconta una storia che, come spesso accade nei suoi libri, è vecchia come il mondo. Parla di tradimento, vendetta, abbandono, amore, coraggio, lealtà, regalità (quella che si trasmette nella natuale correttezza di intenti e dell’onestà) e, sopra ogni cosa, del Bene e del Male che alberga in cascuno di noi.
Un romanzo piacevole, imprescindibile per gli amanti di King perchè costituisce gli albori di una saga che ha attraversato i decenni ed è entrata nella storia della letteratura di genere.
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L’uomo in fuga – S. King
Più articolato e dalla struttura più complessa rispetto a La lunga marcia, più romanzo vero e proprio che non puro esercizio di perversione, L’uomo in fuga, di Stephen King nei vecchi panni di Richard Bachman rimae pur sempre uno di quei romanzi che si fanno fatica a lasciare.
Per molti versi assimilabile al succitato romanzo, anche questo delinea un futuro distopico nel quale i reality show hanno travalicato qualunque senso del pudore e attraverso questi una casta benestante e calcolatrice cerca di manipolare e tenere soggiogate le classi più povere, che in questo caso sono più disperate e affrante che mai.
In questo libro è possibile riconoscere moltissimi tratti distintivi di un altro grande romanzo con lo stesso fulcro, Hunger Games: la stratificazione sociale, l’utilizzo della tv e dei “giochi” come strumento di controllo e di sottomissione dei poveri ai più ricchi, la spietatezza e la mercificazione dell’essere umano e della sua morte ridotta a puro intrattenimento.
A leggerlo ora, L’uomo in fuga riesce ancora a genere un buon grado di tensione e il lettore, come sempre accade quando finisce nella mani del Re in una delle sue incarnazioni, non può scappare dalla trama che l’autore disegna attorno al protagonista.
Ciò non toglie però che il romanzo fa sentire la sua non più giovane età, e qualche scelta un po’ naif potrebbe risultare oggi non troppo efficace.
In ogni caso si tratta di una lettura piacevole e godibilissima, che scava un po’ meno a fondo nella mente e nelle allucinazioni de La lunga marcia, ma che si concentra su una trama incalzante degna di un buon action e lascia dei buoni spunti di riflessione per quanto riguarda i risvolti sociologici e morali di un simile scenario non così inverosimile.
Come spesso accade quando si tratta di King, lettura consigliata.
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Quattro dopo mezzanotte – S. King
Sì, abbiamo ancora da recensire libri di Stephen King, anche se in effetti non più molti (e alcuni li abbiamo letti così tanto tempo fa da non aver voglia di mettere troppo alla prova la nostra memoria).
Oggi parliamo di una raccolta di racconti lunghi, o di romanzi brevi. Niente a che vedere con il celeberrimo “Stagioni diverse” in cui possiamo trovare racconti che nell’arco degli ultimi vent’anni sono passati tutti per il grande schermo, ma in Quattro dopo mezzanotte possiamo trovare senz’altro pane per i nostri denti.
Questi quattro romanzi brevi sono senza ombra di dubbio horror nella più kinghiana delle accezioni. Chi come noi ha letto e riletto le sue opere di ogni tempo può riconoscervi tantissimi punti distintivi, non solo elementi narrativi bensì intere espressioni e concetti che King ama riproporre e che forse, in virtù della più breve percorrenza in questo caso, ha deciso di non modificare in favore di espressioni più originali.
I racconti a nostro parere seguono un percorso, una escalation al contrario, una contrazione in termini di spazio e area di azione.
Ne “I langolieri” ci troviamo per le mani qualcosa di davvero grosso: di punto in bianco gran parte dei passeggeri e tutto l’equipaggio a bordo di un aereo di linea scompare misteriosamente nel nulla, lasciando nella più completa costernazione una manciata di superstiti che si troveranno a fronteggiare circostanze del tutto incredibili. In quest’opera l’elemento soprannaturale (fantascientifico, se vogliamo) è preponderante per la comprensione della vicenda, ma non manca un senso di orrore claustrofobico nonostante l’ampio spazio che viene dato anche agli eventi al di fuori dell’aereo. Molto ben delineati i personaggi e la ferrea (il)logicità del “cattivo” di turno.
Due dopo mezzanotte, “Finestra segreta, giardino segreto“, si contrae un po’ su se stesso. Pur svolgendosi in un’area geografica decisamente più ampia rispetto al primo racconto, risulta ben presto (forse non così presto) come il punto focale non sia da ricercarsi chissà dove, ma molto vicino al protagonista, talmente vicino da compenetrarlo. Uno scrittore di successo recentemente abbandonato dall’amata moglie si ritrova a dover fronteggiare uno scrittore amatorale, un redneck qualsiasi, che sostiene che un suo racconto è stato plagiato. In questo racconto ritroviamo elementi che è possibile riscontrare in altre opere, con caratteristiche più o meno analoghe.
Tre dopo mezzanotte, “Il poliziotto della biblioteca“, effettua ulteriormente una contrazione, questa volta in termini di orrore claustrofobico. Un assicuratore si trova a dover tenere un discorso al suo club e decide di prendere in prestito alcuni libri in biblioteca per mettere un po’ di sale alla sua esposizione. Lì farà la conoscenza di una bibliotecaria molto particolare e, quando si “dimenticherà” di riconsegnare per tempo i volumi, anche della temibile polizia bibliotecaria. L’ambientazione e i personaggi sono tra i più domestici possibile, ma il ritmo è incalzante e i personaggi sono disegnati con particolare nitidezza.
Quattro dopo mezzanotte, “Il fotocane“, si ricollega alle vicende di Castle Rock, cittadina del Maine di cui conosciamo l’affezione dell’autore anche grazie alla sua specifica introduzione. La contrazione qui la riscontriamo nell’ambiente geografico di azione, ma anche nella verosimiglianza dell’evento soprannaturale. Un ragazzino per il suo compleanno riceve una Polaroid difettosa: continua a scattare fotografie di un enorme cane nero, incurante del reale soggetto inquadrato. E non solo, le fotografie sembrano delineare una sequenza temporale e un movimento dell’animale. Movimento piuttosto minaccioso, in verità. In questo caso viene ripreso l’elemento caratteristico di un altro romanzo molto celebre di King, Cujo, sulla linea dell’incarnazione del Male all’interno di un animale (e non di un uomo o di una creatura aliena, come siamo stati abituati in altre circostanze). A nostro parere forse il meno incisivo della raccolta, in particolare per la lungheza del testo, che ad un certo punto diventa decisamente prolisso.
Noi abbiamo letto i racconti in un unico volume, ma abbiamo visto che in un’edizione successiva è stato pubblicato in due volumi, il primo dei quali risulta essere fuori catalogo. Noi comunque vi segnalamo i link, caso mai dovesse tornare disponibile.
La leggenda del vento – S. King
Una storia dentro una storia dentro un’altra storia, che si inserisce all’interno della grande storia di Stephen King, la saga de La torre nera, che in fondo è all’interno delle storie di tutti i romanzi che ha prodotto.
La leggenda del vento sembra a primo acchito (dai, diciamolo, lo è) un “romanzo tappabuchi” nato probabilmente con l’intento di dare qualche cosa agli amanti ormai appagati della saga della torre ma senza disdegnare l’attenzione del lettore generalista.
Il risultato, sebbene possa mostrare il fianco come detto a tutta una serie di logiche di mercato a discapito del valore vero e proprio del libro, rimane comunque un’ottima esperienza di lettura.
King è un affabulatore di classe superiore, e in questo romanzo costruito a scatole cinesi lo fa al suo meglio, raccontando e mostrando storie fantastiche in seno al Medio-Mondo.
Un ottima e appassionante lettura, dalle trame non travolgenti, forse, ma narrate in modo stupefacente come solo Il Re sa fare.
Libro assolutamente consigliato a tutti gli amanti di King, a quelli che hanno nostalgia del Medio Mondo (dei suoi aye, dico grazie-sai) e anche a quelli che semplicemente non vedono l’ora di leggere una storia fantastica, essere trasportati lontano sulle ali del vento, quel vento speciale che spira dal buco della serratura e scompagina i destini.
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