Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
Post Taggati ‘best seller’
Cronache del Mondo Emerso – Nihal della Terra del Vento
Autore: Licia Troisi
Trama: il Mondo Emerso è sotto una grave minaccia. Il Tiranno, potente mago, utilizza il proprio potere e il proprio esercito per distruggere tutti i popoli che vivono attorno a lui. Nihal è una giovane mezzelfa sopravvissuta alla strage del proprio popolo. È l’ultima della sua razza. Forse è l’unica speranza per le Terre Libere.
Prendere in mano questo libro dopo aver letto almeno altri quindici titoli fantasy, tra cui The Lord of the Ring, è un po’ sconcertante. Un po’ perché l’autrice è italiana, cosa abbastanza strana nel panorama contemporaneo del genere, un po’ perché è da qualche tempo che sono convinto che dopo l’opera di Tolkien non sia stato scritto poi questo granché. Eppure, memore delle emozioni che il fumetto mi ha suscitato, decido di dare lo stesso una speranza all’opera della Troisi. Non c’è che dire: questo primo volume delude pienamente ogni speranza.
Anche se nell’edizione che ho letto non è presente una mappa, ho avuto modo di vederla in libreria nel tomo contenente tutta la trilogia (ma chi se lo compra? Pesa un quintale, troppo scomodo…) e non ho potuto non sospirare deluso: la mappa delle Terre Emerse è uguale a quella della Terra di Mezzo. Così com’è uguale a quella di ogni altro mondo fantasy. Ma cristo, è così difficile immaginarsi un mondo che abbia la forma delle terre attorno al mar Mediterraneo, per dire? Evidentemente si. Ma non diamo un peso eccessivo a questa -in fondo- sciocchezza e dedichiamoci alla lettura. Dio mio.
Lo stile della Troisi, bisogna ammetterlo, è molto leggero e scorrevole. Nonostante qualche scelta grammaticale decisamente dubbia nei primi capitoli, si lascia leggere facilmente. Un linguaggio moderno, molto efficace a trasmettere nell’immediato le immagini che l’autrice ha in mente. Ma forse proprio qui sta la debolezza di Licia Troisi: lo stile è troppo leggero, troppo moderno. Non è capace di coinvolgere chi sia anche solo leggermente avvezzo al genere fantasy e manca di quel mordente che possiamo trovare nei titoli -assolutamente non più originali della Licia, per carità- di autori come Terry Brooks. Inoltre la trama è portata avanti con tante di quelle lacune che, a voler fare associazione di idee, non possiamo non pensare all’Emmentaler. Sebbene migliori vero la fine, questo primo volume è un’accozzaglia di già letto semplicistico, raccontato abbastanza male e assolutamente poco coinvolgente. Senza contare che certe frasi che dovrebbero risuonare epiche lasciano invece un’impressione di copia&incolla da chissà quale altro tomo degli anni ‘60.
Se non altro, il crescendo stilistico degli ultimi capitoli -che non sembrano scritti dalla stessa persona, nonostante siano ancora decisamente carenti soprattutto sul lato della coerenza- fa presagire qualcosa di buono per gli altri due volumi della serie.
E si che li leggerò, perché la letteratura per tutti non ha mai fatto male a nessuno. Eppoi voglio vedere se la letteratura fantasy italiana ha toccato il fondo o può ancora scavare.
qualcuno ha fanno una stroncatura di gran lunga più precisa della mia. merita.
Recensione scritta da: RM
Una grande e terribile bellezza – L. Bray
Abbiamo scelto di leggere questo titolo in modo assolutamente casuale, lo ammettiamo. Ci ha attirati la copertina dalle tinte scure, la casa editrice non proprio notissima (Elliot), la quarta di copertina che prometteva il ritorno del romanzo gotico e la fotografia in prima: una bellissima ragazza dai capelli rossi ripresa di spalle, racchiusa in uno stretto bustino.
Dobbiamo dire che mai immagine potrebbe essere più adatta di questa: il bustino ben rappresenta la storia di queste ragazze ottocentesche delle quali si parla nel libro, costrette sia all’interno delle stecche di balena che dalla società, dalla famiglia, dai doveri, dal decoro, dalle aspettative, per essere plasmate in creature diverse dalla loro natura di semplici adolescenti.
Il romanzo, primo capitolo di una trilogia (che cercheremo al più presto di completare, composta dai titoli “Angeli Ribelli” già edito in Italia e “The Sweet Far Thing”) introduce la protagonista di questa fiaba gotica di altri tempi, Gemma, sedicenne inglese nata e cresciuta in India, capricciosa e scontrosa e con una voglia di indipendenza e di uscire dagli schemi che mal si accordano con ciò che il dovere le imporrebbe. In seguito ad un tragicissimo evento, Gemma viene rimpatriata e spedita in una scuola preparatoria per future buone mogli, dove incontra altre giovani donne come lei, ingabbiate nel loro ruolo di perfette dame ma ancora profondamente fanciulle, piene di voglia di vivere e di trasgredire.
A condimento di questa storia tutta al femminile, la pennellata di sovrannaturale, di proibito, di sensualità, di sogno e magia, che la rendono un gradevole esempio di letteratura giovanile per ragazze (come la saga di Eragon potrebbe essere l’equivalente fantasy al maschile).
Un libro di svago, scritto in modo molto fresco e spiritoso, da leggere nell’ottica di completare la trilogia in quanto, preso di per sé, risulta piuttosto incompiuto e lascia aperte innumerevoli questioni.
Abbiamo scelto il romanzo per caso, come abbiamo detto, ma cercando brevemente in rete ci siamo accorti che Libba Bray è tutt’altro che un’illustre sconosciuta: molti sono i siti web dedicati all’autrice e alla sua creatura Gemma e dopo aver assaggiato un po’ di questo mondo di crinoline e magia, riusciamo anche a capire il perchè.
La ragazza che giocava con il fuoco – S. Larsson
Secondo capitolo della trilogia Millennium dello svedese prematuramente scomparso nel 2004 Stieg Larrson. Finalmente siamo riusciti a mettere le mani su questo volume di più di 700 pagine, colmi di aspettativa. Ebbene: non crediamo sia possibile fare un riassunto della trama di questa storia. E’ indiscutibilmente il romanzo poliziesco (in senso ampio) con la trama più contorta ed elaborata che ci sia mai capitato di leggere, anche di più del primo capitolo “Uomini che odiano le donne” del quale abbiamo parlato in precedenza(in progress, anche un commento al film).
Questo romanzo lega insieme argomenti che farebbero invidia al Fleming di James Bond, a profonde introspezioni e flussi di pensiero dei vari protagonisti, anche dei personaggi secondari, permettendo al lettore di compenetrarsi ottimamente nella storia e ad assistere col fiato sospeso l’evoluzione degli eventi.
Per chi ad esempio non è un divoratore di libri, o che magari legge piuttosto lentamente, questo romanzo sarà un’impresa titanica: il rischio di dimenticare passaggi e fatti avvenuti è sempre dietro l’angolo, anche se l’autore, probabilmente conscio di quanto questa trama possa essere difficile da seguire, non lesina in richiami e rimandi al passato recente della storia.
Nonostante tutto, però, questo è un libro che merita di essere letto. Dopo aver goduto del primo romanzo, il secondo è andato da sé, e certamente non è stato tempo sprecato: ottime le piccole frecciatine ironiche tra i personaggi; profonde le riflessioni che suscita riguardo, ancora, la violenza sulle donne e la difficoltà di taluni di esistere all’interno della società; stupefacenti (e a tratti inverosimili, diciamolo, la comunicazione attraverso i computer così come ci è stata presentata è vistosamente un espediente letterario) le vie di fuga, le risorse insperate e le casualità che permettono ai nostri eroi di portare a casa la pelle.
E infine, ma non per importanza, la vera protagonista di Millennium, Lisbeth Salander, che nel primo romanzo iniziava ad essere tratteggiata nella sua particolarità, in questo romanzo assume il ruolo di assoluta protagonista. Viene interessata da un certo processo di crescita, di maturazione, di presa di coscienza di sé anche grazie a coloro che nonostante tutto la circondano e le vogliono bene. Probabilmente l’apice lo raggiungeremo nel terzo capitolo della trilogia “La regina dei castelli di carte” che non vediamo l’ora di leggere.
In chiusura, ancora una nota: non so che titolo portasse in lingua originale questo romanzo, non so quanto si debba alla traduzione italiana e quanto allo scrittore. Abbiamo motivo di credere che la nostra versione ne sia l’esatta traduzione dallo svedese e così ci auguriamo. Mai titolo fu più adatto.
Duma Key – S. King
Neanche l’avessimo scelto di proposito, abbiamo appena finito di leggere “Duma Key”, uno dei più recenti romanzi, forse l’ultimo romanzo, sfornato da Il Re. E’ singolare come sia stato letto adesso, senza sospettare l’assonanza con il primo racconto di “Pochi inutili nascondigli” di Faletti, il quale assona con “La Torre Nera” di nuovo di King. E’ un curioso risonare, qua dentro…
Comunque, ennesima riprova della palese superiorità tecnica e contenutistica di King, una storia in apparenza semplice, quasi banale, estremamente lineare, ma sepolta in *tanto*: affetti, ricordi, sensazioni, amicizia, confusioni, vita vecchia e vita nuova, incubi, tratti di matita, dolori e siparietti comici, come solo Lui sa fare così bene, intrecciando tutti i fili fino ad una conclusione da fiato sospeso, in un crescendo dal quale è impossibile staccarsi prima di aver finito.
Un romanzo alla King nella versione moderna, che molto si distingue da quella antica, ricca di quello smalto di lucente e crudelissima creatività giovanile, ma che ancora sa affascinare, ti sa portare laggiù dove ci sono le cose peggiori, dove le ombre hanno messo i denti.
Pochi inutili nascondigli (II parte)
segue da qui
“La ragazza che guardava nell’acqua”
Oh… Ecco, forse l’unico modo per descrivere appieno questo racconto è solo questo, un sospiro. Un racconto che in prima battuta ti spiazza, e non per forza in positivo, per come si propone. Scritto in prima persona, su un personaggio decisamente singolare. Gli scettici della partenza si saran ricreduti dopo qualche pagina: un racconto dolcissimo, scritto con parole semplici, come se la voce narrante fosse un bambino, e per certi versi lo è, toccante, delicato, stupendamente surreale, la storia veloce di un deux ex machina di particolare dolcezza. In contrapposizione con “Graffiti”, che è l’equivalente dello stridio delle unghie su una lavagna, questo racconto è… un languido sguardo di occhi buoni ed un naso umido e timido. Finito con le lacrime agli occhi.
“L’ospite d’onore”
Scritto magistralmente, da autore brillante quale Faletti sicuramente è, anche se cerca di camuffarlo in altre cose. Un racconto dal ritmo talmente serrato di similitudini, lazzi ironici, voli e paragoni impossibili, che regge solo per il fatto di essere breve. Così come il precedente ci aveva strappato una lacrimuccia, questo ci ha portato ben più di una volta alla risata liberatoria. Una trama non male, con il consueto finale soprannaturale e decisamente sospeso, che lascia intendere ma non del tutto chiaramente. Secondo noi questa è la prova che Faletti non dovrebbe rinnegare le sue origini brillanti: un sano giallo, poco noir con qualche pennellata di ironia e comicità, senza scadere nello sguaiato, potrebbe riportare la sua fama ai livelli che merita.
“Physique du role”
Uhm, mi verrebbe da dire classico, un racconto meta-cinematografico, una storia che diventa realtà. Non male, carina l’idea meccanica che ne sta alla base, ben delineato il personaggio principale, con una introspezione chiara fin da subito, che verte sui desideri notturni del protagonista. Molto descrittivo, molto ben evocative le immagini, anche perchè si parla di cinema. Finale negativo, o meglio, una “brutta fine”, indovinabile. Carino, ben scritto, ma niente di particolamente innovativo a confronto del resto, ben scritto e poco di più.
Pochi inutili nascondigli – G. Faletti
Abbiamo letto “Pochi inutili nascondigli” in attesa dell’ultimo libro di Giorgio Faletti, “Io sono Dio” che speriamo di avere presto tra le mani. Per quanto noi lo stimiamo come persona e come comico, purtroppo ci siamo trovati spesso a non parlare molto bene di lui come scrittore.
Parlando di questo volume che raccoglie una serie di racconti, è evidente l’influenza Kinghiana, il tentativo di avvicinarsi al suo stile nei quali spesso il Maestro si diverte a giocare su stravaganze ancora più ardite di quelle che riserva per i suoi romanzi, risultando sempre affascinante. La similitudine però finisce qui: aprire un libro di King, come ci piace dire, è come accomodarsi nella tua vecchia poltrona preferita, dopo le prime due o tre pagine di assestamento sui cuscini, la senti avvolgerti e sostenerti caldo e comodo fino alla fine. Faletti invece, ha qualcosa che stona, non solo nei contenuti, ma proprio nella scrittura. Per carità, i moti di spirito sono sempre geniali e strappano più di un sorriso, ma la prosa a volte troppo dettagliata, forzata nel particolare che magari il lettore già ha capito di suo, rende la lettura incespicante, sebbene la ricercatezza delle frasi sia palese. Non si può dire che, nonostante i temi trattati e la cura della narrazione, sia sempre una lettura scorrevole.
“Un gomma e una matita”
Come esordio della raccolta è una toppata clamorosa, per chi almeno bazzica nell’horror/fantascienza da un po’ ed abbia letto King quel che basta per trovare in questo racconto un ricalco dei suoi lavori. Un racconto con del potenziale, ma nemmeno poi molto originale, che prende spunto (forse, chissà) da un certo personaggio (cacciato dentro a forza per salvare la trama, ammettiamolo) che appare alla fine de “La torre nera” e che risulta infine la chiave risolutiva di tutta la saga. Un racconto con pretese horror ma che secondo noi scade più nello splatter, durante il quale brilla per assenza una reale introspezione del protagonista, che cambia radicalmente carattere dopo aver scoperto le potenzialità distruttive di una gomma e una matita. L’effetto del cambiamento lo si legge negli altri personaggi e dalle sue azioni, ma la reale introspezione si riscontra solo alla fine e solo in senso sbrigativo, lasciando un po’ di sapore dubbioso in bocca. Ma nemmeno poi tanto, in fondo, solo confortati che il racconto sia finito.
“L’ultimo venerdì della signora Kliemann”
Ecco, questo racconto si discosta un po’ dal solco Kinghiano, in senso felice, sebbene mantenga una certa aura di inverosimiglianza fino alla fine (per tutto il racconto è inverosimiglianza mal riposta, mentre al termine si raggiunge l’apice del soprannaturale). Ben scritto, ben tratteggiati i personaggi, forse più incisivi quelli di sfondo che non i protagonisti, è evidente come Faletti stia parlando di posti e persone a lui noti veramente (non a caso parla di Capoliveri, vogliamo scommettere che esiste davvero un baruccio al cui tavolo siedono sempre i soliti quattro a far passare le ore?). A volte ridonda un po’ di domande nella testa del protagonista, sempre le stesse, ripresentate sempre in fogge nuove. E ammettiamolo: per tutto il racconto abbiamo pensato storcendo il naso che fosse una versione falettiana di “Weekend con il morto”, ma la scrittura sufficientemente incalzante ci ha fatto tenere duro fino alla fine, per scoprire che la realtà era meno grottesca. Ma solo di poco… Toccante il finale, o meglio, la conclusione dell’intreccio, pervaso da una certa malinconia che concede un punto di valore aggiunto a tutto il racconto.
“Graffiti”
Uhm… un racconto decisamente particolare. Ben strutturato, teso, in un crescendo di normale aberrazione umana fino alla conclusione completamente surreale. Un racconto certamente simbolico, con una morale piuttosto evidente. Ben scritto, con la delineazione di un personaggio semplicemente corrotto, nell’accezione di disfacimento, dalla sua stessa ira che nutre ed alimenta giorno per giorno e che infine lo conduce, inconsapevole, alla resa dei conti. Un personaggio da romanzo, con un finale che solo un racconto può permettersi. Se proprio si desidera trovare una pecca in questo brano è la delineazione eccessivamente perfetta della corruzione dell’anima del protagonista, che infine ottiene la sua giusta ricompensa. King ci ha spesso abituati a vedere il Male e l’evento soprannaturale, sia a ripagare le cattive condotte, come vendetta, e sia, e forse soprattutto, che piova come ennesima sfiga su persone tecnicamente normali, nè troppo buone, nè troppo cattive. Perfidamente e perfettamente in disfacimento, quindi, il protagonista, ma è davvero l’unica nota su un racconto che stupisce.
“Spugnole”
Un racconto particolare, molto racconto e poco horror fino alla fine. Evocativo, ben descrittivo, quel genere di racconto che fa domandare al lettore che cosa ci faccia in una raccolta definita come thriller. Lungo rimuginare su vari aspetti della campagna, pregevole, fino alla parte conclusiva del racconto ovvero la parte succosa, dove sta il fulcro del racconto. Ed il finale… Kinghiano anche lui, surreale all’estremo, ma chissà com’è che l’irreale di King è più verosimile che non quello uscito dalle penne di altri?
Segue qui nella seconda parte.