Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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I labirinti del potere – F. Venier
In un futuro non troppo lontano, nella distopica Oregena, le libertà personali sembrano essere lentamente scivolate nelle trame di un potere costituito sempre più invasivo e paranoide. Nulla rimane davvero segreto: il governo sembra essere in grado di vedere, scoprire, tracciare conversazioni e attività di qualunque genere, seguire e controllare chiunque senza che questo venga percepito dalla popolazione che anzi sembra apprezzare la comodità e la sicurezza dei sistemi informatizzati e dell’abolizione di tutte quelle piccole incombenze come l’uso del denaro contante.
In questo quadro di rarefatta sicurezza, un uomo sembra essere in pericolo. Ha attirato l’attenzione delle alte sfere ma non sa perchè.
E questa sensazione, di non sapere il perchè di quello che sta succedendo, è quello che pervade il lettore durante la lettura del romanzo di Francesco Venier, I labirinti del potere.
Si tratta di un romanzo fortemente distopico e per alcuni versi fantascientifico, ma purtroppo la scarsa consistenza della trama non sfrutta numerosi spunti interessanti di sviluppo.
La sensazione nel complesso è quella di un primo approccio ad un genere decisamente complesso e ricco di insidie come quello della fantapolitica, ottenendo un romanzo piuttosto confuso e dalle maglie larghe, ricco di approssimazioni e di scelte di dubbia logicità.
Molti passaggi della trama risultano infatti del tutto immotivati, anche il nodo cruciale della storia (perchè il protagonista viene perseguitato con tale sistematicità) alla fine non viene del tutto chiarito e si perde in uno scenario incolore.
I personaggi risultano stereotipati, i dialoghi e le azioni anche in questo caso del tutto immotivati, le descrizioni delle reazioni e dei sentimenti fanno sentire forte la voce del narratore, che utilizza con eccessiva frequenza toni enfatici e spesso fuori luogo.
Come accade sempre per i romanzi di fantascienza, e in maggior misura per le distopie fantapolitiche, è la cura per il dettaglio a fare la differenza tra una storia solida, appassionante e altamente immersiva e una storia dagli accenti poco credibili.
Nel complesso quindi questo romanzo non sfrutta appieno l’alto potenziale evocativo del genere a causa di un approccio un po’ semplicistico che poteva essere limato grazie ad un intervento di un editor con esperienza del genere e una più curata documentazione per i contesti.
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Scheda: I labirinti del potere – F. Venier
In un universo futuristico, tuttavia tanto lontano dal nostro presente quanto noi potremmo essere lontani da noi stessi, due storie, a distanza di cinquant’anni l’una dall’altra, s’intrecciano e si rincorrono. La società si è evoluta e il progresso ha anestetizzato le menti con false sicurezze, mentre il web, allungando le sue terminazioni nervose come un unico grande cervello universale, ha globalizzato gli individui trasformandoli in una folla priva d’identità. In questo mondo formicaio, l’individuo è diventato una minaccia per il sistema e ogni libertà personale è stata asservita al potere. La cultura pseudo democratica ha permeato ogni aspetto della vita umana e il neoliberismo ne ha offuscato le menti, accentrando i capitali e le risorse nelle mani di pochi eletti. Due uomini, su due piani temporali diversi, si desteranno gradualmente dal torpore che da decenni annebbia le menti di ciascuno e incominceranno a porsi delle domande. E da quelle domande ne scaturiranno delle altre che però non troveranno risposte. Dove saranno le risposte? Nella disperata ricerca di un senso nel mondo in cui vivono, incapperanno fortuitamente in qualcosa che segnerà per sempre i loro destini, e da uomini apparentemente liberi si trasformeranno in uomini braccati.
Qualcuno vuole qualcosa da loro, ma chi sono queste misteriose persone e, soprattutto, che cosa vogliono?l’autore
Venier Francesco, psicologo psicoterapeuta, nel 2010 inizia a cimentarsi con la scrittura creativa e alcuni suoi racconti vengono pubblicati in alcune antologie. Nel 2011 pubblica in e-book il romanzo “Donne nell’ombra”, edito da Abel Books. In seguito partecipa a diversi Premi Letterari con più opere, giungendo nel 2013 Primo assoluto con il romanzo “I labirinti del potere” nella sezione narrativa-romanzo del Premio Nazionale “L’Inedito” sulle tracce del De Sanctis XII Edizione, tra i finalisti negli altri o ottenendo segnalazioni o menzioni di merito.
La crociata dei bambini – T. Avoledo
Questo romanzo mi ha ossessionato.
Diversamente da quello che avviene negli altri romanzi di Metro 2033 Universe, i romanzi di Tullio Avoledo sono incentrati su un taglio molto meno action per favorire argomentazioni di carattere molto più introspettivo, filosofico e anche religioso. Che fine fa la religione (così come la morale, la legge, la giustizia, l’umanità) in uno scenario postatomico in cui la speranza sembra essere l’unico motore e al contempo l’unico fardello per i sopravvissuti?
Se Le radici del cielo, il primo romanzo dell’autore, mi era piaciuto nella sua unicità, piuttosto lontana dall’idea impostata da Metro 2033 (troppa aria aperta e troppi chilometri percorsi!), La crociata dei bambini ritorna nel ventre polveroso ed oscuro delle metropolitane, richiamando prepotentemente tutto il bagaglio di esperienze (lette) affrontate in giro per le metropolitane del mondo.
E proprio perchè questo romanzo si inserisce formalmente di più nel solco delle aspettative ambientali della serie, colpisce per la sua profondità che lo colloca diverse spanne sopra gli altri.
Questo libro mi ha ossessionato, forse perchè non ero davvero pronta a tornare sottoterra, a vivere al buio, ad aver paura di quello che può spuntare da dietro l’angolo, creatura alata o uomo armato e senza pietà che sia.
Di questo libro mi ha ossessionato la sensazione pervasiva di voler avere speranza, nonostante siano passati 20 anni dall’olocausto nucleare che ha tradotto gli uomini in creature di galleria e nonostante i 20 anni di tribolazioni per la sopravvivenza l’essere umano non sia affatto cambiato e voglia mettere davanti a qualunque senso logico di mutua accoglienza l’arroganza e la grettezza e la più bassa volontà di sopraffazione, a spese dei più deboli e della propria anima.
Questo libro mi ha ossessionato per la sua crudezza. L’autore, ricordo, non è nuovo agli estremismi, ma in questo caso conduce il lettore in un abisso oscuro che nessuno si sente davvero pronto ad affrontare. In fondo è solo una storia inventata, che male può farti?
Questo libro mi ha ossessionato ma forse mi hanno ossessionato di più i suoi protagonisti. Se John Daniels era una vecchia conoscenza, così come alcuni dei suoi “trucchetti Jedi”, i nuovi attori sulla scena sono così umani, così veri, che non possono lasciare indifferenti. Mi ha ossessionato la figura di Vagante: il suo nome, il suo passato, il suo presente. L’essere la pietra angolare della sua comunità per attitudine naturale, l’essere diventato adulto senza essere mai stato un bambino ed il riscoprirsi finalmente fragile e ancora uomo.
Questo libro mi ha ossessionato perchè non è solo un romanzo di svago fine a se stesso, è un viaggio all’interno dell’uomo, della sua mente e del suo cuore, all’interno delle sue debolezze, dei suoi percorsi mentali, delle sue paure e dei suoi bisogni più atavici.
Questo libro mi ha ossessionato perchè gli scenari che dipinge non sono nè surreali nè inverosimili, ma vicini a noi, potenzialmente ad un solo passo.
Questo libro mi ha ossessionato, e spero che possa ossessionare anche voi.
Recensione scritta da Sayu
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L’uomo in fuga – S. King
Più articolato e dalla struttura più complessa rispetto a La lunga marcia, più romanzo vero e proprio che non puro esercizio di perversione, L’uomo in fuga, di Stephen King nei vecchi panni di Richard Bachman rimae pur sempre uno di quei romanzi che si fanno fatica a lasciare.
Per molti versi assimilabile al succitato romanzo, anche questo delinea un futuro distopico nel quale i reality show hanno travalicato qualunque senso del pudore e attraverso questi una casta benestante e calcolatrice cerca di manipolare e tenere soggiogate le classi più povere, che in questo caso sono più disperate e affrante che mai.
In questo libro è possibile riconoscere moltissimi tratti distintivi di un altro grande romanzo con lo stesso fulcro, Hunger Games: la stratificazione sociale, l’utilizzo della tv e dei “giochi” come strumento di controllo e di sottomissione dei poveri ai più ricchi, la spietatezza e la mercificazione dell’essere umano e della sua morte ridotta a puro intrattenimento.
A leggerlo ora, L’uomo in fuga riesce ancora a genere un buon grado di tensione e il lettore, come sempre accade quando finisce nella mani del Re in una delle sue incarnazioni, non può scappare dalla trama che l’autore disegna attorno al protagonista.
Ciò non toglie però che il romanzo fa sentire la sua non più giovane età, e qualche scelta un po’ naif potrebbe risultare oggi non troppo efficace.
In ogni caso si tratta di una lettura piacevole e godibilissima, che scava un po’ meno a fondo nella mente e nelle allucinazioni de La lunga marcia, ma che si concentra su una trama incalzante degna di un buon action e lascia dei buoni spunti di riflessione per quanto riguarda i risvolti sociologici e morali di un simile scenario non così inverosimile.
Come spesso accade quando si tratta di King, lettura consigliata.
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La lunga marcia – S. King
«La città stessa era stata inghiottita, strangolata e sepolta. [...] C’era solo la folla, una creatura senza corpo, senza testa e senza cervello. La folla era solo una voce e un occhio, e non c’era da stupirsi che fosse tanto Dio quanto Mammona. [...] Era come camminare in mezzo a giganteschi tralicci di alta tensione, sentendo un continuo susseguirsi di scosse e crepitii che facevano rizzare i capelli, seccavano la lingua in bocca e davano l’impressione che gli occhi facessero scaturire scintille roteando nelle orbite. La folla doveva essere accontentata. La folla doveva essere adorata e temuta. La folla voleva il sacrificio.»
Nel 1979 Stephen King pubblica questo inquietante romanzo sotto l’ormai celebre pseudonimo di Richard Bachman. La lunga marcia ha una trama semplice e lineare, che riassume le regole di questo gioco perverso: 100 ragazzi volontari si mettono in marcia attraverso il Maine. Se camminano troppo lentamente, si fermano, indietreggiano, abbandonano la sede stradale, vengono uccisi a fucilate. La marcia andrà avanti fino a quando ne resterà uno solo, il vincitore, al quale verrà concesso per premio qualunque cosa lui voglia.
Sul piano strettamente contenutistico, questo romanzo non è niente di più di questo. Ma la vera maestria di King risiede proprio nella sua capacità di trasformare una storia poverissima in un romanzo magnetico ed appassionante, che è in grado di tramortire il lettore e trascinarlo in questo stillicidio, in questa follia, con il focus nella mente del protagonista.
Il narratore è una terza persona stretta sul personaggio protagonista, Garraty, un giovane ragazzo equilibrato, sano e robusto. Abbiamo la possibilità quindi di avere una visione talvolta a volo d’uccello sulla comitiva che ci consente di seguire la progressione della marcia, e allo stesso tempo possiamo entrare nella mente del protagonista, nei suoi pensieri e paure, nelle sue considerazioni nei confronti di questa impresa assurda.
Oggi risulta inevitabile fare un raffronto tra La lunga marcia e Hunger Games, in particolare a causa della crudezza e la precisione delle regole del gioco e la delineazione di uno scenario distopico. Se Hunger Games ha il suo punto di forza dall’impotenza dei giocatori che si trovano nell’arena di morte loro malgrado, La lunga marcia verte proprio sul concetto opposto. Tutti i cento marciatori sono volontari, si sono candidati spontaneamente, con le loro intrinseche motivazioni (tendenzialmente autodistruttive). E’ pur vero che nella società distopica la Marcia viene interpretata come una specie di prova di valore, alla quale più o meno tutti i giovani uomini sono soliti candidarsi, ma alla quale nessuno crede davvero di partecipare, almeno finchè il loro nome non viene scelto.
Come Ossessione, anche La lunga marcia presenza le caratteristiche peculiari di King ma allo stesso tempo mostra tratti tipici di Bachman: più crudi, più realistici, più vividi, del tutto scevri dagli accenti soprannaturali classici della produzione ufficiale.
Un romanzo annichilente, assolutamente consigliato.
Noticina di puro orgoglio personale: abbiamo trovato un refuso! Uno dei personaggi puramente di contorno del quale viene citato solo il cognome, muore qualche riga dopo la citazione riportata all’inizio di questo articolo e poi di nuovo nelle battute finali del romanzo. Nessuno è perfetto, neanche King
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Vernice fresca – A. Grassi
In una cittadina lombarda del 2007, un importante laboratorio di ingegneria genetica finisce al centro dell’attenzione pubblica locale per un allarme paventato dalla stampa e negato dalla dirigenza. Questo evento innescherà una reazione a catena alla scoperta di segreti taciuti, progetti sotterranei e altarini del passato riportati a galla, in una girandola di minacce, pressioni e morti sospette.
Vernice fresca di Antonio Grassi si presenta come un thriller incentrato sulle implicazioni potenzialmente distruttive dell’ingegneria genetica attraverso le attività di manipolazioni di virus, con accenni alla politica tanto locale quanto internazionale.
Il risultato alla lettura è però un testo eccessivamente verboso e dispersivo, povero di azione e dai personaggi piuttosto spogli. La scelta dell’utilizzo del tempo imperfetto e lo stile tipicamente giornalistico fa sì che il lettore si trovi collocato molto lontano dallo svolgersi degli eventi. Ogni fatto viene raccontato da un narratore onniscente e ubique che si destreggia in esercizi di stile, figure retoriche e similitudini graffianti ma che di fatto non mostrano nulla al lettore, lasciandolo distante.
I personaggi vengono descritti più e più volte a seconda del punto di vista del narratore, che si colloca ora sopra la testa di un attore e ora sull’altro. Il risultato è quindi un bouquet di personaggi senza voce e senza profondità interiore, che si muovono sulla scena come marionette. La povertà dei dialoghi non fa altro che rafforzare questa sensazione di distacco, mantenendo il lettore sempre e solo spettatore e mai partecipe dell’azione.
Queste caratteristiche tecniche fanno sì che le aspettative riservate al genere thriller siano del tutto disattese. Il ritmo è incalzante e nervoso ma dispersivo nell’ottica dell’avanzamento della trama, i passaggi più tesi vengono interrotti dagli interventi del narratore, che spezzano la scena e nuovamente allontanano il lettore dall’immedesimazione.
La trama ha effettivamente del potenziale interessante, anche proprio nell’ottica della creazione di un thriller dal tema atipico; inoltre è indubbio come l’autore abbia effettuato approfondite ricerche in preparazione a questo romanzo, che infatti disegna situazioni del tutto credibili senza lasciare la percezione di scenari raffazzonati.
Risulta però evidente come una base solida e l’effettivo carattere di approfondimento vengano smorzati da alcune scelte stilistiche opinabili, rendendo di difficile lettura un’opera fondata su una tematica già di per sè ostica.
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Scheda: Vernice fresca – A. Grassi
E se a qualche potente della Terra saltasse in mente di diffondere un virus letale? Chi mai potrebbe salvarsi in un mondo che, dopo Chernobyl e dopo lo tsunami, non conosce cortine di ferro che proteggano alcuni a scapito di altri? È questo il dubbio che il nuovo romanzo di Antonio Grassi insinua nel lettore fin dalle prime pagine, accompagnandolo fino all’ultima pagina. Personaggi talora ignari talora spietati si muovono sullo sfondo di una cittadina di provincia, teatro involontario di mortifere trame internazionali legate a un nemico invisibile: un virus resistente a qualsiasi trattamento. Vernice fresca aggredisce il lettore con la complessità di una vicenda in cui si collocano a vario titolo diversi protagonisti. Innanzitutto la LgB (Life is good Bioresearch), azienda dell’hinterland milanese di proprietà dei fratelli Tito, Lucio ed Elsa Zanica. È da lì che si scatena una sequela di torbidi eventi che avvelenano la cittadina di provincia. Qui ricchezza e ipocrisia affermano il proprio potere assoluto, mentre i piccolo-borghesi sgomitano per emergere dalla melma dell’anonimato. Qui qualche clamoroso episodio di cronaca nera riempie le pagine dei quotidiani locali, per finire nel dimenticatoio una volta appurato che lo scandalo o l’omicidio in questione è destinato a sommarsi al numero indefinito dei delitti irrisolti.
Co-protagonista Duilio Cattaneo, ex sessantottino, ora affermato dirigente in giacca e cravatta, capace di “farsi trasportare dalla corrente” per “dibattersi al centro della stessa”. Il suo è un vano dibattersi nel tentativo di liberarsi dal lato oscuro di un passato mai completamente rinnegato. Duilio è sempre sul punto d’essere travolto da storie di spionaggio e terrorismo nella vita pubblica e tradimenti nella privata. Riuscirà a salvarsi?l’autore
Antonio Grassi, giornalista e scrittore, già responsabile della redazione cremasca del quotidiano La Provincia di Cremona. Ha pubblicato la trilogia Macramè, L’erba del diavolo, Il cuore batte ancora, romanzi gialli a sfondo sociale e due pamphlet su questioni ambientali: Golflandia e altre storie e Forte Apache.
Il canto della rivolta – S. Collins
In questo ultimo capitolo della saga best seller di Suzanne Collins, Il canto della rivolta, arriviamo finalmente all’epilogo di tutte le travagliatissime vicende di Katniss e per estensione di tutti i cittadini di Panem.
Definire denso questo romanzo sarebbe un eufemismo, probabilmente solo I doni della morte, conclusione della saga di Harry Potter, può reggere il confronto sulla quantità di eventi (sebbene, in quest’ultimo caso, il risultato sia stato molto più scarso e meno soddisfacente).
Diciamolo, la Collins ci è andata giù pesante.
Abbiamo perso il conto di quante volte Katniss ha rischiato la vita, in una varietà di modi differenti, entrando ed uscendo dai fumi degli psicofarmaci e dei sedativi.
Le perdite di vite sono ingentissime, nel procedere di questa guerra contro Capitol City, ma sembra che ci sia una guerra molto meno chiara in corso, una lotta interiore sulla posizione da assumere nei confronti delle due fazioni e di coloro che stanno in mezzo: la gente comune.
Ed è infatti di questo che parla principalmente il romanzo, del fatto che, che si sia governativi o ribelli, le figure che hanno presa sul popolo vengono trattate come pedine, fantocci strumentalizzati, spesso senza nemmeno essere messi a parte dei progetti che li riguardano.
Leggere la saga The Hunger Games ci ha ricordato all’improvviso un altro romanzo che abbiamo tanto apprezzato, Unwind di Neal Shusterman. Entrambi descrivono un futuro distopico nel quale le nostre attuali grettezze vengono portate all’esasperazione, nel quale un governo dal pugno assurdamente troppo duro e amorale si arroga diritti di vita e di morte sugli innocenti e gli inermi. In entrambi si assiste al cambiamento, alla sovversione, che parte dal basso.
Il canto della rivolta racconta la discesa negli incubi peggiori, in uno scenario ancora più orrendo delle arene dei giochi: un’arena viva, vera, combattuta strada per strada. E dopo l’inferno, la lenta risalita, attraverso il recupero delle cose semplici, il ritrovamento a piccoli passi dell’equilibrio mentale, la voglia di provare a pensare ad un futuro senza gli Hunger Games che per decenni sono stati lo strumento del governo per tenere al guinzaglio una nazione tramite il terrore.
Questa saga è lontana dalla perfezione, sia stilistica che contenutistica, ma la sua forza è evidente. Cattura il lettore, lo lega a Katniss e alle sue vicende anche quando magari non risulta proprio simpatica, veniamo strapazzati e sorpresi dalle decine di colpi di scena che si susseguono per tutto il romanzo, per arrivare al finale, che a modo suo è un happy end, l’unico possibile viste le circostanze. Katniss fa una sola scelta, di salvaguardia e di conservazione, che alla fine si rivela la più giusta. Tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto, anche malgrado le sue azioni dettate dall’impulsività.
Una saga che consigliamo, in particolare ai giovani adulti appassionati di distopie e fantapolitica che amano leggere qualcosa che lasci loro dei pensieri da rimuginare ed un mondo, ancorchè crudo, affascinante e ricco di dettagli che lo rendono vivo e molto, troppo, vicino a noi.
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