Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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Coraline – N. Gaiman
Trama: in casa di Coraline, ci sono tredici porte che permettono di entrare nelle stanze e una quattordicesima, che da su un muro di mattoni. Una notte, la porta si apre rivelando un corridoio buio, con in fondo un mondo molto strano.
Per leggere questo libro ho interrotto momentaneamente la lettura de L’Uomo che Ride, ma sinceramente pensavo di bloccarmi per più di due ore scarse! Perché questo libro si fa veramente leggere in fretta, del resto è senza troppe pretese. Ma non si leggerebbe così velocemente se non fosse, quantomeno, un bel libro: e così è. Una bella favola dalle tinte leggermente horror, di quell’horror tanto semplice che nonostante gli anni passati a vedere film che sfruttano ogni tipo di ansia psicologica non ho potuto fare a meno di provare un po’ di timore verso le avventure della piccola Coraline. Scritto in maniera molto semplice e lineare, ma non per questo stupida, è un libro perfetto per grandi e piccini. “Leggete questo libro ai vostri figli, li avrete in pugno” dice Ammaniti. Non mi fidavo. Ma forse è la verità. Ma occhio, perché anche il libro terrà in pugno voi!
Edito da: Mondadori. Font semplice da leggere e dalle dimensioni un po’ sproporzionate, ma normale in un libro per bambini che magari si stanno appena avventurando nel mondo della lettura. La copertina è carina così come i disegni, che ho scoperto con piacere non essere stati tagliati. La traduzione delle filastrocche non mi convince, ma tradurle dall’inglese è la cosa più difficile, figurarsi averle fedeli. Comunque, ottimo prodotto.
Recensione scritta da RM
Cuore d’inchiostro – C. Funke
Quante volte abbiamo apprezzato uno scrittore per il suo stile di prosa vivida, al punto da farci vedere i personaggi come fossero reali, davanti ai nostri occhi? Ma se questa fosse un’opportunità reale, in quanti sarebbero contenti di far rivivere gli eroi, e i cattivi, delle nostre storie preferite? Da questa domanda nasce il romanzo fantasy per ragazzi Cuore d’Inchiostro, dell’autrice tedesca Cornelia Funke. Questo libro è il primo episodio di una trilogia e da questa storia è anche stato girato un film nel 2008 omonimo che provvederemo a recensire presto.
Va innanzi tutto rilevato che questo romanzo, pur essendo un fantasy per ragazzi (genere scottante dal punto di vista qualitativo) è scritto molto bene ed è in grado di mantere un livello di tensione piuttosto alto. Solitamente le storie di questo tipo vengono edulcorate, i personaggi sono sempre o molto positivi o molto negativi ma, in quest’ultimo caso, sono caricature di cattivi, con i tratti volutamente esagerati per incutere un po’ di apprensione ma senza spaventare sul serio con figure troppo verosimili.
In questo caso invece, i cattivi sono disegnati con tratti semplici ma efficaci e sebbene ci si aspetti, in qualità di lettori adulti, battute di cattiveria scontata o azioni fintamente cattive, si viene smentiti molto spesso.
Anche altri personaggi hanno i loro momenti di gloria, specialmente nella figura di Dita di Polvere, sempre sul filo del rasoio tra la luce e l’ombra, con caratteristiche così complesse e simbolicamente forti (come la manipolazione del fuoco, l’amore, il desiderio di vendetta, la nostalgia della terra d’origine, la voglia di fidarsi di qualcuno e la naturale salvaguardia della propria integrità, il desiderio di non appartenere a nessuno e il disagio di sentirsi solo) che rappresenta, meglio di chiunque altro, un personaggio molto umano al quale non si può fare altro che affezionarcisi.
Anche la storia non è male: sebbene parta da un presupposto molto fantasioso e magico, non si rilevano incongruenze importanti, che alla fine sono quelle che più degradano la letteratura fantasy per ragazzi.
Insomma, ci sentiamo di consigliare questo libro ai giovani lettori che amano il fantasy ma anche a lettori un po’ più adulti che abbiano voglia di rinverdire i fasti della letteratura magica e semplice di quando erano ragazzi.
Hyperversum – C. Randall
Trama: uno strano avvenimento porta Ian, Daniel e i loro amici all’interno del mondo di Hyperversum, un videogioco estremamente realistico ambientato nel medioevo. Dopo essere scappati alle crudeltà degli Inglesi, il gruppetto si trova sempre più immerso nella scrittura della Storia così come la conoscono.
Potrei iniziare e concludere qui la mia recensione dicendo che, alla fin fine, questo libro altro non è che il solito fantasy italiano. Ma mi rendo conto che sarebbe un’imprecisione, quindi cerco di continuarla per spiegare cos’ha di buono e cosa no. Iniziamo dal cosa no: stile di scrittura, costruzione della trama e, infine, i personaggi. In realtà il libro, di per se, non è scritto male e la trama non è nemmeno tanto banale. Purtroppo, il motivo scatenante di Hyperversum viene presto dimenticato per ritornare solo casualmente durante la storia e in maniera quasi del tutto incongrua nel finale. Non mancano i momenti appassionanti e coinvolgenti, ma nel complesso si nota una cosa sola: totale incapacità di mostrare gli eventi. Anche qui, altra precisazione: la Randall è brava a descrivere abiti e castelli, ma è debolissima (no, no, è proprio indecente) quando si tratta di mostrare scene concitate o di guerra. Se alla fine del libro avremo capito benissimo quanto sia gnokka [cit.] Isabeau, non avremo capito assolutamente niente delle effettive capacità nella spada di Ian o di come si sia svolta la battaglia finale. I personaggi, poi, lasciamo perdere. Più stereotipati dello stereotipo, per chiunque sia anche solo leggermente avvezzo alla letteratura di genere: Ian è il classico eroe senza macchia e senza paura, inizialmente confuso dal mondo in cui si trova catapultato, ma capace di prenderne le redini e piegarlo al suo volere; Isabeau l’eroina che accetta il suo destino senza piegare il capo, ma che nel cuore cova un segreto (insomma) amore per il protagonista; Daniel l’amico dell’eroe, disposto a fare di tutto per l’amico, tranne abbandonarlo nella più cupa disperazione per qualche giorno e tornare, infine, con la coda tra le gambe. Gli altri, sono solamente delle sagome messe lì per riempire li spazi. Anche se ci riescono abbastanza bene, devo dirlo. Certe situazioni, poi, lasciamo perdere: credo di aver riso alle lacrime quando Daniel ha citato il Robin Hood della Disney, ma lascerò a voi il piacere di scoprire quando e come.
Ora, mi sono dimenticato cosa avevo pensato di aver visto di buono in Hyperversum!
Scherzo.
Di buono, Hyperversum ha che non è esattamente il solito fantasy italiano: il mondo non è popolato da elfi, draghi e nani, ma solo da esseri umani che cercano di seguire un certo realismo storico. Anche se all’inizio la trama si sviluppa in maniera un po’ affrettata, prosegue per una buona metà del libro senza scadere eccessivamente nel banale. Salvo poi impantanarsi nella solita, inutile commedia amorosa, necessaria solo per prolungare la tortura (ottocento pagine di libro, di cui la metà dedicata alle magagne amorose di Ian e Isabeau, le considero una tortura) della trappola nella quale la Randall, da buona italiana, non è capace di sfuggire. I personaggi poi saranno anche stereotipati, ma in più di un’occasione risultano decisamente simpatici ed è raro che siano caratterizzati come Nihal o Sennar.
Ma su tutte, una cosa di questo libro l’ho apprezzata: vale a dire che la Randall non ha cercato a tutti i costi il realismo, e questo si nota, ma soprattutto che lo ha ammesso. In coda al libro troviamo due paginette in cui lei si scusa per le imprecisioni (armi e armature, infatti, non mi sono sembrate molto credibili), ma le imputa solamente alla propria ignoranza e non ad un “beh, sui numeri non ci ho pensato troppo”. Grazie Randall, anche se forse è proprio per questo che non hai superato la Troisi nelle classifiche di vendita.
(A proposito: nel complesso, Hyperversum non mi è dispiaciuto. Non è un capolavoro, ma non è certo un libro da mettere negli abissi dello schifo più assoluto. Non ho notato grossi problemi, tranne uno stile di scrittura da migliorare e dei personaggi che effettivamente sarebbero da rivedere. Però la storia, anche se senza grandi pretese, non è male e soprattutto è più credibile di molte altre del genere, soprattutto contando che la scrittrice è italiana. Perché si, nel fantasy, essere italiani è un grosso handicap. Quindi, se non avete di meglio da fare, leggetelo. Al massimo saltate le parti di Ian e Isabeau, se anche ve ne perdete un paio la storia la capite lo stesso… ma nel frattempo vi sarete risparmiati almeno 200 pagine.)
Edito da: Giunti. Ottocento pagine, copertina rigida, dimensioni contenute e grandezza dei caratteri decente. Il tutto per 7,90€. WIN. Anche se, al solito, un po’ di editing finale non avrebbe fatto schifo.
Recensione scritta da RM
Abarat – C. Barker
Trama: la giovane Candy viene catapultata dal noioso Minnesota in un mondo incredibile. È Abarat, la terra delle venticinque isole: una per ogni ora, più la venticinquesima, l’isola senza tempo. Candy e Abarat sono molto più legate di quanto la ragazzina possa anche solo immaginare…
Alla fine del primo libro di Abarat (che scopro non essere autoconclusivo, il che mi fa incazzare abbastanza visto che non se ne fa cenno se non alla fine) sono spinto da due sensazioni contrastante. Da una parte, ho gradito Abarat: il mondo del libro non si appoggia sul fantasy di stampo Tolkieniano ma su fondamenta che, seppur non solidissime, profumano piacevolmente di originalità (almeno per me). L’idea di un mondo di Isole, ognuna ferma ad una precisa ora del giorno, abitate da creature di ogni tipo miste tra uomini e strani animali mi è piaciuta. Così come mi è piaciuta l’idea del collegamento tra i due mondi e del modo in cui essi interagiscono -anche se poco- tra di loro. Dall’altro, ho trovato una costruzione dei personaggi e delle situazioni molto grossolana e affrettata, per niente approfondita. L’evoluzione di Candy e delle sue reazioni ad Abarat (così come il viceversa) non è assolutamente coerente e buona parte delle cose che accadono non sembrano un seguito di causa-effetto ma solo del volere dell’autore. Quasi tutto sembra venire giustificato dal fatto che il libro è un fantasy. Questo vizio di mettere i fantasy nella collana “ragazzi” non lo sopporto, ma è vero che un lettore maturo non può uscire soddisfatto dalla lettura di questo libro. Nonostante questo, in parte sono catturato da questa nuova geografia e non vedo l’ora di leggere il seguito della serie. Ancora, però, non mi sento di consigliarla a nessuno che voglia leggere un buon libro.
Edito da: Bur. L’edizione Bur è abbastanza ben curata, anche se la traduzione avrebbe potuto passare sotto un po’ di editing. Bella copertina, suggestiva nella sua semplicità. Carta e inchiostro non sono il massimo della qualità, ma per 9€ possiamo anche accontentarci.
Recensione scritta da RM
Harry Potter e i Doni della Morte – J. K. Rowling
Trama: dopo la morte di Silente, Harry ha una sola missione: recuperare e distruggere tutti gli Horcrux, gli oggetti in cui Voldemort ha racchiuso la sua anima nel tentativo di diventare immortale. Ma per trovarli dovrà passare diverse prove e risolvere molti indovinelli ideati dallo stesso preside. Nel frattempo, però, Colui-che-non-deve-essere-nominato fa le sue mosse e l’intero mondo della magia è costretto a mettersi contro il Prescelto.
Abbiamo ripreso in mano questo ultimo libro trascinati dall’entusiasmo che il (pessimo) film da poco uscito nelle sale (Harry Potter e il Principe Mezzosangue, N.d.Staff) ha riacceso verso questa bellissima serie Fantasy, una delle poche serie del genere completamente originali dopo la famosa opera di Tolkien. Lo abbiamo letteralmente divorato (del resto, le 600 pagine del libro sono scritte in maniera tale che una edizione economica ne durerebbe massimo 250) e siamo rimasti… tremendamente delusi. Lo stile della Rowling lo conosciamo già: è lo stile di una casalinga che di punto in bianco si trova a scrivere una serie di sette libri destinati ad affascinare lettori di tutto il mondo. Niente di eccezionale, sicuramente uno stile scorrevole e leggero che non si sottrae alle difficoltà di descrivere con -relativa- minuzia di particolari lo strano mondo di Harry. È nel punto di forza del romanzo che sta anche il suo punto debole: la Rowling è inesperta, incapace di gestire al meglio le situazioni che lei stessa mette in un calderone troppo piccolo e finiscono per trabordare. Se per più della metà del libro abbiamo davanti il solito Potter, ad un certo punto siamo sconcertati di fronte alla più geniale (forse) e peggio gestita (sicuramente) trovata dell’intera saga che smorza ogni entusiasmo e spegne gli animi, lasciando che gli ultimi dieci capitoli circa del romanzo scorrano nella più totale indifferenza eccetto alcune scene più movimentate, comunque avvincenti. La Rowling pretende troppo da se stessa e rischia di rovinare l’impresa per la quale sarà comunque ricordata: creare un mondo fantasy originale, separato dalla Terra di Mezzo di Tolkien e riuscire a far si che questo mondo penetrasse nell’immaginario di milioni di persone. Avrebbe potuto finire meglio, ma non possiamo comunque esimerci dal fare i nostri complimenti all’autrice.
Recensione scritta da RM
Il cavallino bianco – E. Goudge
Come avevamo preannunciato qui, dopo aver visto il film Moonacre, I misteri dell’ultima luna, siamo riusciti finalmente a leggere il romanzo dal quale è stato tratto.
La copertina del libro risulta ristampata e ridisegnata per l’occasione, modificandone inoltre il titolo per farlo meglio associare al film, con tanto di fascettina pubblicitaria sulla sovraccoperta e locandina.
Ok.
Peccato che alla lettura saltino agli occhi tali e tante discrepanze da risultare praticamente due storie diverse. Solo i personaggi sono nominalmente gli stessi, e nemmeno tutti, le descrizioni di ciascuno sono travisate, anche nei semplici stati d’animo e peculiarità caratteriali. La stessa trama è cosa altra rispetto al romanzo, inventando e creando cose, vertendo su dettagli infinitesimali e tralasciando ampie argomentazioni.
Non si può certo sospettare che chi ha amato in verde età questo romanzo (scritto nel 1946 e dal quale traspare con evidenza l’allegoria della guerra e la ricerca spasmodica di felicità, tranquillità e pace) si sia ritrovato soddisfatto dopo aver guardato il film. Anzi, ci pare di sentire l’unanime voce: “Scusate, ma che libro avete letto?”.
Preso da solo, Moonacre può essere considerato, come dicevamo, una gradevole visione; alla luce del romanzo originale, che quindi ha indubbiamente più diritto di riconoscimento che non l’opera più recente, il film, lo script, il casting risultano brillanti per la loro inappropriatezza.
Parlando esclusivamente del romanzo, “Il cavallino bianco” è una favola d’altri tempi, dove l’atto di più abominevole violenza è l’abigeato e riempirsi lo stomaco il più ed il meglio possibile è l’obbiettivo fondamentale di ciascun essere vivente.
A tratti stucchevole per il suo ribattere sul tema della felicità, questo romanzo può essere certamente consigliato ad un pubblico molto molto giovane, non oltre i 12 anni, perché solo a quell’età è possibile soprassedere sulla prevedibilità ed i cliché, abbandonandosi ad una storia “buona”, che lascia un sapore di zucchero sulla lingua quando si chiude il libro e si va a dormire.
Cronache del Mondo Emerso – Nihal della Terra del Vento
Autore: Licia Troisi
Trama: il Mondo Emerso è sotto una grave minaccia. Il Tiranno, potente mago, utilizza il proprio potere e il proprio esercito per distruggere tutti i popoli che vivono attorno a lui. Nihal è una giovane mezzelfa sopravvissuta alla strage del proprio popolo. È l’ultima della sua razza. Forse è l’unica speranza per le Terre Libere.
Prendere in mano questo libro dopo aver letto almeno altri quindici titoli fantasy, tra cui The Lord of the Ring, è un po’ sconcertante. Un po’ perché l’autrice è italiana, cosa abbastanza strana nel panorama contemporaneo del genere, un po’ perché è da qualche tempo che sono convinto che dopo l’opera di Tolkien non sia stato scritto poi questo granché. Eppure, memore delle emozioni che il fumetto mi ha suscitato, decido di dare lo stesso una speranza all’opera della Troisi. Non c’è che dire: questo primo volume delude pienamente ogni speranza.
Anche se nell’edizione che ho letto non è presente una mappa, ho avuto modo di vederla in libreria nel tomo contenente tutta la trilogia (ma chi se lo compra? Pesa un quintale, troppo scomodo…) e non ho potuto non sospirare deluso: la mappa delle Terre Emerse è uguale a quella della Terra di Mezzo. Così com’è uguale a quella di ogni altro mondo fantasy. Ma cristo, è così difficile immaginarsi un mondo che abbia la forma delle terre attorno al mar Mediterraneo, per dire? Evidentemente si. Ma non diamo un peso eccessivo a questa -in fondo- sciocchezza e dedichiamoci alla lettura. Dio mio.
Lo stile della Troisi, bisogna ammetterlo, è molto leggero e scorrevole. Nonostante qualche scelta grammaticale decisamente dubbia nei primi capitoli, si lascia leggere facilmente. Un linguaggio moderno, molto efficace a trasmettere nell’immediato le immagini che l’autrice ha in mente. Ma forse proprio qui sta la debolezza di Licia Troisi: lo stile è troppo leggero, troppo moderno. Non è capace di coinvolgere chi sia anche solo leggermente avvezzo al genere fantasy e manca di quel mordente che possiamo trovare nei titoli -assolutamente non più originali della Licia, per carità- di autori come Terry Brooks. Inoltre la trama è portata avanti con tante di quelle lacune che, a voler fare associazione di idee, non possiamo non pensare all’Emmentaler. Sebbene migliori vero la fine, questo primo volume è un’accozzaglia di già letto semplicistico, raccontato abbastanza male e assolutamente poco coinvolgente. Senza contare che certe frasi che dovrebbero risuonare epiche lasciano invece un’impressione di copia&incolla da chissà quale altro tomo degli anni ‘60.
Se non altro, il crescendo stilistico degli ultimi capitoli -che non sembrano scritti dalla stessa persona, nonostante siano ancora decisamente carenti soprattutto sul lato della coerenza- fa presagire qualcosa di buono per gli altri due volumi della serie.
E si che li leggerò, perché la letteratura per tutti non ha mai fatto male a nessuno. Eppoi voglio vedere se la letteratura fantasy italiana ha toccato il fondo o può ancora scavare.
qualcuno ha fanno una stroncatura di gran lunga più precisa della mia. merita.
Recensione scritta da: RM
Una grande e terribile bellezza – L. Bray
Abbiamo scelto di leggere questo titolo in modo assolutamente casuale, lo ammettiamo. Ci ha attirati la copertina dalle tinte scure, la casa editrice non proprio notissima (Elliot), la quarta di copertina che prometteva il ritorno del romanzo gotico e la fotografia in prima: una bellissima ragazza dai capelli rossi ripresa di spalle, racchiusa in uno stretto bustino.
Dobbiamo dire che mai immagine potrebbe essere più adatta di questa: il bustino ben rappresenta la storia di queste ragazze ottocentesche delle quali si parla nel libro, costrette sia all’interno delle stecche di balena che dalla società, dalla famiglia, dai doveri, dal decoro, dalle aspettative, per essere plasmate in creature diverse dalla loro natura di semplici adolescenti.
Il romanzo, primo capitolo di una trilogia (che cercheremo al più presto di completare, composta dai titoli “Angeli Ribelli” già edito in Italia e “The Sweet Far Thing”) introduce la protagonista di questa fiaba gotica di altri tempi, Gemma, sedicenne inglese nata e cresciuta in India, capricciosa e scontrosa e con una voglia di indipendenza e di uscire dagli schemi che mal si accordano con ciò che il dovere le imporrebbe. In seguito ad un tragicissimo evento, Gemma viene rimpatriata e spedita in una scuola preparatoria per future buone mogli, dove incontra altre giovani donne come lei, ingabbiate nel loro ruolo di perfette dame ma ancora profondamente fanciulle, piene di voglia di vivere e di trasgredire.
A condimento di questa storia tutta al femminile, la pennellata di sovrannaturale, di proibito, di sensualità, di sogno e magia, che la rendono un gradevole esempio di letteratura giovanile per ragazze (come la saga di Eragon potrebbe essere l’equivalente fantasy al maschile).
Un libro di svago, scritto in modo molto fresco e spiritoso, da leggere nell’ottica di completare la trilogia in quanto, preso di per sé, risulta piuttosto incompiuto e lascia aperte innumerevoli questioni.
Abbiamo scelto il romanzo per caso, come abbiamo detto, ma cercando brevemente in rete ci siamo accorti che Libba Bray è tutt’altro che un’illustre sconosciuta: molti sono i siti web dedicati all’autrice e alla sua creatura Gemma e dopo aver assaggiato un po’ di questo mondo di crinoline e magia, riusciamo anche a capire il perchè.