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L’uomo verticale – D. Longo
Negli ultimi anni mi è capitato spesso di leggere romanzi più o meno di fantascienza spinta incentrati su scenari post apocalittici. Gran parte di questi avevano a che fare con una epidemia zombie e per quanto ne abbia incontrati diversi con una logica ed una struttura solida e credibile, una parte di me è sempre stata in grado di tenere le redini e osservare il gioco dell’inganno tra l’autore e la mente del lettore come spettatore esterno, percependone la finzione.
L’uomo verticale di Davide Longo si presenta come un romanzo post apocalittico (o peri-apocalittico, se esiste il termine) atipico, prima di tutto perchè non è un romanzo di fantascienza e poi perchè la sua abilità mi ha fatto crollare lo spettatore esterno disincantato, facendolo soccombere.
Questo romanzo è stato in grado di turbarmi nel profondo, come solo pochi romanzi riescono a fare, perchè è stato in grado di delineare uno scenario assolutamente credibile, che potrebbe verificarsi in tutta la sua tragica perfezione nell’arco di pochi anni (o mesi) a partire da oggi, proprio davanti ai nostri occhi.
Non sappiamo gli estremi precisi di questa apocalisse, sappiamo per certo però che ciò che l’ha generata non è un elemento estraneo a noi (come potrebbe essere una malattia, un’invasione aliena o un’epidemia zombie) e questo, a mio avviso, genera tutta la differenza del mondo. Vengono chiamati “esterni” ma sappiamo che si tratta solo di una questione geografica, non planetaria, ed identifica sempre e comunque degli esseri umani.
Questo romanzo esplora la vita peri-apocalittica di un uomo normale, che si ritiene ammorbidito, impoverito dalla sua normalità, inetto nell’affrontare un qualcosa più grande di tutti contando sul suo ottimismo a poco prezzo, sul suo “tutto si sistemerà”. Quello che dapprima ha ritenuto una debolezza, diventerà la sua forza, il suo unico modo per rimanere vivo, integro, verticale (appunto), umano nel senso buono e naturale del termine, anche dopo aver affrontato atrocità difficili da immaginare, liberandosi dal passato e dagli orpelli per arrivare alla vera essenza delle cose importanti.
Uno dei punti di forza di questo romanzo, che ne arricchisce di sfumature le grandi capacità evocative, è il sensibile utilizzo di metafore. L’uomo si ritrova a fronteggiare la rigidità di un terribile inverno della ragione umana, nonchè climatico, e culminerà finalmente nelle braccia della primavera, con i suoi germogli di speranza, e nell’estate con la sua fecondità e la promessa di tempi meno difficili.
Al contempo, ad esempio, i cani costituiscono una brillante metafora dell’essere umano, che reinselvatichito, torna alla sua aggressività naturale con accenti aberranti al punto da, talvolta, dilaniarsi tra consimili. Gli animali e la natura in generale rappresentano il Buono che ancora alberga al mondo, la sensibilità, la dolcezza, l’accoglienza che culmina nella purezza dell’infazia più tenera, che dà speranza in un futuro migliore e più equilibrato.
L’uomo verticale è un romanzo molto crudo, drammatico e aguzzo, che scava all’interno dell’uomo con utensili affilati, alla ricerca di quello che sappiamo essere Buono all’interno di noi, nonostante spesso le circostanze facciano di tutto per annientarlo.
Sicuramente una lettura consigliata.
Recensione scritta da Sayu
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Che ti sia lieve la terra – C. de Concini
Il modo migliore per raccontare la storia di una vita, non consiste nell’enumerare date e fatti ed eventi, luoghi visitati e successi conquistati, bensì raccontare come quella vita, nel suo scorrere, abbia saputo influenzare le vite che si sono incrociate con essa.
Che ti sia lieve la terra, romanzo di Camilla de Concini, raggiunge questo obiettivo, raccontando una vita ugualmente straordinaria e comune attraverso le storie di tre vite che l’hanno incrociata, profondamente amata ed infine persa per sempre.
L’autrice racconta le vicende di tre donne, molto diverse per cultura ed età, unite da un legame di amore e di perdita con la quale, ciascuna a modo loro, deve scendere a patti e sulla quale devono imparare a costruirsi un nuovo percorso senza la persona tanto amata, arrivando finalmente a contare l’una sull’altra.
Attraverso una turnazione dei tre punti di vista narrativi, l’autrice riesce a cogliere con una sensibilità di alto livello le difficoltà di ciascuna protagonista: solitudine, abbandono, sconcerto, lutto, perdita, tradimento e in tutte, un forte e determinato desiderio di rinascita.
Le storie si estendono anche da un punto di vista geografico, spaziando dall’Italia al Libano passando per l’area balcanica e la Turchia, in un lungo viaggio attraverso culture diverse simbolico rispetto al viaggio interiore che le protagoniste devono affrontare per l’elaborazione del lutto.
E’ un ottimo romanzo, che ci sentiamo di consigliare a lettori e lettrici di tutte le età, perchè scritto con cura e competenza, sensibilità e credibilità, caratteristiche ormai rare nella letteratura d’assalto moderna.
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Scheda: Che ti sia lieve la terra – C. de Concini
Olivia camminava svelta sul marmo dell’Aeroporto Internazionale Rafic Hariri di Beirut, aveva uno zainetto rosso in spalla e la mano nella mano di sua zia. Erano partite la mattina presto dall’Italia e avevano viaggiato tutto il giorno, poi erano rimaste a lungo, in piedi, davanti ai soldati di frontiera.
La macchina uscì di strada, la ghiaia schizzava da tutte le parti e si sentivano i colpi dei sassi contro la carrozzeria. Il motore urlava forte, poi, con un sobbalzo, si spense e si fermò al limite dalla scarpata. Irena si tolse la cintura. Nell’abitacolo Cassiopea giaceva sul fondo della macchina tra pezzi di terra sparpagliati. – Scusami – le disse tirandola su e cercò di risistemarla nel vaso alla bell’e meglio.
Nur tentava di rispondere con disinvoltura, ma era turbata. Continuava a ripetersi: «Questa ragazza è lesbica» si accorse che stava fissando il ciondolo che Najme aveva al collo, due specchi di venere intrecciati che si insinuavano nell’incavo del seno.
Nina si soffermava davanti ai segni della guerra, lasciava scorrere la mano sui muri e sulle pietre della città, guardava i fori dei proiettili e ci infilava dentro le dita, si fermava a lungo davanti ai segni delle esplosioni, ai palazzi divelti.
Olivia, Irena, Nur, e Nina, quattro figure che ci raccontano del presente e di memorie lontane sospese tra l’Italia, i Balcani e il Libano. Le loro storie si alternano e si intrecciano, si rincorrono lungo il bordo orientale del mar mediterraneo, tessendo una trama che unisce l’occidente al medio oriente.l’autore
Camilla de Concini, nata ad Ancona nel 1977, si laurea in Storia del Mimo e della Danza a Bologna. Lavora come cooperante all’estero per diversi anni, dal 2006 al 2010 vive in Libano, dove collabora con la rivista on line Bekhsoos arab queer magazine. Lasciato il lavoro e rientrata in Italia si mette in viaggio a bordo di una fiat Palio sulle tracce di Irena per raggiungere Olivia a Beirut. Dal 2011 vive e lavora a Bologna.
Racconti intorno al fuoco – T. Sguanci
Una carrellata di protagonisti in altrettante ambientazioni tra il fantastico, il realistico e il surreale, si susseguono nei raccolti di Racconti intorno al fuoco di Tommaso Sguanci.
Il vero fil rouge che unisce questi racconti, altrimenti così diversi tra loro per argomenti e scene, è il delinearsi di un persorso introspettivo e spirituale di crescita, alla scoperta dei veri obiettivi, della vera essenza di sè, dei propri desideri e aspirazioni.
Un percorso di ascesa (o di discesa dentro sè stessi) che si ripropone nei sei racconti in accezioni e con implicazioni diverse.
Nel complesso la raccolta risulta molto particolare e si rivolge ad un pubblico almeno già avvezzo a questo tipo di argomento che molto si discosta dalla narrativa meno simbolica. E’ proprio attorno al focus sulla ricerca del simbolismo e della crescita spirituale che si strutturano i racconti, che risultano impoveriti nell’aspetto puramente narrativo.
La raccolta quindi risulta piacevole per chi già bazzica l’argomento mentre può destabilizzare chi si approccia per la prima volta a questo genere e chi si aspetta una narrativa più “classica” e fuor di metafora.
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Scheda: Casa di riposo Michail Bakunin – D. Borghi
Quella sera, camminando in solitudine e senza meta, percepii la strana ma netta sensazione di appartenere a quel luogo, a quella pesante umidità, a quell’odore sottile di decomposizione latente, a quell’erba coriacea avvelenata dall’acqua a sua volta fatalmente inquinata dalla cartiera e dagli impianti petrolchimici. È facile sentirsi parte di un paesaggio maestoso, di un mare smeraldino o di una distesa di foreste, erba e cielo. Percepire l’appartenenza ad un ambiente scostante, quasi ostile e reticente, è tutt’altro.
l’autore
Daniele Borghi è nato a Roma più di mezzo secolo fa, dov’è rimasto a studiare, vivere e lavorare. Architetto pentito, falegname per vocazione e consulente finanziario per squilibrio ormonale del destino, ha pubblicato la raccolta di racconti Day & Night (Fazi-Libuk, 2001) e tre romanzi: Il nome di una privazione, Pinocchio non abita più qui (Fara Editore, 2003-2005) e L’altra vita di Emma (Fernandel, 2010).
Scheda: Racconti intorno al fuoco – T. Sguanci
Un monaco Zen. Uno jarl vichingo. Un’aspirante eroina. Un timido archeologo. Un guerriero pellerossa. Una vittima del terremoto. Un feroce pirata. Cosa accomuna le loro storie? Una spasmodica ricerca di risposte. Ogni personaggio è posto faccia a faccia con i suoi più profondi interrogativi, con le sue ombre, ma anche con la scintilla di luce che guida il suo destino. Ogni ambientazione ospita un viaggio e manifesta i lati della psiche umana con i suoi archetipi: l’acqua, la morte, il potere, la conoscenza, la paura, la follia, il fuoco. La potenza
dei simboli, che richiamano gli antichi miti, non toglie spessore ai protagonisti della ricerca. I toni cambiano adattandosi al carattere dell’ambientazione, lo stile muta in conformità alle esigenze del protagonista: sono i personaggi che dettano le regole. Il lettore è accompagnato per mano in sette viaggi alla ricerca di se stesso,
attraverso domande che trovano risposta solo in chi ha il coraggio di guardarsi dentro.l’autore
Tommaso Sguanci è nato a Firenze il nel 1980. Ha studiato filosofia e teologia a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana. Ispirato dal proprio cammino di crescita interiore, dalle intuizioni ricevute in meditazione, dalle esperienze di vita sue e delle persone a lui vicine, dal contatto con la natura e dallo studio dei
miti e delle disparate tradizioni spirituali, si dedica alla scrittura di racconti, filastrocche, pensieri e semplici canzoni. A Catania si prodiga come relatore di conferenze per l’associazione culturale Vivencia (fra le conferenze tenute, una su Tolkien e il Signore degli Anelli e una su La Storia Infinita di Ende, altre su
Elia, Le opere di Hayao Miyazaki, la meditazione). Insegna religione alle superiori nella zona di Firenze. Nel frattempo si dedica alla scrittura di racconti e di romanzi che abbiano lo scopo di portare il lettore a un’introspezione e una ricerca interiore, al di là di qualsiasi dogma di fede.
La crociata dei bambini – T. Avoledo
Questo romanzo mi ha ossessionato.
Diversamente da quello che avviene negli altri romanzi di Metro 2033 Universe, i romanzi di Tullio Avoledo sono incentrati su un taglio molto meno action per favorire argomentazioni di carattere molto più introspettivo, filosofico e anche religioso. Che fine fa la religione (così come la morale, la legge, la giustizia, l’umanità) in uno scenario postatomico in cui la speranza sembra essere l’unico motore e al contempo l’unico fardello per i sopravvissuti?
Se Le radici del cielo, il primo romanzo dell’autore, mi era piaciuto nella sua unicità, piuttosto lontana dall’idea impostata da Metro 2033 (troppa aria aperta e troppi chilometri percorsi!), La crociata dei bambini ritorna nel ventre polveroso ed oscuro delle metropolitane, richiamando prepotentemente tutto il bagaglio di esperienze (lette) affrontate in giro per le metropolitane del mondo.
E proprio perchè questo romanzo si inserisce formalmente di più nel solco delle aspettative ambientali della serie, colpisce per la sua profondità che lo colloca diverse spanne sopra gli altri.
Questo libro mi ha ossessionato, forse perchè non ero davvero pronta a tornare sottoterra, a vivere al buio, ad aver paura di quello che può spuntare da dietro l’angolo, creatura alata o uomo armato e senza pietà che sia.
Di questo libro mi ha ossessionato la sensazione pervasiva di voler avere speranza, nonostante siano passati 20 anni dall’olocausto nucleare che ha tradotto gli uomini in creature di galleria e nonostante i 20 anni di tribolazioni per la sopravvivenza l’essere umano non sia affatto cambiato e voglia mettere davanti a qualunque senso logico di mutua accoglienza l’arroganza e la grettezza e la più bassa volontà di sopraffazione, a spese dei più deboli e della propria anima.
Questo libro mi ha ossessionato per la sua crudezza. L’autore, ricordo, non è nuovo agli estremismi, ma in questo caso conduce il lettore in un abisso oscuro che nessuno si sente davvero pronto ad affrontare. In fondo è solo una storia inventata, che male può farti?
Questo libro mi ha ossessionato ma forse mi hanno ossessionato di più i suoi protagonisti. Se John Daniels era una vecchia conoscenza, così come alcuni dei suoi “trucchetti Jedi”, i nuovi attori sulla scena sono così umani, così veri, che non possono lasciare indifferenti. Mi ha ossessionato la figura di Vagante: il suo nome, il suo passato, il suo presente. L’essere la pietra angolare della sua comunità per attitudine naturale, l’essere diventato adulto senza essere mai stato un bambino ed il riscoprirsi finalmente fragile e ancora uomo.
Questo libro mi ha ossessionato perchè non è solo un romanzo di svago fine a se stesso, è un viaggio all’interno dell’uomo, della sua mente e del suo cuore, all’interno delle sue debolezze, dei suoi percorsi mentali, delle sue paure e dei suoi bisogni più atavici.
Questo libro mi ha ossessionato perchè gli scenari che dipinge non sono nè surreali nè inverosimili, ma vicini a noi, potenzialmente ad un solo passo.
Questo libro mi ha ossessionato, e spero che possa ossessionare anche voi.
Recensione scritta da Sayu
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Accabadora – M. Murgia
Maria è nata due volte. Una volta dalla sua madre naturale, che l’ha partorita per ultima in una famiglia di sole donne e senza padre, e una volta da Bonaria Urrai, una donna rimasta vedova senza essere mai stata sposata. Bonaria cresce Maria come una figlia, colmando con questa unione i reciproci vuoti dell’esistenza.
Bonaria è però anche l’accabadora del paese, l’ultima madre, la pietosa figura che mette fine alle sofferenze di chi non riesce a lasciare il mondo dei vivi.
Con un tratto delicato ma preciso, Michela Murgia racconta una storia dal sapore antico nato in terra sarda, Accabadora.
Lo stile è misurato, ogni parola selezionata con cura, pesando con attenzione i regionalismi, la struttura delle frasi, le espressioni del discorso diretto, avvicinando il lettore al territorio e all’epoca narrata. Proprio come le genti di cui tratta, l’autrice si esprime con riserbo, lasciando poco spazio agli slanci poetici, senza tralasciarli del tutto ma facendoli trasparire nella scelta delle figure retoriche e nelle similitudini.
Un romanzo sicuramente molto noto, e a buon titolo, che disegna con maestria una storia semplice ed efficace, che lascia buoni spunti di riflessione.
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