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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Cavie – C. Palahniuk

Postato da Legione il 8 Marzo 2013

http://annessieconnessi.net/cavie-c-palahniuk/

Prendi un gruppo di aspiranti (e sedicenti) scrittori e chiudili in un ex cinema per tre mesi. Dai loro riscaldamento, acqua e cibo liofilizzato in abbondanza, una camera piccola ma decorosa per ciascuno, lavatrice e toilette funzionanti. Rinchiudili privandoli di stimoli esterni abbastanza a lungo e vedrai come l’istinto dell’uomo verrà a galla e la necessità atavica del dramma prenderà il sopravvento.

Questo “romanzo di storie” di Chuck Palahniuk, Cavie, viene considerato dai più un libro disgustoso. Beh, è impossibile argomentare contro questa asserzione: è vero, quello che viene narrato in queste pagine va ben oltre ciò che una persona grossomodo mentalmente equilibrata potrebbe mai immaginare, anche cercando di immaginare il peggio.
Ho letto romanzi horror che descrivono con dovizia di dettagli le peggiori crudeltà, eppure questo romanzo è riuscito ad alzare di qualche tacca la mia personale soglia di sopportazione allo schifo.
Non è però il disgusto fine a sè stesso l’oggetto di questo romanzo, anzi. A ben vedere, potrei chiedermi come mai io sia riuscita ad arrivare al fondo delle 400 e più pagine senza nemmeno un filo di nausea, nonostante tutto.
Al solito Palahniuk ci getta in un tunnel (o in un cinema) e ci racconta delle storie alienanti, che sembrano troppo assurde per non essere vere, e al di sotto della superficie (un po’ viscida a causa del grasso disciolto) si intravede un disegno, un messaggio, grande e unico, un modo di vedere la realtà che una volta conosciuto non si può smettere di vederlo ancora e ancora, ovunque.
L’autore tratta fin dal suo Fight Club l’atavica tendenza dell’uomo all’autodistruzione, senza la quale probabilmente non avrebbe modo di vivere. Senza il dramma, il rischio della sua stessa fine, non avrebbe nemmeno senso esistere.
Un romanzo crudissimo, che somministra oscenità inaspettate come snocciolasse scene già viste a cui tutti siamo già assuefatti, e che dimostra quanto labile sia il confine tra salute e follia, morale e immorale, vittima e carnefice.
Singolarissimo il rapporto con i personaggi: il narratore è posizionato in una prima persona plurale, che colloca il lettore in una posizione centrale rispetto alle vicende, eppure, la mancanza di un “io”, fa sì che sia l’unico vero osservatore interno e super partes della storia (l’obiettivo che sta dietro l’obiettivo che sta dietro l’obiettivo).

Un romanzo consigliato solo ai lettori dallo stomaco forte e non troppo impressionabili: il rischio è quello di lasciarsi sopraffarre dal senso di disgusto di superficie senza poter apprezzare il contenuto e il messaggio.

Recensione scritta da Sayu

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Ilium: l’assedio – D. Simmons

Postato da Legione il 18 Ottobre 2012



«Leggi i sonetti?» chiese Orphu.
Mahnmut chiuse il libro. «Come lo sapevi? Sei diventato telepatico, dopo aver perso gli occhi?»
«Non ancora» rise il moravec di Io. Era legato sul ponte a dieci metri da Mahnmut seduto a prua. «Alcuni tuoi silenzi sono più letterari di altri, ecco tutto.»

La fantascienza probabilmente è uno dei generi letterari più versatili. Esistono correnti, filoni, nicchie e anfratti, che si distinguono per gli elementi che contraddistinguono il mondo che l’autore plasma con le sue storie. Sono esistiti ed esistono autori che tracciano la strada, e tanti altri che più o meno efficacemente la seguono.
Dan Simmons si è sempre distinto per la sua ecletticità, fin dalla sua stessa definizione trasversale di scrittore di fantascienza, contaminato da mille generi ed influenze diverse. Dopo aver letto anni fa lo strepitoso ciclo de I canti di Hyperion, abbiamo capito di essere di fronte a un autore davvero eccezionale. Ma di certo nulla poteva prepararci a questo romanzo, Ilium.
Ilium si colloca un migliaio di anni circa dopo fine della vita sul pianeta Terra così come noi la conosciamo. Esseri senzienti dalle caratteristiche più bizzarre l’hanno ripopolata, altri hanno colonizzato alcune lune di Giove e Marte di certo non è più il pianeta rosso che conosciamo.
E proprio su Marte, un professore di storia antica dell’Indiana dei nostri tempi è stato ricostruito e portato in vita per essere testimone della nuova (o vecchia o forse mai esistita prima e solo profetizzata) guerra di Troia raccontata nell’Iliade.
Come questo si unisca alla matematica quantistica, i viaggi spaziali, i dinosauri, il teletrasporto, Shakespeare e Proust… ci scuserete, ma lo lasciamo alla lettura del romanzo.

Anche in questa occasione possiamo vedere come Simmons sia un autore dalla cultura enciclopedica: passa dall’analisi dei sonetti di Shakespeare ai dettagli dell’Iliade, dalla fantascienza spaziale classica alla geografia marziana con una disinvoltura e una chiarezza tale che solo chi è profondamente padrone della materia può fare.
E’ peraltro riuscito a rendere interessante (affascinante, per meglio dire) uno dei mostri letterari per antonomasia, l’Iliade appunto, scendendo nei dettagli e animando di vita questi personaggi mitologici, rendendo umane anche le divinità stesse. Da figure astratte e caricature dell’eroe classico per eccellenza, l’autore li ha trasformati in persone reali, almeno quanto gli attori hollywoodiani.

Come sempre succede di fronte a questi esempi di letteratura di grande qualità, gli spunti di riflessione sono tantissimi: ad esempio si trova più umanità e sensibilità nei moravec, esseri meccanici parzialmente organici studiati per lavorare in condizioni estreme, che non nei nuovi umani, versioni modificate degli umani vecchio stile la cui sola occupazione è lo svago senza pensieri, che popolano la Terra come fosse un enorme parco giochi.
Insomma, un romanzo di assoluto interesse (e di grande divertimento: come tutte le persone dalla manifesta intelligenza, Simmons ha un senso dello humor deliziosamente caustico e non vi indugia mai oltre il necessario) per tutti gli amanti del genere, per chi ha voglia di stupirsi davanti ad un romanzo del quale difficilmente troverà pari altrove.

Note per chi desiderasse leggere questo libro: l’opera originale di Dan Simmons, Ilium, consta di un solo volume. Nell’edizione Mondadori italiana, invece, il volume è stato diviso in due parti distinte: L’Assedio
e La Rivolta.
Di conseguenza il primo volume non è affatto conclusivo.
Per completare il ciclo, è da segnalare il romanzo successivo a Ilium, Olympos, anch’esso diviso da Mondadori in due volumi: La guerra degli immortali e L’attacco dei Voynix.

Il canto della rivolta – S. Collins

Postato da Legione il 8 Ottobre 2012

In questo ultimo capitolo della saga best seller di Suzanne Collins, Il canto della rivolta, arriviamo finalmente all’epilogo di tutte le travagliatissime vicende di Katniss e per estensione di tutti i cittadini di Panem.

Definire denso questo romanzo sarebbe un eufemismo, probabilmente solo I doni della morte, conclusione della saga di Harry Potter, può reggere il confronto sulla quantità di eventi (sebbene, in quest’ultimo caso, il risultato sia stato molto più scarso e meno soddisfacente).
Diciamolo, la Collins ci è andata giù pesante.
Abbiamo perso il conto di quante volte Katniss ha rischiato la vita, in una varietà di modi differenti, entrando ed uscendo dai fumi degli psicofarmaci e dei sedativi.
Le perdite di vite sono ingentissime, nel procedere di questa guerra contro Capitol City, ma sembra che ci sia una guerra molto meno chiara in corso, una lotta interiore sulla posizione da assumere nei confronti delle due fazioni e di coloro che stanno in mezzo: la gente comune.
Ed è infatti di questo che parla principalmente il romanzo, del fatto che, che si sia governativi o ribelli, le figure che hanno presa sul popolo vengono trattate come pedine, fantocci strumentalizzati, spesso senza nemmeno essere messi a parte dei progetti che li riguardano.

Leggere la saga The Hunger Games ci ha ricordato all’improvviso un altro romanzo che abbiamo tanto apprezzato, Unwind di Neal Shusterman. Entrambi descrivono un futuro distopico nel quale le nostre attuali grettezze vengono portate all’esasperazione, nel quale un governo dal pugno assurdamente troppo duro e amorale si arroga diritti di vita e di morte sugli innocenti e gli inermi. In entrambi si assiste al cambiamento, alla sovversione, che parte dal basso.

Il canto della rivolta racconta la discesa negli incubi peggiori, in uno scenario ancora più orrendo delle arene dei giochi: un’arena viva, vera, combattuta strada per strada. E dopo l’inferno, la lenta risalita, attraverso il recupero delle cose semplici, il ritrovamento a piccoli passi dell’equilibrio mentale, la voglia di provare a pensare ad un futuro senza gli Hunger Games che per decenni sono stati lo strumento del governo per tenere al guinzaglio una nazione tramite il terrore.

Questa saga è lontana dalla perfezione, sia stilistica che contenutistica, ma la sua forza è evidente. Cattura il lettore, lo lega a Katniss e alle sue vicende anche quando magari non risulta proprio simpatica, veniamo strapazzati e sorpresi dalle decine di colpi di scena che si susseguono per tutto il romanzo, per arrivare al finale, che a modo suo è un happy end, l’unico possibile viste le circostanze. Katniss fa una sola scelta, di salvaguardia e di conservazione, che alla fine si rivela la più giusta. Tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto, anche malgrado le sue azioni dettate dall’impulsività.

Una saga che consigliamo, in particolare ai giovani adulti appassionati di distopie e fantapolitica che amano leggere qualcosa che lasci loro dei pensieri da rimuginare ed un mondo, ancorchè crudo, affascinante e ricco di dettagli che lo rendono vivo e molto, troppo, vicino a noi.

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La ragazza di fuoco – S. Collins

Postato da Legione il 4 Ottobre 2012

Katniss e Peeta sono riusciti a farla franca, nei 74esimi Hunger Games di Panem, vincendo i giochi per la prima volta in due. Ma questa vittoria non li mette al sicuro da Capitol City, anzi. La vittoria è stato un affronto al presidente Snow e al sistema, perchè i due giovani hanno piegato a loro favore le regole del gioco salvandosi la vita.
E non solo: l’intelligenza istintuale dettata dalla disperazione di Katniss è stata un esempio di autodeterminazione che ha innescato qualcosa di grosso e ingestibile all’interno dei distretti.
Così, mentre la coppia affronta il Tour della Vittoria in preparazione ai 75esimi Hunger Games, qualcosa inizia a muoversi, qualcosa che non può essere nascosto o soffocato nel silenzio. Ma questo è l’anno dell’Edizione della Memoria: i giochi speciali che cadono ogni venticinque anni, e l’occasione per Capitol City è troppo ghiotta per essere trascurata.

La ragazza di fuoco, secondo romanzo della trilogia Hunger Games di Suzanne Collins (titolo originale Catching Fire), parte piuttosto sottotono. Per almeno metà romanzo (che, diamine! è troppo breve!) l’autrice si dilunga nel raccontarci come la vita di Katniss è cambiata al suo rientro dai giochi. E non solo la sua, ma dell’intero distretto: sembra che la sorveglianza si sia fatta molto più serrata e che, soprattutto, qualcosa inizi a covare sotto la cenere. Approfondiamo anche il rapporto duale della ragazza con Peeta, suo compagno nei giochi, che recita con lei la parte degli innamorati sventurati del distretto 12 e che probabilmente ha salvato loro la vita da morte certa per mano diretta della capitale; e Gale, il suo storico compagno del cuore.
Ma tutto cambia quando viene annunciata l’Edizione della Memoria, e da quel momento l’attenzione viene focalizzata nuovamente sui giochi e sulle imperscrutabili trame della capitale. Ma questa volta non saranno solo gli Strateghi a far andare le cellule grigie…

Non c’è che dire, la storia della trilogia è appassionante e regge bene anche sulla lunghezza. Lo stile asciutto in combinazione con la strettissima prima persona su Katniss rende la lettura scorrevole (forse pure troppo) da incatenare il lettore alla pagina. Una slavina inarrestabile di eventi ed emozioni fanno sì che da metà romanzo in poi la lettura non si possa più interrompere.
Anche in questo episodio è impossibile non lasciarsi andare a qualche riflessione, sia di carattere politico (in fondo la situazione di Panem è così inverosimile?) che sociologico. La Collins dimostra una immaginazione spietata incredibile, non solo nella realizzazione della nuova arena di gioco ma anche nel definire i dettagli delle vittorie dei giochi precedenti, ad esempio, e nel delineare il nuovo regime di polizia nei distretti.

La Collins coglie qualcosa, dentro di noi, attraverso i suoi romanzi, qualcosa di atavico e animale che abita in noi tutti, giocandoci, e attraverso questa intrappolandoci nel suo mondo perverso.
Ci sarebbe tanto da riflettere sui simbolismi che permeano i romanzi, molto da dire sull’aderenza di certe sfumature alla vita reale e alle umane debolezze. Non possiamo dire che questo romanzo sia oggettivamente perfetto (per Hunger Games siamo stati un po’ fuorviati dalla visione del film, lo ammettiamo) ma è quel tipo di opera che evoca nel lettore qualcosa che va oltre la sola parola scritta. Non un capolavoro indiscutibile, ma efficacissimo nelle sue imperfezioni.

Per chi ha intrapreso la lettura di Hunger Games e ne è rimasto rapito, non c’è sicuramente bisogno di consigliare la lettura de La ragazza di fuoco.

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Hunger games – S. Collins

Postato da Legione il 25 Settembre 2012

Infine l’abbiamo letto. Grazie ad una gentile spintarella di un gruppo di amici dello Staff, abbiamo finalmente messo le nostre piccole manine avide (ma pulite) sull’intera trilogia cartacea e profumata di Suzanne Collins, Hunger Games.
Dopo aver visto il film ed esserci disgustosamente entusiasmati alla storia, abbiamo bramato leggere questa controversa opera. Controversa perchè, come abbiamo detto altrove, è stata più volte tacciata di essere plagio dell’opera nipponica Battle Royale. Abbiamo sufficientemente argomentato altrove (sempre nella recensione del film), e confermiamo tutto riga per riga anche per il romanzo.

Il romanzo. Parliamone dunque.

Noi, che non amiamo nemmeno leggere le quarte di copertina per non trovarci con qualche pregiudizio, siamo tendenzialmente contrari alla visione del film prima della lettura del romanzo. Purtroppo in questo caso non abbiamo potuto fare come avremmo voluto. Ma al termine della lettura, possiamo dire che sì, il film spoilera l’intera trama, togliendo gran parte della tensione (che di fatto è il punto di forza del romanzo) ma non lo uccide del tutto.
Romanzo e film possono essere considerate opere complementari.
Il romanzo, scritto in prima persona strettissima nella testa della protagonista Katniss, e al tempo presente, ha delle limitazioni oggettive facilmente intuibili che non potevano essere trasposte con efficacia nel film. Di contro, quindi, il film permette di arricchire sensibilmente la trama già più che nutrita, approfondendo ad esempio il contesto sociale di Panem e degli Hunger Games, che nel romanzo rimangono piuttosto sottointese.

Il lettore è collocato stabilmente nella testa di Katniss, vede quello che vede lei, soffre con lei i morsi della fame, della paura, della violenta sensazione di impotenza, osserva i suoi pensieri e i suoi ricordi. Hunger Games è un romanzo che ti porta via dalla tua poltrona e ti getta in mezzo alla mischia nell’arena, flaccido e sprovveduto come solo un cittadino benestante può essere in mezzo alla natura selvaggia, protetto solo dall’arco di questa minuta cacciatrice, fortemente determinata a vincere e portare a casa la pelle, ma senza perdere il lume della ragione, l’equilibrio, senza diventare crudele in nome dello spettacolo, senza perdere la propria identità.
A differenza di ciò che il film lascia più volte sottointendere, nel rapporto tra lei e Peeta non c’è poi tutta questa freddezza. Katniss non riesce a comprendere fino a che punto Peeta finga di essere innamorato di lei per intercettare il favore di pubblico e sponsor, ma al contempo lei stessa è meno padrona dei suoi sentimenti quanto il suo alter ego cinematografico lascia più volte intendere.
Ne risulta una Katniss molto più cruenta e determinata, in alcuni frangenti, rimanendo in altri molto più fragile e confusa, molto più simile ad una sedicenne qualunque.
L’autrice è stata indubbiamente abile nello scrivere una storia semplice, ricca di causa/effetto logici e lineari, lasciando trasparire la naturale angoscia della situazione, senza ricami stilistici di pathos o ricercatezza del linguaggio (in questo la Collins è molto scarna e diretta, rappresentando perfettamente la voce interiore di una Katniss senza fronzoli). Vengono gettate le basi, le note di avvio, di un mondo distopico morboso e dittatoriale. Il resto viene colmato dalla nostra immaginazione, coinvolgendoci, facendoci porre delle domande, a volte togliendoci il sonno.

Se non si è capito fin qui: lettura fortemente consigliata. Magari non molto adatta ai facilmente impressionabili.

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