Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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La lunga via del ritorno – R. Furth, P. David, S. King
L’incarico ad Hambry si è concluso nel peggiore dei modi possibile ed ora il ka-tet di Roland sta tornando a Gilead in più in fretta possibile. Susan è morta bruciata dai suoi stessi concittadini, che ora inseguono i tre ragazzi capitanati dall’unico superstite dei Cacciatori della Bara. Ben presto però i tre capiscono che il vero problema non è costituito tanto gli inseguitori quanto quello che si stanno portando appresso. La sfera rosa, il Pompelmo di Maerlyn, cattura la mente di Roland proiettandola davanti al Re Rosso in persona.
Questa la trama de La lunga via del ritorno, seconda miniserie a fumetti della premiata ditta Furth, David, King e gli stupefacenti disegni di Isanove. Se il primo episodio, La nascita del pistolero seguiva il soggetto di uno dei romanzi originali della saga della Torre Nera, questo inizia una parentesi che non viene assolutamente toccata nei romanzi di King, discostandosene ed approfondendo eventi che vengono al massimo solo accennati nella saga romanzesca.
Questo probabilmente è il punto debole più rilevante di questo episodio: il soggetto è praticamente inesistente, così come è assente una storia degna di questo nome. Un po’ a causa del fatto che questo costituisce un capitolo di raccordo con quello che verrà narrato più avanti ed un po’ perchè privo della guida diretta della storia di King, questa miniserie risulta un po’ povera dal punto di vista del contenuto.
Viene compensato però dalla perfezione dei disegni: immagini dai colori foschi, torvi, i visi deformati dalle ombre e dai turbamenti interiori, in questo capitolo si intervallano alle scene ambientate nel Casse Roi Russe, al centro del Fine-Mondo, caratterizzate dai toni sanguigni ed abborbanti del rosso e del nero.
Come nel capitolo precedente, abbiamo una notevole profusione di contenuti extra di approfondimento, alcune prese da tematiche trattate nei romanzi, altre completamente originali.
Un altro capitolo da non perdere per gli amanti della saga, un altro capolavoro di fumetto per tutti gli appassionati del genere. In attesa del terzo capitolo:Tradimento.
Il labirinto oscuro – L. Durrell
Poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, un manipolo di inglesi sbarcano a Cefalù e partono all’esplorazione di un misterioso labirinto nel cuore di una montagna nel quale, si narra, si annida una creatura misteriosa, forse il celebre Minotauro. Per una disgrazia, si verifica una serie di gravi crolli e il gruppo si divide. Alcuni si salveranno, altri moriranno, altri scopriranno vie d’uscita del tutto inattese.
Questo libro del 1961 di Lawrence Durrell, Il labirinto oscuro, si riassume quasi del tutto con queste poche righe. Di certo risente della scarsa modernità con cui è stato scritto: lo stile infatti è piuttosto prolisso e pedante nei dettagli insignificanti sui protagonisti, e di fatto la trama è particolarmente flebile.
Per buona parte del libro, circa metà, non succede nulla che abbia a che vedere con l’oggetto della storia, l’autore si limita a raccontarci, con una terza persona onniscente che sarà utile nella seconda parte del romanzo, tutti gli aspetti psicologici che stanno alle spalle dei personaggi che poi si imbarcheranno nell’avventura.
Abbiamo quindi una serie di attori volutamente stereotipati che si trovano ad affrontare il misterioso labirinto: il pittore frivolo ma capace, la bigotta puritana, il presunto malato terminale con poco da vivere, il medium.
Ben presto nella lettura risulta evidente che il labirinto in oggetto non è altro che un metafora, un espediente simbolico per rappresentare la svolta drammatica delle vite degli stereotipi. Infatti, per ciascun elemento, il labirinto e quello che contiene, il raggiungimento o meno della via di fuga e di quello che troveranno all’uscita, costituisce anch’esso una metafora.
Risulta anche interessante vedere come alla fine, nonostante venga fornita una pacifica spiegazione degli eventi sinistri, in realtà non riusciamo a capire davvero che cosa fosse contenuto nel labirinto e quale sia stata la sorte di alcuni dei protagonisti.
Insomma, un libro certamente particolare, che non va letto come un giallo o come un romanzo del mistero, ma come un viaggio interiore alla ricerca di quello che, più o meno inconsciamente, ciascuno di noi ha sempre cercato. Nel complesso un romanzo meno banale di quanto sembra, che, una volta superata la prima metà un po’ ostica e poco stimolante, si rivela per essere piuttosto interessante e con buoni spunti di riflessione.
La nascita del pistolero – R. Furth, P. David, S. King
Cos’è la Torre Nera? A questa domanda qualunque Kinghiano convinto partirebbe con una filippica di almeno qualche ora. Di certo è il fulcro, il nocciolo di tutta la produzione creativa di Stephen King, il perno attorno al quale ruotano gran parte delle sue opere, la rappresentazione di quello che è sempre stata la Storia Definitiva nella sua mente.
La storia del pistolero Roland ufficialmente si esplica nei 7 ponderosi volumi della serie La Torre Nera, romanzi scritti nell’arco di quasi quarant’anni e portati a compimento nel 2004 con la pubblicazione dell’episodio conclusivo.
Ma non tutto è stato detto e raccontato di questo mondo così incredibile e sinistro che è il Medio Mondo, per questo tante piccole costole sono nate (ad esempio alcuni racconti in diverse raccolte di King) nel corso degli anni. Quella più importante è costituita, naturalmente, dalle serie di graphic novel publicate dalla Panini Comics (e dalla Sperling & Kupfer nella versione rilegata) dal nome omonimo.
La prima miniserie, La nascita del pistolero, racconta per immagini la triste storia del Ka-tet del giovane Roland e del suo sfortunato amore con Susan Delgado. Questo episodio è l’unico delle serie attualmente pubblicate ad essere tratto esplicitamente da uno dei romanzi, La sfera del buio.
La storia nel romanzo infatti viene presentata come un lungo flashback, che si distacca completamente dalla storia narrata, e apre una finestra sulla giovinezza di Roland. Di quello che capiterà infine ai suoi amici ne veniamo ben presto edotti, ma nel romanzo non viene mai spiegato esattamente come le cose arrivarono a quell’epilogo. I fumetti colmano il vuoto in un totale di 5 miniserie, e per gli estimatori della saga è una buona notizia, visto che quella vecchia storia costituisce di fatto il punto di svolta nella vita di Roland, che lo renderà il personaggio ruvido e scostante che vediamo nel resto della saga.
In quanto serie a fumetti, menzione speciale va riservata ai disegni. Magistrali probabilmente è dire poco: quei colori, quei volti, quei giochi di luci ed ombre: a chiunque abbia amato il Medio Mondo non potranno che venire i brividi, di piacere e di inquietudine insieme.
Il castello bianco – O. Pamuk
A volte ci troviamo di fronte ad opere che, principalmente per motivi culturali, ci risultano semplicemente incomprensibili. Grosso modo è quello che è successo a noi nel caso dell’opera del premio Nobel turco per la letteratura Ohran Pamuk ed il suo Il castello bianco.
Un veneziano viene catturato dai turchi e viene tenuto come prigioniero per qualche tempo, finchè non dichiara di essere esperto in medicina e in astrologia. Ben presto viene quindi trasferito alle dipendenze del Maestro, un tuttologo che orbita attorno alla residenza del Pascià locale e che si occupa di scienza, astronomia, filosofia e quant’atro. La somiglianza fisica tra i due uomini è incredibile, al limite del sopportabile per entrambi. Conviveranno per anni, l’uno fungendo da trampolino all’altro, permettendogli di sviluppare teorie strane ed ardite per compiacere il sovrano. Arriveranno a compenetrarsi talmente da non essere più in grado di distinguersi l’uno dall’altro.
L’aspetto più ostico di quest’opera probabilmente è l’assenza di una storia ben precisa. Infatti non succede mai nulla di effettivamente apprezzabile, tutto resta molto raccontato dalla voce del protagonista, il veneziano, ed è un susseguirsi di fatti che si avvicendano nella vita dei due.
Il concetto fondamentale è quello psicologico dei protagonisti e la loro continua ricerca della risposta alla domanda che si pongono: perchè io sono io? cosa differenzia me dall’altro? cosa mi salva dalla dissoluzione tra altri mille altri individui?
La narrazione si avvale della un po’ usurata finzione narrativa del testo rinvenuto a distanza di anni da un curatore che si limita a scriverne una prefazione prima di trascriverlo così come l’ha trovato. Questo fa sì che l’autore possa prendere doppiamente le distanze da ciò che racconta, avendo la giustificazione di uno stile di scrittura piuttosto pomposo, desueto e poco scorrevole.
Nel complesso quindi il lettore si trova un po’ affaticato nella lettura, a parte qualche passaggio un po’ più chiaro è quasi un’impresa arrivare al fondo di questo libro, che comunque è breve (170 pagine circa).
In conclusione vi consigliamo di leggere quest’opera solo se vi sentite abbastanza in sintonia con la letteratura esotica e particolarmente ricettivi nei confronti di metafore ed allegorie non proprio immediate.
Amore e altri rimedi – diretto da E. Zwick
Jamie è un informatore farmaceutico con un vizietto: le donne; Maggie è un’artista e guida turistica con un problema di salute. Ad unirli, in principio, una storia di solo sesso. Ma proprio in virtù del loro desiderio di non legarsi, capiranno ben presto di non poter fare a meno l’uno dell’altra.
Questa è la trama, forse non proprio originalissima, di Amore e altri rimedi, film diretto da Edward Zwick, con Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway. Film che ha fatto molto discutere, fin già dalla scelta del nome italiano, visto che il titolo in lingua originale (Love and other drugs) giocava sul doppio significato della parola drugs: droghe sì, ma anche più in generale i presidi medici, accostando gli effetti di dipendenza tipici dell’amore alla droga, appunto.
Questo film è l’adattamento del romanzo autobiografico del protagosta (Hard Sell: The Evolution of a Viagra Salesman), in cui viene messo in luce il background discutibile che sta alle spalle dell’industria farmaceutica.
Amore e altri rimedi invece è una commedia romantica piacevole, senza infamia e senza lode, che mantiene grosso modo tutti ritmi più classici del genere: gli equivoci, i punti da lacrima facile e quelli più esilaranti si intervallano con leggerezza.
Bravi i due protagonisti, che affrontano con naturalezza un grande numero di scene di nudo (motivo principale del grande hype sul film) e di sesso abbastanza esplicito. Sono credibili come coppia e ciascuno nel proprio personaggio, lei spaventata dall’incombere della malattia e dagli effetti che potranno avere su di lei e su eventuali compagni di vita, lui che riversa sul lavoro e sui successi con le donne una atavica insicurezza in se stesso e una paura nei legami.
Pregevoli nei ruoli secondari, l’orribile fratello e il collega di Jamie, che fanno da spalla a situazioni comiche di buon livello.
Nel complesso un film godibile ma senza pretese, l’ideale per passare un paio d’ore senza troppi pensieri in compagnia del bel sorriso della Hathaway e della faccia da mascalzone dal cuore d’oro di Gyllenhaal.
Survivor – C. Palahniuk
Sono pochi gli autori che riescono a catturare in modo così tenace in lettore al punto di provocargli un voluto senso di malessere quando riesce a fare Chuck Palahniuk con i suoi libri.
L’ultimo che abbiamo letto è Survivor, opera non nuovissima ma certamente degna di essere accomunata a opere più note come Fight Club.
Anche questo libro inizia dalla fine, e si dipana come un lungo flashback. Un uomo è su un aereo, vuoto, che si schianterà tra qualche ora nel deserto australiano. Non sa quanto tempo gli rimane, sa solo che la sua ultima cosa da fare è lasciare traccia della sua vita e dei fatti che l’hanno portato lì. Quindi racconta la sua storia al nastro della scatola nera dell’aereo, mentre questo va in contro al suo destino.
Iniziamo quindi a conoscere quest’uomo senza nome (in senso letterale) e, con lo stile tipico di Palahniuk, frammentario, colloquiale, ricco di ripetizioni, misto di pensieri, contraddizioni e interruzioni, scopriamo passo passo la sua storia.
La vera maestria dell’autore risiede proprio in questo suo narrare apparentemente caotico e sconclusionato, perchè, nonostante ciò, il lettore riesce sempre a scoprire al momento giusto quello che è giusto che sappia.
Con salti avanti ed indietro nel tempo, con peregrinazioni dentro e fuori la mente del protagonista, scopriamo che è l’ultimo sopravvissuto di una setta religiosa suicida e che qualcuno sta cercando di ucciderlo, quando lui non desidera altro che morire ed eseguire l’ordine che la sua comunità ha già eseguito. C’è molto altro, ma non vogliamo spoilerarvi nulla di questa trama, perfetta come un castello di carte, così assurda e paradossale come solo la verosimiglianza può essere.
La sensazione che pervade questo libro è il peso dell’ineluttabile, del destino, dell’impossibilità o l’incapacità di decidere.
La vediamo dapprima in forma palese, con le rigide regole che la comunità Creedish impone ai suoi, poi in forme sempre diverse, in un susseguirsi di vincoli, menzogne, obblighi, imposizioni che rendono di fatto già scritta la vita del protagonista.
Questo si esprime anche molto bene nell’espediente stilistico del flashback (tutto opererà per portarmi qui) e anche nella curiosa trovata editoriale di numerare le pagine e i capitoli a ritroso. Il senso del conto alla rovescia verso lo schianto finale è quindi reso perfettamente, con notevole grado di coinvolgimento.
Insomma, a tutti coloro che apprezzano Palahniuk per la sua mente crudele, contorta e brillante, non possiamo fare altro che consigliare di leggere anche questo romanzo e di tenere duro fino alla fine.
Lo strano mistero di Torre Mozza – V. Galati
Sei ragazzi trovati senza vita su una spiaggia della Toscana. Composti, sepolti sotto un leggero strato di sabbia ed accompagnati da grosse conchiglie. Da qui si dipana l’indagine del commissario Barbagelata,che lo porterà a scoprire segreti e misteri sepolti in profondità sotto la sabbia e nel passato, davanti al mare.
Questo nel romanzo di esordio di Vincenzo Galati, Lo strano mistero di Torre Mozza, un giallo dalle caratteristiche brillanti.
Seppur breve (126 pagine), l’autore riesce a suscitare vivo interesse nel lettore, mostrando man mano gli elementi di un intreccio che risulta davvero accattivante. Il fulcro è senza dubbio lo svolgimento delle indagini, che si dipanano con le ben note modalità del romanzo giallo di tipo poliziesco. Alle informazioni fondamentali per la trama vengono aggiunti dettagli sulla storia dei personaggi, tormentati e legati a doppio filo tra loro da sentimenti contrastanti e inespressi.
La storia è intrigante, ben congegnata, con personaggi secondari piuttosto vividi e credibili sebbene appena tratteggiati. L’effettiva risoluzione del caso può forse lasciare un filo di amarezza, ma d’altra parte il vero cuore del romanzo giallo è l’indagine più che la soluzione del caso, che comunque, per quanto forse non proprio appagante, è logica e accettabile.
Lo stile di scrittura probabilmente è quello che più caratterizza questo libro. L’autore infatti mantiene un ritmo serrato e senza fronzoli, sebbene molto chiaro. Le frasi sono brevi, a volte frammentarie, talvolta con accenti quasi poetici; questo, in combinazione con la trama appassionante, rende il romanzo una lettura incalzante difficile da lasciare.
Se proprio volessimo trovare una pecca, potremmo dire che probabilmente una narrazione un po’ meno serrata e recisa avrebbe potuto dare un valore aggiunto all’opera, alternando fasi sincopate e passaggi più tranquilli, in cui si sarebbero potuti approfondire i personaggi arricchendone la psicologia e l’introspezione, rendendo questo giallo un romanzo di letteratura a tutto tondo.
Comunque questa lettura ci ha appassionati: non possiamo fare altro che consigliare Lo strano mistero di Torre Mozza a tutti gli amanti del genere e fare i nostri sinceri complimenti all’autore.
Il gioco di Gerald – S. King
Abbiamo deciso di fare uno strappo alla nostra tacita e salutare regola di recensire solo romanzi appena letti per questo romanzo di Stephen King, Il gioco di Gerald. Indubbiamente non è uno dei romanzi del Re più famosi e, nonostante siamo dichiaratamente suoi fan, non è nemmeno uno dei migliori. Eppure, abbiamo deciso di recensirlo perchè, sebbene siano passati diversi anni da quando l’abbiamo letto, è rimasto stampato nel nostro immaginario per la sua semplice crudeltà.
King solitamente si divide su poche macrotematiche concettuali sulle quali poi fonda i suoi romanzi: il Male in senso incorporeo ed il Male incarnato nelle bassezze dell’uomo. Di questa divisione generica è poi possibile effettuare altre suddivisioni, anche se alcune opere si possono inserire a cavallo tra le due categorie.
Senza scendere nei morbosi dettagli nerd che certamente sapremmo tirare fuori, Il gioco di Gerald si può ascrivere alla seconda categoria, dove il Male viene principalmente rappresentato da una persona umana con smaccate caratteristiche negative.
La storia, come nel meglio del suo stile, parte da un concetto semplice quanto angosciante: cosa succederebbe se, a causa di un giochetto erotico, una donna rimanesse ammanettata al letto e non avesse più alcun modo per liberarsi?
E questo è quello che succede a Jesse, che soggiace all’ultima richiesta del marito, Gerald, e si lascia ammenettare ad un robusto letto nella loro casetta al lago. Involontariamente però, Jesse provoca la morte di Gerald, e da quel momento l’intera esistenza della donna collassa in quella casetta, su quel letto, sul quale l’attende una morte lenta e psicologicamente devastante.
L’abilità narrativa di King raccoglie bene la sfida, focalizzandosi sui loop mentali di Jesse, che rievoca il passato travagliato, le sue lotte interiori di coscienza e l’immaginazione, che con il passare delle ore, la mancanza di acqua e cibo ma soprattutto la paura dell’approssimarsi della fine, le provocano allucinazioni terrorizzanti… che forse non sono affatto allucinazioni, bensì una nuova manifestazione del Male incorporeo ed assoluto, che la aspetta negli angoli bui della sua stanza, in attesa solo che abbassi la guardia e si lasci andare alla disperazione.
Un romanzo senza dubbio molto particolare, che per gli amanti del genere è un appuntamento imperdibile, proprio perchè risulta un esercizio di stile dalla crudezza unica. Da provare. E dopo averlo letto, non vedrete mai più un paio di manette con gli stessi occhi.
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