Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
Archivio del 2013
Il caso dell’infedele Klara – regia di R. Faenza
Ci siamo imbattuti per caso in questo film, Il caso dell’infedele Klara, e abbiamo scoperto altrettanto per caso che questa produzione è stata “liberamente ispirata” dall’omonimo romanzo di Michal Viewegh, che non abbiamo letto ma che, ci auguriamo per lui e per i lettori, sia meglio del film.
Ambientato nella Praga moderna, un giovane italiano (tu guarda) interpretato da Claudio Santamaria è ossessionato dall’idea che la sua bella fidanzata Klara (Laura Chiatti) lo stia tradendo. Interpella quindi un investigatore privato (il Jorah Mormont di Game of Thrones) per tenerla d’occhio. Lei è onesta e fedele, ma il fidanzato non si fida nemmeno delle prove, e insiste ed ossessiona tutti finchè il fattaccio inevitabilmente si compie.
La storia non è certamente delle più brillanti, senza citare la sottotrama assurda del piccolo fisarmonicista prodigio assolutamente fine a se stessa (ricorda le commedie elisabettiane nelle quali piazzavano un cagnolino sul palco solo perchè faceva colore), ma l’aspetto che rende più attoniti è senza dubbio l’oscena qualità della recitazione dei protagonisti, che si sono poi successivamente doppiati in italiano.
Un film dal mordente pressochè assente, dalla storia moscia, le battute scontate e la recitazione terribile, insomma un’esperienza del tutto dimenticabile.
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Film: Il Caso Dell’Infedele Klara
Romanzo: Il caso dell’infedele Klára
Dannazione – C. Palahniuk
«Mi sente, Satana? Sono io, Madison. Non è vero che quando muori la vita ti passa davanti. Non tutta, almeno. Alcune parti magari sì. Altre, possono volerci anni e anni prima di riuscire a recuperarle. Credo che sia questa la funzione dell’inferno. E’ un luogo dove ricordare. Ma non solo: lo scopo dell’inferno non è tanto quello di dimenticare i dettagli delle proprie vite, quanto di perdonarli. Ebbene sì, i morti hanno nostalgia di tutto e di tutti, ma non rimangono aggrappati alla Terra per sempre.»
Madison ha tredici anni appena compiuti, si vede grassottella, bruttina, ma è molto consapevole della sua intelligenza. E’ figlia di ricche e notissime celebrità del jetset hollywoodiano, fissate con il salutismo, la tutela dell’ambiente e la beneficenza, ma che poi indulgono in psicofarmaci, droghe e abitudini decisamente poco ecocompatibili.
Questa ragazzina potrebbe essere una delle molte, vessate figlie di vip, se non fosse per un piccolo particolare: è morta.
Dannazione di Chuck Palahniuk è un romanzo del 2011 in prima persona, nel quale Madison racconta la sua personalissima esperienza dell’inferno, che è molto diverso da come siamo abituati ad immaginarlo, e ripercorre in flashback i tratti salienti della sua breve vita.
Anche in questo romanzo possiamo ritrovare alcune delle caratterische che ci fanno tanto amare l’autore, ma qualcosa stona rispetto ad altre opere precedenti.
Sarà l’ambientazione decisamente distaccata dalla realtà (per quanto ci siano molti ottimi spunti di riflessione parecchio concreti), sarà la voce lucida e matura della ragazzina: la lettura procede scorrevole, forse troppo, e la sensazione alla fine è quella di non essere arrivati davvero da nessuna parte.
La trama è piuttosto chiara e lineare, eppure alla lettura sembra di registrare alcuni cambi di rotta in corso di navigazione.
Il risultato è un romanzo comunque pregevole, ma meno scioccante e diretto rspetto alle opere precedenti, più conformato alla letteratura contemporanea.
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Zak Elliot e i draghi di Mezzamorte – R. Recchimurzo
Zak Elliott e i draghi di Mezzamorte è il secondo episodio della saga fantasy per ragazzi italiana, Le cronache di Aldimondo, nata dalla penna di Roberto Recchimurzo.
Anche questa volta il volume si presenta benissimo: grafica curata in copertina (forse un po’ scura e poco leggibile) e in ciascuna pagina, impreziosita da decori e illustrazioni.
Anche in questo episodio si conferma il target di riferimento nei lettori giovanissimi in quanto un lettore più adulto e smaliziato lo troverebbe molto poco appassionante.
Rimangono immutati, come senza soluzione di continuità tra il primo e il secondo episodio, stile di scrittura e narrazione: il raccontato prende sempre il sopravvento sul mostrato, anche laddove sarebbe decisamente consigliato lasciar parlare gli eventi. Il risultato è quindi un intervento sempre massiccio dell’autore, che a volte si rivolge direttamente al lettore.
In questo romanzo si conferma il fil rouge fatalista che governa le sorti di Zak e di tutti personaggi che contano in Aldimondo, i deus ex machina sono immancabili come le scoperte e gli eventi mossi esclusivamente dal “perché sì”.
Le caratteristiche salienti rilevate per Zac Elliot e il libro del destino si riscontrano anche in questo episodio, la cui storia getta carne al fuoco con nuovi personaggi e estende l’azione su una porzione più vasta di Aldimondo (le cui distanze sembrano però piccolissime). Nuove minacce si affacciano alla ribalta e la conlusione del romanzo prepara il terreno ai prossimi episodi della saga.
In chiusura, vengono presentate le opere dei vincitori di un concorso creativo che ha coinvolto alcune scuole primarie e secondarie, pubblicando tre racconti e una serie di disegni ispirati alle vicende di Zak.
Nel complesso, quindi, un’opera ideale per i giovanissimi lettori che possono trovare pane fantasy per i loro denti.
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Scheda: Storie straordinarie per vite ordinarie – AA.VV.
Una collezione di racconti inediti, ispirati dalle realtà virtuali: al confine tra vita reale e creazioni immaginarie a base di pixel, più di trenta testi che delineano le mille connessioni possibili e impossibili tra le diverse declinazioni delle realtà.
Storie d’amore nate in rete, intrighi socio-politici, storie tristi di vecchi videogiochi ormai passati, fantasy ispirati alla più normale tradizione di draghi e principesse, storie “normali” di persone normali che si riconoscono attraverso i personaggi di pixel o la vita misera di un povero avatar virtuale; storie di guerra e perché no, ambientate in futuri lontani, tutte frutto di una fantasia spesso ironica, talvolta greve e forse scontata ma profondamente radicata nell’immaginario collettivo contemporaneo, alla base di quella cultura che oggi ai geek piace definire pop!
La raccolta comprende 33 RACCONTI suddivisi in tre sezioni:
- Big, in totale 7;
- Selezionati dalla Giuria Tecnica e dalla Redazione di Multiplayer.it Edizioni, in totale 16;
- Selezionati dai Lettori attraverso la votazione online, in totale 10.Il progetto – Il concorso letterario
Il volume nasce dal primo concorso letterario promosso da Multiplayer.it Edizioni, “Realtà in gioco”, svoltosi tra giugno – ottobre 2012 che ha visto la partecipazione di oltre 140 aspiranti scrittori.
Sul sito dedicato sono stati pubblicati circa 80 dei racconti pervenuti, tutti prima visionati dal curatore del progetto Tommaso De Lorenzis e soggetti al giudizio dei lettori online e di una giuria tecnica composta da Danilo Arona, Alberto Grandi e i KaiZen.
I racconti presentati per “Realtà in gioco” mostrano che tutti per scrivere traggono ispirazione dalle esperienze quotidiane, dagli hobbies e dalle passioni: per questo le influenze di una certa generazione di film, libri e videogiochi sono spesso riconoscibili nei testi dei giovani aspiranti scrittori.
L’iniziativa è stata sostenuta da alcuni partner istituzionali come AESVI-Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani e Biblioteche Di Roma ed in collaborazione con Multiplayer.it, Aiv – Accademia Italiana Videogiochi, TrueFantasy.it, Fantascienza.com, Eldastyle.it, Libreria Lupo Rosso.
Le cinque stirpi – M. Heitz
Tungdil è un nano senza famiglia, un trovatello cresciuto sotto l’ala protettrice del reverendo mago Lot-Ionan. Un giorno il padre adottivo lo invia per una missione importante attraverso la Terra Nascosta, e la sua pacifica vita viene sconvolta. Scoprirà che il Male sta avanzando, impossessandosi dei territori prima pacifici, sterminando uomini, elfi e nani che cercando di ostacolarne la crescita.
Le cinque stirpi è il primo romanzo del ciclo dei nani dell’autore tedesco Markus Heitz. Un commento reciso? Potremmo considerarlo come una Troisi di terra teutonica. E non sarebbe un complimento.
Abbiamo trovato questo romanzo deludente sotto tutti i punti di vista, e sotto molti altri arriva ad essere irritante. Banale oltre ogni immaginazione, del tutto privo dell’intrinseco sense of wonder che dovrebbe caratterizzare il genere fantasy. Si inserisce nel (profondissimo) solco tracciato da Tolkien, ovviamente: il Male incarnato che ambisce al potere e alla distruzione, contrastato dal Bene.
La Terra di Mezzo diventa la Terra Nascosta, i cui abitanti sono esattamente quelli che ci si aspetterebbe (Hobbit esclusi). Anche le creature maligne sono le stesse: mezz’orchi, orchi, una piccola digressione che non sorprende nessuno con gli elfi oscuri che vengono chiamati qui albi. Il cattivo, incarnazione del Male è, sorpresa, un mago. Al contrario di Saruman, il mago Nudin/Nod’onn non fa paura a nessun lettore, al massimo un po’ di ribrezzo.
La trama di per sè potrebbe anche essere carina, anche se a circa metà romanzo (il solo primo tomo conta circa 600 pagine) comincia solo ad intravvedersi l’effettivo filo narrativo, dopo 300 e passa pagine di disutile girovagare dei personaggi. Il vero elemento di disturbo in tutto questo è lo stile narrativo. Non sappiamo se attribuire la colpa in toto all’autore o se il flop è anche da ascriversi almeno in parte alla traduzione, fatto è che leggere questo romanzo porta rapidamente all’esasperazione. Innanzitutto il punto di vista della voce narrante è una terza persona distantissima dai protagonisti. Il lettore viene messo seduto in un angolino dove si svolge la scena e da lì assiste, senza prendere mai parte in prima persona allo svolgere degli eventi e alle emozioni provate dai personaggi. E’ arduo appassionarsi alla lettura, proprio perchè mantenere l’attenzione alta con una narrazione così distante è estremamente difficile. Come se non bastasse, lo stile è ridondante e pesante: non viene persa occasione di raccontare questa o quella emozione, raccontare quello che un personaggio sta pensando, raccontare aspetti del carattere e dell’indole di un protagonista. Una narrazione più snella e più concreta, nella quale mostrare questi aspetti, avrebbe sicuramente reso l’esperienza della lettura molto più piacevole.
Un aspetto particolare ci ha stupiti: il discutibile gusto dell’horror mostrato in questo romanzo. Ci sono scene di una crudezza e perversione secondo noi fuori luogo, degni dei peggiori romanzi splatter che possano venirvi in mente. Passaggi che vengono somministrati con una tale noncuranza dal narratore e vissuti dai protagonisti che lasciano un po’ basiti.
Le teste mozzate nelle modalità più bizzarre non si contano, e gli zombie, qui chiamati tristemente semimorti, fanno la loro comparsa anche qui.
Insomma, un romanzo che non brilla certo per creatività, innovazione o originalità, bensì stufa rapidamente e fa passare al lettore qualunque velleità non solo di completare la lettura dell’intero ciclo, ma anche solo del primo volume. Lettura sconsigliata a tutti gli amanti del genere che si pregiano di tenere un po’ alta la propria asticella di gradimento.
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Aggiornamento: a distanza di qualche tempo da quando abbiamo scritto questa recensione, e qualche pagina letta in più (sì, abbiamo iniziato a scriverla attrno a pagina 400) ci sentiamo per dovere di onestà di rettificare qualcosa di quanto espresso qui. Beninteso, il libro non è che ci abbia catturati indissolubilmente in quelle ultime 200 pagine, ma effettivamente qualche filo della trama si è teso quel tanto che è bastato per farci continuare la lettura e farci arrivare alla fine. La narrazione non decolla, e anzi i personaggi sono più caricaturali che mai così come certe situazioni, ma tutto sommato la storia riesce a prendere un certo abbrivio e viene suscitata un po’ di curiosità verso le sorti del nano Tungdil. Resta un romanzo costruito in modo raffazzonato e poco chiaro, ma quantomeno si riscatta un po’ nella parte finale.
Tanto da meritarsi una rettifica.
Oltre l’esilio – J. L. Bourne
Zombie. Tanti, tantissimi, sempre di più, dalle risorse inattese, implacabili, radioattivi, si muovono a squadroni di migliaia di individui in giro per gli Stati Uniti e probabilmente nel mondo intero.
Avevamo lasciato il nostro eroe alla fine del primo romanzo della trilogia Diario di un sopravvissuto agli zombie, nella relativa sicurezza di una base militare ormai abbandonata al tramonto della civiltà umana insieme ad un manipolo di altri sopravvissuti. Come possiamo immaginare, la situazione non rimane tranquilla a lungo e il nostro protagonista senza nome dovrà affrontare molte situazioni rischiose all’esterno della base. Incontrerà altri sopravvissuti, alcuni bene intenzionati e altri meno…
Oltre l’esilio, secondo capitolo della fortunata saga Z nata dalla penna di J. L. Bourne, mette nuova carne al fuoco. Come nel primo romanzo, la trama è piuttoso semplice, anche se in questo episodio qualche colpo di scena ben dosato non manca. La fanno da padrona, però, le pure e semplici peripezie di sopravvivenza che i protagonisti si trovano a fronteggiare via via.
Impossibile non notare, soprattutto, la quantità di armi che il nostro protagonista e i suoi compari si trovano ad avere a che fare. Dall’arma bianca all’arma balistica (ebbene sì), veniamo resi edotti di tutti i dettagli su funzionamento, manutenzione e compatibilità di proiettili, al punto che il lettore medio in alcuni passaggi arriva un po’ a perdersi, ottenendo un calo della tensione complessiva, che è in generale piuttosto alta come nel primo romanzo.
Nel complesso un romanzo verosimile e appassionante per tutti gli amanti del genere, che genera una bella tensione e curiosità verso l’episodio conclusivo della saga.
Lettura assolutamente consigliata.
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La lunga marcia – S. King
«La città stessa era stata inghiottita, strangolata e sepolta. [...] C’era solo la folla, una creatura senza corpo, senza testa e senza cervello. La folla era solo una voce e un occhio, e non c’era da stupirsi che fosse tanto Dio quanto Mammona. [...] Era come camminare in mezzo a giganteschi tralicci di alta tensione, sentendo un continuo susseguirsi di scosse e crepitii che facevano rizzare i capelli, seccavano la lingua in bocca e davano l’impressione che gli occhi facessero scaturire scintille roteando nelle orbite. La folla doveva essere accontentata. La folla doveva essere adorata e temuta. La folla voleva il sacrificio.»
Nel 1979 Stephen King pubblica questo inquietante romanzo sotto l’ormai celebre pseudonimo di Richard Bachman. La lunga marcia ha una trama semplice e lineare, che riassume le regole di questo gioco perverso: 100 ragazzi volontari si mettono in marcia attraverso il Maine. Se camminano troppo lentamente, si fermano, indietreggiano, abbandonano la sede stradale, vengono uccisi a fucilate. La marcia andrà avanti fino a quando ne resterà uno solo, il vincitore, al quale verrà concesso per premio qualunque cosa lui voglia.
Sul piano strettamente contenutistico, questo romanzo non è niente di più di questo. Ma la vera maestria di King risiede proprio nella sua capacità di trasformare una storia poverissima in un romanzo magnetico ed appassionante, che è in grado di tramortire il lettore e trascinarlo in questo stillicidio, in questa follia, con il focus nella mente del protagonista.
Il narratore è una terza persona stretta sul personaggio protagonista, Garraty, un giovane ragazzo equilibrato, sano e robusto. Abbiamo la possibilità quindi di avere una visione talvolta a volo d’uccello sulla comitiva che ci consente di seguire la progressione della marcia, e allo stesso tempo possiamo entrare nella mente del protagonista, nei suoi pensieri e paure, nelle sue considerazioni nei confronti di questa impresa assurda.
Oggi risulta inevitabile fare un raffronto tra La lunga marcia e Hunger Games, in particolare a causa della crudezza e la precisione delle regole del gioco e la delineazione di uno scenario distopico. Se Hunger Games ha il suo punto di forza dall’impotenza dei giocatori che si trovano nell’arena di morte loro malgrado, La lunga marcia verte proprio sul concetto opposto. Tutti i cento marciatori sono volontari, si sono candidati spontaneamente, con le loro intrinseche motivazioni (tendenzialmente autodistruttive). E’ pur vero che nella società distopica la Marcia viene interpretata come una specie di prova di valore, alla quale più o meno tutti i giovani uomini sono soliti candidarsi, ma alla quale nessuno crede davvero di partecipare, almeno finchè il loro nome non viene scelto.
Come Ossessione, anche La lunga marcia presenza le caratteristiche peculiari di King ma allo stesso tempo mostra tratti tipici di Bachman: più crudi, più realistici, più vividi, del tutto scevri dagli accenti soprannaturali classici della produzione ufficiale.
Un romanzo annichilente, assolutamente consigliato.
Noticina di puro orgoglio personale: abbiamo trovato un refuso! Uno dei personaggi puramente di contorno del quale viene citato solo il cognome, muore qualche riga dopo la citazione riportata all’inizio di questo articolo e poi di nuovo nelle battute finali del romanzo. Nessuno è perfetto, neanche King
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Scheda: Zak Elliot e i draghi di Mezzamorte – R. Recchimurzo
Per una serie di sfortunati eventi, un ragazzo di quattordici anni di nome Zak Elliot, si ritrova in una vecchia libreria dove incontra tre bizzarri personaggi. Zellus, un anziano librario che scopriremo essere anche un esperto mago, Gianbeccuccio, un parlagallo alquanto strano, custode di un magico segreto, e Rupert, un elfo dei boschi del sud dalla pelle verdastra. I tre accompagneranno Zak in un viaggio fantastico in una antica terra chiamata Aldimondo. Obiettivo di Zak è quello di recuperare un libro magico intitolato “Libro del Destino” che, se fosse caduto in mani sbagliate e soprattutto in quelle del suo gemello malvagio Lord Velvet, avrebbe potuto cambiare le sorti di tutti i mondi, compreso il nostro. Purtroppo però accade l’inevitabile. Rupert tradisce i suoi compagni perché succube delle tenebre e servo dell’oscuro signore. Ruba il libro ritrovato da Zoe Alexandra, una ragazza la cui identità e il cui passato non sono stati ancora svelati. E così modifica il destino affinché Lord Velvet possa liberarsi dalla prigionia nella torre nera delle terre del nord, e lo brucia impedendo a chiunque di ripristinare il corretto corso del destino dei mondi. Sfortunatamente però, Rupert, porta a termine la sua missione ma omette una cosa fondamentale. Zak Elliot! Zak, nonostante le avversità incontrate sul suo percorso, il gigantoragno Araknea, il labirinto del tempo e altro ancora, scopre il suo nascosto coraggio e, con l’aiuto delle sue nuove amicizie ritrova la sua famiglia e a scoprire che anch’egli fa parte di quel mondo fin dalla nascita. E infine riesce a sconfiggere il suo cattivo fratellino. Ma questo non sarebbe bastato. Solo una battaglia era stata vinta poiché una guerra ancor più insidiosa era alla porte delle terre magiche di Aldimondo. Così Zak, e il suo amico Vince Von Bleer, nano guerriero di Bassobosco, riparte alla volta di una nuova avventura. E adesso?l’autore
«Sono nato nella città di Bari, alle nove e cinquanta circa, in un mattino di trentasette anni fa. Ho iniziato a dilettarmi nella scrittura quando ho cominciato a frequentare l’accademia di arti drammatiche nella città eterna (Roma). I miei racconti già allora promettevano qualcosa di diverso. Mi piace spaziare fra i generi e creare sempre qualcosa di unico e nuovo. Il mio obiettivo è stupire! Ho già pubblicato altri racconti (vedi Ho Formattato il Fisco e Bari Noir) ma con “Le Cronache di Aldimondo”, per me e per tutti voi, si aprono una serie di nuove ed avvincenti avventure. Attualmente lavoro come informatico. In quanto ai miei gusti, amo la musica, il cinema e viaggiare. Sono un accanito fan di Dylan Dog, colleziono Trolls Norvegesi. Leggo spesso, soprattutto racconti e romanzi di autori sconosciuti, che, a mio parere, a volte sono di gran lunga migliori di quelli dei “grandi”.»