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Un gioco da ragazze – Diretto da M. Rovere
Abbiamo guardato questo film che abbiamo scovato non si sa bene dove nei meandri della rete. Ci ha incuriosito la locandina, ma anche il fatto che trattasse del tema (usurato?) del disagio giovanile e del bullismo al femminile e fosse al contempo vietato ai minori di 14 anni (ma per un certo periodo fu vietato ai minori). Ci siamo lasciati incuriosire da questo lungometraggio praticamente sconosciuto italiano, adattamento dell’omonimo romanzo di Andrea Cotti, anche se con un filino di supponenza.
Il film narra le vicende di tre ragazze, bellissime e di ottima famiglia, dagli atteggiamenti da “bulle” di scuola, dure, fredde e senza cuore, mangiauomini e sempre arrabbiate col mondo. Il fragile regno delle tre regine vacilla all’arrivo di un giovane professore di italiano, semplice e diretto, che non ha paura di loro, specialmente della boss delle tre, l’ape regina, che resta profondamente scossa da questa resistenza dell’uomo e la prende terribilmente sul personale, fino all’impensabile epilogo.
Come detto, eravamo scettici. Non è certo il primo nè sarà l’ultimo film che si dedicherà a questo tipo di argomento, cercando di trasmettere il messaggio critico nei confronti della gioventù bruciata da vita notturna, alcool, sesso e droghe, ma sempre ricalcando il clichè educativo ed immancabilmente fallendo.
Questo film, almeno da quel punto di vista, ci ha stupiti. La storia è malata ma non forzata, terribilmente verosimile, l’impostazione è più ritrattistica che educativa e moralistica. Abbiamo apprezzato molto il cast: Filippo Nigro è ottimo nei panni del professore equilibrato almeno quanto Chiara Chiti è una cupa e terribile ape regina, probabilmente il miglior sguardo truce del cinema contemporaneo italiano.
E, lì dove ci aspettavamo il crollo, abbiamo ricevuto una sorpresa: il finale. Aspettandoci infine la redenzione delle bad girls e quindi una ricaduta nella banalità, troviamo invece un epilogo che raggiunge le vette dell’impensabile.
Un film indubbiamente curato, con un’impostazione non banale, un cast adatto, un ritratto sociale forse estremo ma che richiama terribilmente le cronache degli ultimi anni.
Il curioso caso di Benjamin Button – diretto da D. Fincher
Sebbene non avessimo mai letto la novella di F. S. Fitzgerald dal quale è tratto, abbiamo visto con estremo interesse questo film che, all’uscita, aveva destato molto scalpore sia nei cinema che nella critica.
In breve, si narra la storia di un bambino, Benjamin, che nasce vecchio e col passare degli anni ringiovanisce sempre di più. Nella sua vita singolare, incontra una ragazzina che poi diventa una bellissima donna, della quale si innamora. A causa della sua condizione però, possono amarsi davvero solo per un breve periodo, quando le età dei due si trovano a combaciare.
Conoscevamo a grandi linee la trama di questa storia che di fatto costituisce uno dei capisaldi della letteratura di fantascienza. Eravamo perciò curiosi di vedere il risultato visivo di quest’opera.
Sconfinare nel grottesco e nell’inverosimile era una questione da poco, sarebbe bastata una sola scelta sbagliata per rovinare tutta la storia. Invece dobbiamo dire che l’effetto risultante è stato molto equilibrato e piacevole. Brad Pitt nella parte è stato ottimo, sotto le protesi ed i trucchi degli effetti speciali è stato in grado di trasmettere la vera età di Benjamin attraverso gli occhi e la profondità dello sguardo. La storia viene narrata con delicatezza, incentrando bene l’attenzione sul tempo che passa e sui modi e gli usi che cambiano, la Storia che si evolve e si modifica.
Un bel film emozionante, che ci riserva anche qualche lacrimuccia nell’inevitabile finale.
Uomini che odiano le donne – diretto da N. A. Oplev
Come avevamo annunciato mesi fa, siamo finalmente riusciti a vedere il film tratto dal primo romanzo della trilogia di Millennium, dalla compianta penna di Stieg Larsson. Come dice il proverbio, riferendosi letteralmente al mondo editoriale, nulla, persone e libri, andrebbe mai giudicato dalla copertina. Invece noi ci eravamo lasciati trarre in inganno dalla locandina del film, che abbiamo trovato di pessimo gusto, e dalla scelta dei gli attori per le parti principali.
Come vuole l’adagio, tuttavia, siamo stati smentiti sulla lunghezza: il film è risultato piacevole, ben strutturato, addirittura una buona sintesi dei numerosi fatti che si verificano nel romanzo, arrivando ad essere un’ottima riduzione della storia.
E nonostante lo stridìo iniziale al momento di fare la conoscenza degli attori, alla fine si può dire che non siano stati frutto di scelte sbagliate, almeno non troppo.
Lisbeth, interpretata dalla giovane Noomi Rapace, nonostante venga spesso truccata da dark, cosa che nel romanzo assolutamente non è, riesce a dare bene l’impronta caratteriale di questo personaggio così complesso (senza contare il suo corpo impressionante, esattamente come quello del personaggio: asciutto, minuto, ma un fascio di muscoli. Vederle i tendini del collo in un paio di scene ci ha leggermente shockati).
Mikael e Erika (che non viene nemmeno nominata, relegandola a puro contorno, e non troviamo che sia stato un errore) sono stati scelti seguendo la precisa indicazione del romanzo, facendoli interpretare da attori di mezza età. E se alla fine Michael Nyqvist ci risulta simpatico anche se a volte un po’ poco espressivo e forse non troppo affascinante come il suo personaggio vorrebbe, nei confronti di Lene Endre viene voglia soltanto di gridare a gran voce: “Tagliati ‘sti capelli!”.
Ottima la scelta della giovane Harriet, perfettamente calzante nel personaggio dal punto di vista estetico, della quale più che altro abbiamo solo una rappresentazione: una fotografia in bianco e nero in una perfetta performance di sorriso monnalisiano. Ottimi, ma al negativo, praticamente tutti gli altri personaggi maschili (esclusi Frode ed il poliziotto, gli unici con la coscienza pulita), ed è impossibile non godere sadicamente durante l’ultimo “rendez-vous” di Lisbeth con Bjurman.
Insomma, un film che nonostante le aspettative ci ha soddisfatti, lasciandoci curiosi nei confronti delle riduzioni degli altri due romanzi, molto molto più complessi.
Il giardino delle vergini suicide – diretto da S. Coppola
Avevamo questo film nella lista di quelli da vedere da molto tempo. Siamo stati incuriositi da questo titolo per diverse ragioni. Prima tra tutte il fatto che la regista sia cotanta figlia d’arte e che certamente il suo primo film abbia attirato molta attenzione da parte del pubblico.
Secondariamente, sono stati i nomi di alcuni degli attori principali, notissimi, ad attrarci: James Woods nella parte del signor Lisbon, marito di una angosciante Kathleen Turner, (paradigma dell’asserzione artistica “Non ci sono piccole parti ma solo piccoli attori”: la parte della madre Lisbon è molto molto piccola, ma è su di essa che si impernia l’intera vicenda. L’interpretazione è risultata magistrale), Kristen Dunst nella parte di Lux, una delle sorelle fulcro della storia e un semisconosciuto Josh Hartnett nella parte del rubacuori scolastico di turno.
Il film non ha deluso le aspettative. E’ stato tratto da un romanzo di Eugenides Jeffrey del quale avevamo già sentito parlare abbastanza bene in termini piuttosto particolari.
Infatti, il film come nella narrazione del romanzo, si incentra, sì, sull’ultimo anno di vita delle cinque sorelle Lisbon, ma sempre e solo attraverso gli occhi di chi le ha conosciute, incrociando anche solo per qualche ora le loro esistenze. E’ un espediente narrativo decisamente particolare, che ben si attaglia al tema trattato: queste cinque giovanissime donne, tutte bellissime e solari, di fatto tenute sotto la campana di vetro di una madre accentratrice e di un padre perfettamente passivo.
Un gruppetto di ragazzi vicini di casa narra le loro vite in declino come in un reportage, per il quale raccolgono informazioni ed indizi in maniera quasi maniacale, asserendo continuamente quanto quelle cinque ragazze abbiano segnato la loro vita per sempre.
“Il giardino delle vergini suicide” è senza dubbio un film drammatico, ma distaccato, che espone i fatti in ordine cronologico, analizzandoli e cercando di trovare il motivo effettivo per quegli insani gesti che alla fine tutte e cinque compiono. E fa riflettere su come questa storia sia verosimile, su come è possibile che il male di vivere si celi anche dietro il sorriso più dolce di una fanciulla nel fiore della giovinezza.
Moonacre, i segreti dell’ultima luna – diretto da G. Csupo
Abbiamo visto questo film dopo averne sentito parlare per 30 secondi nel relativo trailer, qualche mesetto fa. Veniva precisato che era il film tratto dal romanzo “che ha ispirato Harry Potter”, così, oltre ad aver messo in wishlist il libro relativo (The Little White Horse di Elizabeth Goudge, opera divenuta fondamentale per generazioni di adolescenti dalla pubblicazione nel 1946 e che ci siamo appena procurati), ci siamo impegnati a ritagliare qualche ora per vedere il film.
Ecco, se una cosa è certa, questo film, né la storia che viene narrata, ha alcunché a che vedere con Harry Potter. Ma proprio niente niente eh, al più l’unica attinenza è il genere, fantasy per ragazzi.
E questo è tutt’altro che un difetto.
Questo film, nonostante le aspettative non proprio entusiasmanti, ci è piaciuto sinceramente.
E’ una favola in costume, ma che potrebbe avere luogo in qualunque epoca. Non ha particolari caratteri innovativi, ma è fresco, scorrevole, appassionante.
Dallo stretto punto di vista cinematografico, abbiamo apprezzato moltissimo la notevole cura della fotografia, la scelta delle location, gli ambienti affascinanti, gli abiti assurdi ma al contempo perfettamente integrati nel contesto di favola: lunghissimi strascichi di velluto cremisi in abiti all’imperiale, l’”effetto principessa” è immediato (certo che vedere il suddetto strascico portato a spasso in giro per una foresta… Vabbè, è pur sempre una fiaba!).
E come ogni fiaba con profumo fantasy, non può non essere basata su un qualche tipo di allegoria. In questo caso è evidente il messaggio ecologista e ambientalista, nemmeno poi troppo celato, ma che non stona affatto e anzi permea tutta la storia di uno scopo ben preciso.
Molto buono il casting, la ragazzina che interpreta Maria (vista piccolissima ne “La guerra dei mondi”) ha un volto molto espressivo, incorniciato da una cascata di riccioli rosso naturale che è una caratteristica piuttosto inconsueta per le attrici in circolazione.
Gli altri personaggi vengono giustamente interpretati come estremi, clichè ben delineati, figure stilizzate e chiare nella storia: il principe azzurro dal cuore indurito per l’amore perduto, la principessa decaduta ancora prima di salire al trono, il cattivo cattivissimo (vestito di nero e dal nome De Noir), il ragazzo scapestrato ma dal cuore d’oro.
Per quest’ultimo, Robin, siamo rimasti deliziati dalla citazione, non sappiamo quanto volontaria, per la scelta della veste di scena: bombetta nera, trucco scuro attorno agli occhi e sguardo spiritato, zazzera disordinata e giubbotto aderente. All’apparire suo e della sua cricca, ci è venuta in mente “Arancia Meccanica” in versione dark (ed edulcorata, ovviamente).
Infine, una nota agli effetti speciali, di tutto rispetto. E la scena finale, quella della cavalcata di centinaia di bianchi destrieri (no spoiler, ci fermiamo qui)… varrebbe da sola tutto il film!
Insomma, bello, un bel film fantasy per ragazzi, senza dubbio il libro promette di essere molto migliore, ma siamo stati piacevolmente impressionati da questa piccola perla (guardate in film per capirla) che si inserisce in un contesto dove sempre più spesso la fanno da padrone i soli effetti speciali a discapito di una trama interessante.
Memorie di una geisha – Doppio DVD
Abbiamo trovato questo prezioso cofanetto per caso, al supermercato, alla più che modesta cifra di 9.90 €, insieme a moltissimi altri film in DVD in versione economica. L’abbiamo preso, leggendo il retro della confezione, semplice ed anonima quanto gli altri: un’edizione a due dischi, uno dei quali dedicato esclusivamente ai contenuti speciali. Non abbiamo creduto ai nostri occhi e l’abbiamo acquistato, felici di questo colpo di fortuna.
Abbiamo letto il libro omonimo, Memorie di una geisha di Arthur Golden, e l’abbiamo amato fino all’ultima riga della postfazione. Un libro superbamente scritto, credibile, verosimile, un dipinto di un’epoca esposto con sapienza mirabile, un romanzo che stupisce ad ogni parola, immergendo il lettore nella magia che una mano maschile ed occidentale è stata in grado di creare narrando le vicende della evanescente Sayuri, la geisha più acclamata del suo tempo.
Questo piccolo capolavoro narrativo, che si riferisce ad un’epoca e ad un’atmosfera che non esiste più nemmeno in Giappone, trova degno complemento nel film diretto da Rob Marshall che abbiamo piacevolmente rivisto in questo doppio DVD.
Impossibile negare, anche alla luce dei “behind the scenes” dei contenuti extra, che questo film sia altrettanto frutto di grande lavoro e ricerca da parte dell’intera macchina cinematografica che sta alle sue spalle.
Pregevole in ogni suo aspetto, dalla cura delle coreografie alla realizzazione di ciascun bellissimo kimono, dal training delle attrici nelle movenze e negli atteggiamenti da perfetta geisha alla realizzazione dell’intera hanamachi (il quartiere di Kyoto) dove si svolge tutta la vicenda.
Ottima scelta di quasi tutte le attrici: la Hatsumomo di Gong Li ammalia con la sua terribile ed arrogante bellezza; Mameha con il volto di Michelle Yeoh assume la sfumatura fredda e distante, imperturbabile, rinchiusa nella grande solitudine della geisha perfetta; l’unica pecca la riscontriamo in alcuni aspetti della scelta della protagonista. La Sayuri di Golden è una giovane donna vittima dello scorrere degli eventi (come dice lei stessa più volte), che trova l’unico motivo della sua esistenza grama nel cercare di avvicinarsi il più possibile all’uomo che l’ha affascinata quando era una giovane serva senza arte né parte. Una giovane donna che, in rappresentanza della categoria, appare come un’eterea, aggraziata opera d’arte in movimento, che sembra soggiacere solo a ciò che l’intrattenimento richiede, ma che in realtà brucia di frustrazione e di emozioni impetuose che mai, per nessuna ragione, potrebbe lasciar trapelare.
La Sayuri del film è stata indubbiamente scelta in modo impeccabile dal punto di vista estetico: il suo volto dalle delicatissime proporzioni risulta aggraziato e sinceramente affascinante incorniciato dalle complicate acconciature da maiko, ma nelle scene di dialogo l’abbiamo trovata piuttosto povera di mordente e di spessore caratteriale (abbiamo guardato il film in lingua originale). Il risultato è appunto una Sayuri bellissima ma con poco carattere.
In conclusione, alcune parole sui contenuti extra: se avete amato il libro ed apprezzato il film, il secondo DVD vi metterà l’acquolina in bocca, per prolungare ancora un po’ la meravigliosa sensazione di essere immersi in un mondo incantato fatto si sete, di elaborate acconciature e di autentiche armi di una seduzione che non esiste più.
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