Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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Scheda: La giustizia di Iside – C. Farris
In un Egitto fantastico, in cui regna la giustizia di Iside e la rivoluzione ha abbattuto la Dinastia, i Ritornati sono vittime che hanno abbandonato il Regno dei Morti, in cambio dell’anima del loro assassino.
Solo ventiquattro ore è il tempo concesso alla squadra Sette dai Giudici dei Morti per trovare l’assassino ed effettuare lo scambio; ma chi ritorna è condannato a rievocare il momento della propria morte.
Naima, un occhio di Horo tormentata dal ricordo di un assassino che dissangua giovani donne, si troverà suo malgrado a far parte della squadra. Fra complotti e intrighi politici, i sette dovranno affrontare un pericoloso avversario, che vuole la loro scomparsa, e anche i dubbi sulla giustizia della risurrezione.
Naima avrà il suo assassino ma il prezzo da pagare sarà alto.l’autore
Clelia Farris, nata a Cagliari nel 1967, si è laureata in psicologia con una tesi in epistemologia. Nel 2004 ha vinto il premio Fantascienza.com col romanzo “Rupes Recta”, giunto alla seconda ristampa. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo “Nessun uomo è mio fratello” con il quale ha vinto il premio Odissea. Nel 2011 viene pubblicato il suo terzo romanzo “La pesatura dell’anima”, vincitore del premio Kipple. Ha pubblicato racconti su Fantasymagazine, Robot, la rivista Effemme.
In questi giorni è in uscita il suo nuovo romanzo “La giustizia di Iside” con l’editore Kipple.
Corpo libero – I. Bernardini
Martina ha quattordici anni ed un’ambizione: qualificarsi per le olimpiadi. Lei e la sua squadra si trovano in Romania per partecipare ad una delle numerose gare di qualificazione che potrebbero portarle a raggiungere quell’obbiettivo. Ciascuna ragazza è un mondo a sé, affronta a modo suo la fatica, le privazioni ma anche la scaramanzia, la paura di una caduta, la paura di crescere, di ingrassare, di non essere più quell’esserino flessuoso simile ad un gatto e di diventare goffo e normale come tutti gli altri.
Martina e le sue compagne sono ginnaste professioniste, scisse tra la voglia di essere campionesse e la naturale necessità di affetto, coraggio e di essere adolescenti. Scissione che per le più fragili si esprime in gesti insani verso sé stesse e per altre diventa occasione di atti impensabili.
Questo in breve nel romanzo Corpo libero dell’autrice Ilaria Bernardini. Con uno stile del tutto particolare ci viene raccontato questo modo che il grande pubblico non conosce e che forse nemmeno riesce ad immaginare con chiarezza. L’autrice riesce a trasmettere il senso di alienazione che provano le atlete ad essere per esempio in un paese straniero del quale conoscono solo l’albergo, la palestra e quello che riescono a vedere dalla finestra della propria stanza.
Ci viene mostrato anche un assaggio della difficoltà della vita in comune, tipica delle squadre sportive ma anche dei collegi, dove ragazzi devono stare a stretto contatto con persone che non hanno scelto ma con cui devono in qualche modo andare d’accordo, per non turbare l’equilibrio del singolo che poi si esprime come l’equilibrio dell’intero gruppo.
L’autrice riesce ad esprimere con efficacia la voce adolescente della protagonista, attraverso uno stile colloquiale ed in apparenza spontaneo, non troppo dissimile al diario, in cui i dialoghi risultano immersi nel testo, senza segni di punteggiatura per evidenziarli. Questo stile apparentemente istintivo permette quindi al lettore una maggiore immedesimazione nella storia, arrivando a creare un sentimento di pena, quasi, di compassione, nei confronti di queste ragazzine mignon, costrette ad essere elastiche, belle e perfette nonostante i calli alle mani, le schiene deformate e i bagni nel ghiaccio.
C’è anche un accento di giallo, perché anche la tragedia può arrivare ad intaccare la già precaria routine di vite così tanto regolate, il che rende l’intera storia ancora più efficace.
Un libro che consigliamo insomma, per imparare qualche cosa di insospettato e per riflettere su una realtà poco conosciuta e singolare.
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La bestia e la bella – S. De Mari
Quante volte, davanti all’ingiustizia e all’iniquità, abbiamo pensato che sarebbe bello che la ruota girasse anche per gli arroganti e che il Fato, o il karma, li facesse diventare creature minuscole, neglette, povere di mezzi e di spirito, per pareggiare i conti?
In questo piccolo libro di Silvana De Mari, La bestia e la bella, accade esattamente questo, come solo nelle grandi e semplici fiabe può succedere.
Un principe, arrogante, antipatico ed ingiusto con i più poveri del suo regno, viene inspiegabilmente trasformato in un cane. Non uno dei suoi altezzosi cani da compagnia o i suoi potenti cani da caccia, bensì in un botolo pulcioso, di razza indefinita, e nemmeno tanto bello.
Da quel momento si troverà quindi solo e abbandonato al freddo e al gelo, scacciato da tutti come lui stesso scacciava i bisognosi dalla sua vista, finchè qualcuno di insospettato, proprio grazie alla sua condizione di cagnolino, gli darà una lezione di vita che lo cambierà nel profondo.
Non si può certo dire che questa favola sia particolarmente originale o stupefacente, in fondo per qualunque adulto è semplice immaginarne il finale. Il valore aggiunto è costituito dall’abilità della De Mari, che già abbiamo rilevato nel suo pregevole L’ultimo orco e che qui da il suo meglio proprio per rendere unica una storia delle più semplici.
La De Mari scrive “di pancia”: si lascia trasportare dal racconto, con l’eloquenza dell’istinto, al punto da far sorridere spesso il lettori in molti passaggi. Ma di istintivo non c’è niente, anzi: l’esperienza da psicologa si esplica anche in questo volumetto, scegliendo similitudini e sfaccettature dei personaggi che li rendono veri, vividi, pensanti, con sentimenti veri. In una parola, umani, in cui ciascuno può riconoscere le proprie debolezze.
Consigliamo questa favola a tutti: ai bambini, alle loro mamme, a tutti quelli che si arrabbiano davanti alle ingiustizie e che vorrebbero che la gente imparasse a riconoscere i propri errori e a diventare delle persone migliori.
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L’ultima sposa di Palmira – G. Lupo
Il grande terremoto del 1980 che colpì l’Irpinia e fece tanti danni e tanti morti in Campagna e Basilicata, fece scomparire anche un piccolo paese, ignoto ai più, dall’esotico nome di Palmira. Si reca sul posto un’antropologa, per documentare la realtà locale del disastro. Invece di trovare la disperazione che ha già visto più volte in scenari simili, incontra un falegname, Mastro Gerusalemme, che sta realizzando i mobili per una futura sposa, Rosa Consilio, l’ultima sposa di Palmira. Attraverso un intarsio e una visita al paese distrutto, Mastro Gerusalemme racconta storie al limite del surreale, del fantascientifico e del pagano, che hanno popolato Palmira e i suoi abitanti di superstizioni, riti scaramantici e misteri.
L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo racconta, con uno stile che definiremmo quasi desueto, una storia fatta di misteri e credulità popolare che ci fa ricordare La casa degli spiriti della Allende, forse portato ancora più all’estremo.
La cura e la scelta di ciascuna espressione traspare da ogni pagina: nessuna parola è stata lasciata al caso, anche la scelta di vocaboli di marcata “meridionalità” manifesta una scelta ponderata e voluta, che serve ad avvolgere il lettore nelle spire del tempo, portandolo indietro, facendogli credere di leggere un romanzo dei primi del ’900 invece di un testo moderno. Stride, infatti, rendersi conto che il testo è ambientato solo nel 1980, e fa quasi storcere il naso leggere di oggetti e concetti moderni.
In questo libro a farla da padrone è certamente lo stile, come detto, e senza dubbio questi episodi così particolari fanno sì che la lettura non sia mai monotona o prevedibile. A parte questo però, questo libro ha un po’ poco mordente, poco ritmo, forse perchè non ha una vera e propria evoluzione, bensì racconta uno spaccato di vita inframmezzato di racconti che fanno parte di uno stesso contesto ma che riescono poco a formare un tutt’uno organico.
La lettura è lenta, meditativa forse, ma con poco sprone per proseguire.
Nel complesso non si può certo dire che sia un cattivo libro, ma forse è dedicato a palati adatti, che ricercano storie immaginifiche di vecchio stampo, che amano perdersi dietro chimere e antichi fuochi fatui.
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Noia – F. Bwaffete
Bloccato in coda alle poste. Una coda che sembra non finire più, un’attesa che ben presto si dilata all’interno della sua mente, prendendosi tutto, scatenando la fantasia come unica via di fuga per non impazzire.
Noia, di Fra Bwaffete, è un breve romanzo che nasce da una serie di microracconti prodotti in momenti e con stili ed argomenti diversi, riuniti tutti sotto il cappello dell’evasione mentale del protagonista, in coda per il suo turno allo sportello delle poste. Anche in questo caso (come abbiamo riscontrato nella lettura del primo romanzo Racconto di fine storia), le potenzialità dell’autore ci sono tutte, sebbene nuovamente la necessità di editing sia evidente, in particolare per rendere più coesa questa raccolta episodica.
Il concept su cui si basa quest’opera è piuttosto originale, lo stile ironico e a volte un po’ crudo ben si adatta con l’intenzione del racconto, manifestando fastidio, insofferenza, pesantezza mentale.
I microracconti di cui è composto, che altro non sono che i viaggi di fantasia del progonista che cerca di prendere le distanze dall’attesa, sono brevi flash, attimi di violenza immaginaria, sogni ad occhi aperti, incontri piacevoli o al contrario terribilmente spiacevoli, caratterizzati da uno stile eterogeneo. Proprio perchè scritti e pensati in momenti diversi, probabilmente un lavoro di rifinitura all’opera avrebbe dato una spinta maggiore all’eloquenza dell’autore.
In buona sostanza si tratta di una lettura veloce e piacevole, che evidenzia il potenziale dell’autore, sebbene ancora un po’ acerbo.
Scheda: Noia – F. Bwaffete
Beep non è un suono. Bepp è IL suono. Il suono che ti fa svegliare, che ti riporta alla realtà, che blocca sul nascere il tuo sogno ma, soprattutto, è il suono che ti fa desiderare di essere altrove.
l’autore
Francesco Moschini nasce a Bagno a Ripoli nel 07 gennaio 1986 e vive nella ridente Valdinievole, un comprensorio di 11 Comuni nella provincia di Pistoia. Questo suo secondo libro, intitolato “Gocce di follia” altro non è che l’insieme della quasi totalità dei microracconti a cui ultimamente ha deciso di dare seguito trasformandoli in libri veri e propri.
Trovandosi, però, di fronte a quelli riportati in questo libro non ha saputo, o non ha voluto, continuarli optando invece per una “enciclopedia di idee” raccogliendoli cioè in un unica opera per dare un senso di storie improvvisate sul momento da un fantomatico ragazzo in coda che aspetta il proprio turno. La difficoltà maggiore è stata riuscire ad inserire tutto in un unico contesto dato che ovviamente ogni storia ha un suo significato preciso ed un suo stile, essendo scritte in tempi e luoghi differenti. Prima che ve lo domandiate, ammesso che lo facciate: no, le storie non sono state riportate in ordine cronologico di “nascita”.
Vi ricordo che molte informazioni, gli altri libri ed altre opere sono reperibili gratuitamente sul sito internet:
www.bwaffetime.weebly.com
Scheda: Tra oceano e cielo – S. Schiffini
Scheda rimossa per politiche editoriali. Per informazioni in merito scrivere a staff.annessieconnessi [@] gmail.com
Diecipercento e la Gran Signora dei Tonti – A. Di Martino
Gianni, conosciuto da tutti come Diecipercento è stata una di quelle persone che ha sempre cercato di cavalcare la vita, di prenderne i vantaggi, senza troppo badare alla morale. Il suo soprannome infatti parla chiaro: in qualità di politico più in vista della cittadina ha sempre agito come se una percentuale di tutto fosse merito suo.
Diecipercento è stato un uomo di luci ed ombre, finchè un giorno morì, ucciso da una fucilata durante una uscita a caccia. Lo spirito di Diecipercento non può allontanarsi dalla Terra finchè non ricostruirà la sua “linea di morte”, completando il quadro di avvenimenti che ha portato infine alla sua dipartita. Per compiere questo, seguirà Margherita, sua nipote, perduta tanti anni prima e tornata in città per l’estremo saluto a lui e, forse, alla sua vita di ragazza, per lasciarsela definitivamente alle spalle.
Diecipercento e la Gran Signora dei Tonti è il primo romanzo per pubblico adulto di Antonella di Martino ed il risultato è piacevolissimo, un mix tra favola surreale e profonda introspezione. I personaggi sono numerosi ma tutti parte di un quadro ben preciso, come tessere di un puzzle, e sono tutti rappresentati principalmente attraverso i loro tratti caratteriali, esplicati nel dettaglio, più che tramite quelli fisici. Le loro caratteristiche sono emblematiche: sarà possibile a ciascun lettore riconoscere almeno una persona della propria vita che corrisponda a queste descrizioni.
La trama è piuttosto semplice ma non banale, le interazioni del personaggio di Margherita con gli altri attori sono rese originali dai flashback e dagli interludi di Diecipercento che osserva e commenta nella sua nuova veste incorporea.
Quello che rende davvero particolare questo romanzo, è il profondo viaggio interiore che i due protagonisti fanno, alla scoperta dei legami di famiglia e delle influenze che chi è stato loro accanto negli anni hanno avuto sulla definizione del proprio Io. Questo libro in fondo parla della felicità, di come trovarla, di come sia possibile non perdere la speranza di raggiungerla, un giorno, attraverso la comprensione di noi stessi, degli altri, e il perdono.
Lo stile scorrevole e leggero permette ai personaggi di balzare fuori dalla carta, lasciando la voce del narratore sullo sfondo, appena percettibile e mai invadente.
Un ottimo libro insomma, che consigliamo volentieri a tutti, perché in grado di offrire interessanti spunti di riflessione, senza la presunzione di voler salire in cattedra ma suggerendo soltanto di andare oltre all’apparenza del nostro quotidiano.