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Demetrio dai capelli verdi – M. Mazzanti
Abbiamo affrontato la lettura di questo libro, Demetrio dai capelli verdi di Marco Mazzanti, come usiamo fare di solito con i fantasy italiani. Senza scetticismo nè opinioni per partito preso, ci siamo aggirati per le sue pagine (283 in una buona edizione, stampate con un carattere un po’ troppo grande per i nostri gusti) con gli occhi bene aperti e la volontà, anzi il desiderio, di lasciarci stupire ed affascinare.
Dopo un po’ di pagine però, la prima cosa che salta all’occhio è che questo in realtà non ha niente a che vedere con il genere fantasy. L’unico elemento “weird” è costituito dal protagonista che, appunto, ha i capelli verdi ed alcune curiose caratteristiche fisiche che lo rendono particolare ed affascinante. Per il resto, la storia è ambientata in un uno pseudo est Europa, con alcune differenze dalla geografia attuale, e in un’epoca attorno alla seconda metà del 1800.
La trama si può sintetizzare in poche parole: Demetrio è un giovane che appare molto diverso dagli altri e per questo si sente infelice ed emarginato e cerca di trovare indizi sul proprio passato per riuscire a ritagliare il suo spazio nel mondo.
La trama alla lettura risulta debole e talvolta incongruente: non ci sono eventi di particolare rilievo, e quando questi accadono, lo stile non li mette in risalto, arrivando a farli disperdere nel tessuto narrativo e ben presto anche nella memoria del lettore.
Infatti, quello che nella quarta di copertina viene definito “stile maturo”, in realtà si concretizza in un uso un po’ eccessivo di paroloni e costruzioni grammaticali ardite e pompose, che nulla hanno a che vedere con l’effettiva necessità del contesto narrato.
Il punto di vista della terza persona, poi, non aiuta a immedesimarsi nella storia: la voce fuori campo è sempre molto presente, le scene effettivamente mostrate sono poche e spesso impoverite da dialoghi piuttosto deludenti.
I personaggi risultano stereotipati, improntati alla visione narrativa tipica del romanzo ottocentesco: spesso ci si domanda il perchè di certe reazioni immotivate, come alcune lamentose crisi di pianto o di panico, che stridono con l’immagine appena costruita o con le azioni appena portate a termine.
In generale poi, si possono ancora ascrivere alcune pecche che non fanno altro che smorzare il potere di affascinare il lettore: la prefazione, ad esempio, che oltre a non dare alcun contributo alla storia, stronca la forza fondamentale dell’incipit, quella di catturare il lettore gettandolo in mezzo alla mischia (noi siamo sempre molto contrari all’uso di addizioni prima del testo, in questo caso più che mai). Inoltre, l’intera costruzione del romanzo, che dovrebbe essere orientato ad un target di Young Adult, di fatto lo allontana dal suo pubblico. Rifarsi ad uno stile classico è apprezzabile, ma forse non molto avvincente per i giovani lettori moderni abituati a sbranare tomi fantasy di centinaia di pagine dense di fatti.
Infine, quello che secondo noi costituisce sempre il neo più grave e la negligenza più importante nei confronti del lettore: questo romanzo non finisce. E non lasciando la scappatoia aperta per spianare la strada ad un secondo volume (che potrebbe esserci come no, non lo sappiamo e da nessuna parte sul libro questo viene precisato) ma chiudendo con l’equivalente del “verso nuove e mirabolanti avventure”, senza risolvere nessun quesito aperto nella narrazione e senza di fatto dare la certezza che qualcosa dovrà ancora succedere.
In conclusione, Mazzanti anche in virtù della sua giovane età, ha dimostrato di avere la giusta immedesimazione ed il trasporto per scrivere (è il suo terzo romanzo), ma al contempo mostra il fianco ad una necessità di maturare significativa, sia dal punto di vista stilistico che creativo e narrativo. Gli auguriamo sinceramente in bocca al lupo per le sue fatiche future.
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Scheda: Demetrio dai capelli verdi – M. Mazzanti
“La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati. La nostra paura più profonda, è di essere potenti oltre ogni limite. E’ la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più”. Attraverso queste parole, Nelson Mandela ha posto l’uomo, nudo dinanzi allo specchio: lo ha spogliato di ogni barriera, protezione e lo ha mostrato per quello che è.
Chi sono? E’ questa la domanda che affligge Demetrio. Egli cerca il suo posto nel mondo. Demetrio è un ragazzo “diverso” da tutti gli altri, che si vede come un mostro attraverso il riflesso degli occhi della gente, offuscati dall’ignoranza, in un mondo in cui la diversità è sinonimo di bruttezza, di inadeguatezza.
Infatti, interesse primario dell’uomo è trovare un posto nella società, che sia adeguato alle sue aspettative, che sia perfettamente legato all’ampiezza dei suoi sogni. Interesse primario dell’uomo è di essere accettato, di conformarsi agli altri per non sentirsi diverso.
La curiosità regna in questo libro che, attraverso tutta la sua forza, intesse vigorose reti, al cui centro, la verità si rende inafferrabile all’uomo per la consapevolezza del suo peso. E’ proprio questo desiderio di conoscenza che spinge Demetrio ad intraprendere un viaggio alla ricerca di se stesso; egli si armerà soltanto di desiderio di conoscenza e fiducia nel prossimo, che non sempre, come nella vita reale, lo ripagheranno.
Questo libro rappresenta il sano incontro tra realtà e mito. Questi due principi vengono magistralmente intrecciati dall’autore, senza che l’uno sovrasti l’altro. La realtà la si può riscontrare attraverso tutti quei sentimenti descritti all’interno del libro, la cui cruda e vera umanità ci spiazza. Il mito è incarnato dal protagonista stesso che, attraverso la sua particolarità, conduce efficacemente il lettore ad interrogarsi sul soprannaturale. La fusione di questi due mondi così distinti, lascia sognare persino i lettori più disincantati, perché è questo che l’autore compie, regalando un pezzo della propria fantasia: egli è un creatore di mondi paralleli nei quali tutto è possibile, in cui esiste un ragazzo dai capelli color verde che profuma di albero. L’autore quindi ci regala una delizia, che ad ogni morso ci allontana, per qualche momento, dalla nostra quotidianità; e fa ciò con grande maestria, attraverso una scrittura genuina e carismatica che travolge il lettore e lo rapisce, trasportandolo in un’altra dimensione.
Il libro rappresenta la società in cui viviamo: esistono personaggi che non vorremmo mai incontrare, ed altri che, grazie al loro amore ed al loro affetto, ci rendono migliori. Questo è uno degli insegnamenti che trae il venticinquenne Demetrio nel corso della sua vita, che lo porta a conoscere tante persone, alcune delle quali lo aiuteranno ad avvicinarsi sempre di più alla scoperta di se stesso. Conoscere se stessi è infatti la parola d’ordine di questo romanzo, il cui testo chiede di scavare dentro di noi, di non fermarci all’apparenza di coloro che ci circondano, ma di guardare nel profondo di ognuno di essi, per capire la propria storia, le proprie origini, il proprio io.
Scheda di Roberta BalzanoDEMETRIO DAI CAPELLI VERDI
Marco Mazzanti
Copertina morbida 288 Pagine
Codice ISBN: 9788895447025
Editore: Edizioni Eiffel (Caserta)
Prezzo: 14,00 €l’autore
Marco Mazzanti è nato a Roma nel 1987.
Eclettico d’indole, nutre moltissimi interessi, tra cui lo studio dell’arte contemporanea, il disegno e l’acquarello, ma le sue passioni più grandi sono la lettura e la pratica della scrittura.Gestisce un proprio blog dove intervista scrittori, editori e artisti.
Nell’altro suo spazio virtuale dove pubblica recensioni, riflessioni e poesie.Nel 2008, la casa editrice Deinotera finanzia la pubblicazione dei suoi due romanzi L’uomo che dipingeva con i coltelli e
La nave del destino-Asia. Il 2010 è l’anno d’uscita del suo terzo romanzo, Demetrio dai capelli verdi (Edizioni Eiffel).
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Scheda: Le voci di Nike – S. M. Damiani
In un’atmosfera goticheggiante fuori da ogni tempo, la principessa Nike fugge gli aguzzini del principe Nabil, nemico e traditore, inseguita da un canto – a lei familiare e alieno insieme- trasportato dal vento.
Avvolta da una spirale di incantesimi, voci e volti seducenti che sembrano emergere da un passato dimenticato, la protagonista dovrà trovare in sé il potere per salvare l’amore che le è stato violentemente sottratto da una volontà superiore.
“Sei nodi, uno per ogni senso, l’ultimo per il cuore”: l’intrecciarsi e il riflettersi della narrazione, avvinceranno il lettore con un nastro rosso sangue, lontano dai cliché del genere.Le Voci di Nike: primo movimento, allegro maestoso
Silvia MariaElena Damiani
Genere: Fantasy
editrice: Excogita
Pagine: 137
Prezzo: 11€
Codice ISBN: 978-88-96678-10-7Per maggiori informazioni: Le voci di Nike
l’autrice
Silvia Maria Elena Damiani, nata a Milano nel 1987, vive a Piacenza, dove si è laureata in Economia all’Università Cattolica. Malgrado l’istruzione scientifica ha sempre coltivato una grossa passione per le arti, cominciando dal frequentare un laboratorio teatrale al liceo, fino alla formazione di una compagnia di cortometraggi: iNonDati. Ha iniziato a scrivere per se stessa, quasi per gioco, ma infine la passione ha avuto il sopravvento, fino alla sua prima pubblicazione.
Nihal della terra del vento – L. Troisi e considerazioni sul fantasy italiano
Avremmo potuto evitare di affrontare questa lettura. E anche se proprio avessimo desiderato toglierci questa curiosità, avremmo potuto risparmiarci la recensione: la rete è piena di commenti pungenti e estremamente dettagliati sulla opera della Troisi, noi stessi ne ospitiamo già uno scritto da RM (qui la recensione). E invece no: contro ogni ragionevole logica, abbiamo letto questo famigerato volume, il primo episodio delle Cronache del Mondo Emerso: Nihal della terra del Vento.
Perchè? Perchè noi stessi più volte vi abbiamo fatto riferimento come pietra di misura (o dello scandalo) di quel gran mischione che esiste sotto il nome di Fantasy Italiano. La Troisi in quanto scrittrice, e Nihal della terra del Vento in quanto suo primo volume delle varie saghe del Mondo Emerso, hanno segnato e segnano un punto esemplificativo dello stato dell’arte di questo genere, attorno al quale lo stesso si è declinato in varie sfumature. Siamo ancora in attesa di leggere qualcosa di valore, qualcosa che sia in grado di trasmettere emozioni e suggestioni, qualcosa che sia scritto con cognizione di causa.
Per il momento non abbiamo trovato nulla del genere, certamente non nelle produzioni italiane mainstream. Questo capitolo delle Cronache non fa eccezione, sebbene, forse, riesca ad elevarsi da pantano dell’orribile soggiornando nello status di “meno peggio”.
Potremmo elencare i numerosi difetti di questo libro, ma desideriamo dare un approccio diverso. In che modo un fantasy più che mediocre potrebbe diventare indimenticabile (anche per un pubblico adulto: l’entusiasmo adolescenziale è una risorsa economica notevole ma non è particolarmente indicativo di qualità)?
Con una storia avvincente e originale, in prima battuta. Il fantasy per sua natura dovrebbe essere il genere per eccellenza che permette di lanciarsi in arditi voli di fantasia, appunto. Osare con una storia innovativa, sfaccettature mai viste, colpi di scena. Ricordiamo i libri della De Mari: magnifici scenari fantasy proprio perchè i suoi romanzi NON sono stati creati in funzione dei princìpi del fantasy, ma affondando le radici nella psicologia. Risultato: una storia avvincente, imprevedibile ed incredibilmente emozionante.
Potremmo anche citare il nostro sempre apprezzato Everlost, il cui intero concept brilla per originalità.
La Troisi bazzica in una storia che sa di minestra riscaldata, pesca un po’ da Tolkien, mette qualche brusco cambio di rotta ma non riesce mai completamente ad afferrare il lettore, che resta sempre piuttosto passivo. Arrivando al termine del libro non si ha particolare desiderio di vedere come proseguirà la vicenda.
Cos’altro occorre? Personaggi memorabili. Questo elemento probabilmente andrebbe posizionato al primo posto in ordine di importanza, in quanto, come disse l’Autore Saggio, sono i personaggi che fanno la storia, e non viceversa. L’autore conosce fino in fondo la propria creatura, conosce anche quello che non racconterà, perchè lo farà trasparire dalle sue azioni. Personaggi veri con difetti veri, vivi, pensanti.
Nihal, Sennar, Soana: tutti i personaggi presenti nel romanzo della Troisi sono identici tra loro, non hanno voce, non hanno spessore. Nihal in particolare, che dovrebbe essere la nostra eroina, viene proposta come una guerriera implacabile ma al contempo una piagnona insensata, una calamità naturale in libera uscita, con una spiccata attitudine a fare cose stupide ed immotivate, lasciandole senza contesto e senza perchè.
Cos’altro ancora? Beh, lo stile. La storia migliore del mondo, con personaggi brillanti e vividi, staranno sempre nel pozzo della mediocrità se verranno raccontati con una voce mediocre e senza stile. Non ci si improvvisa scrittori, nemmeno di fantasy, anzi: per rendere credibile la propria creatura bisogna documentarsi, perchè sono i dettagli a fare la differenza. Se si vuole incentrare un romanzo sull’aspetto del combattimento, occorre almeno sapere come sono fatte le armi, come si impugnano e si maneggiano, come si effettua un corpo a corpo. Si studiano i tempi, i ritmi, si impara la terminologia, si *osserva* e si cerca di riprodurre a parole. Se intendo creare il mio mondo basandomi su principi scientifici seppur manipolati, sarà bene essere informato su questi principi che voglio sovvertire.
Nel libro della Troisi manca tutto questo: manca la documentazione alle spalle di quello che scrive, ma manca anche lo stile evocativo in ciò per cui avrebbe gli strumenti di descrivere. La città verticale di Salazar, per esempio. Ci fa mancare completamente gli strumenti per vedere questa torre, e di fatto non la vediamo e non capiamo come sia strutturata (e il giardino al fondo della torre? Si è mai fatta un disegnino? Un giardino interno ad una torre sarebbe ben umido e poco rigoglioso per la scarsità di sole…). La narrazione è frettolosa ed accozzata, in più di 300 parine succede di tutto e di più, e al lettore mediamente interessato alla fine del libro non rimane quasi nulla nella memoria.
Insomma, probabilmente ne avrete abbastanza e di certo ne abbiamo abbastanza noi. Ci va talento per scrivere un romanzo degno di essere letto, anche per scrivere un fantasy, che ha la fama della Cenerentola dei generi letterari (basta una spada, un buono, un cattivo, un po’ di magia e il fantasy è fatto, che ci vuole?). Il problema, riteniamo, sta anche nella scarsità dei buoni esempi al momento. In mancanza di questo, ci si improvvisa (se la Mondadori ha pubblicato lei, posso farmi pubblicare qualunque cosa!)e probabilmente l’aspetto più utile è l’autocritica.
Nonostante tutto, vi consigliamo di leggere questo libro, se avete tempo da spendere, perchè tutto insegna, anche i cattivi esempi.
Eileen e il sogno di Velathri – E. S. Pietra
Questo libro, scritto dalla italiana Elena Stefania Pietra è il secondo volume che racconta le vicende della fata Eileen. Del primo volume (Eileen e il salice del tempo) purtroppo non abbiamo traccia, ma abbiamo letto Eileen e il sogno di Velathri con la mente abbastanza aperta per poter comprendere anche gli aspetti della storia che per forza di cose ci sono oscure perchè esplicate nel primo volume.
Siamo rimasti molto sorpresi da questa opera. Innanzitutto è un fantasy italiano anomalo. La prima particolarità superficiale risiede nella sua lunghezza. Se c’è un genere letterario per il quale si versano litri e litri di inchiostro è proprio il fantasy, invece questo libro è piuttosto breve, circa 170 pagine. La seconda peculiarità è certamente l’ambientazione. Parliamo di fate e di viaggi nel tempo, ma in questo romanzo ci si concentra in particolar modo sull’epoca etrusca, decisione particolarmente originale e felice, considerando le origini italiane dell’autrice e i numerosi spunti per nulla usurati su cui poter far vertere la narrazione.
Ciò premesso, come dicevamo, questo romanzo ci ha sorpresi. Negativamente.
Il potenziale per un romanzo interessante c’era tutto, a saperlo sfruttare. Purtroppo il risultato è stato un libro raffazzonato, frettoloso, scevro di qualsiasi interesse.
La narrazione è inesistente: viene presentato solo un elenco di fatti ed avvenimenti, senza enfasi, in tono piatto ed uniforme. Gli eventi si susseguono rapidamente, senza mai porre l’accento sui passaggi importanti, senza una descrizione che sia una, di nulla. Le fasi regine dei fantasy sono i processi di crescita in cui il protagonista viene educato a questa o quella disciplina, impara e l’autore fa sì che anche il lettore impari con lui, facendolo immedesimare ancora di più nel mondo fantastico che sta leggendo. In Eileen niente di tutto questo accade mai. Le notizie originali non esistono, la formazione viene liquidata in poche righe, nessun dettaglio emerge. Il lettore non viene coinvolto in nessun aspetto della narrazione. Per contro, qua e là come insidiose trappole sono collocate zone di infodump, passaggi in cui il narratore fornisce informazioni al lettore su piccolezze o dettagli insignificati che avrebbe potuto mostrare, anzichè elencare.
Non possono certo uscirne meglio i personaggi: in questo romanzo scritto con l’acqua alla gola questi simulacri di uomini e donne sono bidimensionali e senza carattere, perfetti clichè e paradigma di banalità già viste. I dialoghi sono illeggibili, ovvii e scontati ed il più delle volte inutili.
La necessità di una revisione di editing è palese, sia dal punto di vista di quanto espresso qui che da quello della prosa. Frasi brevi che rendono il tutto ancora più frettoloso, ma infarcite di ridondanze e ripetizioni. Aggettivi casuali, inspiegabili, che dovrebbero descrivere i personaggi mentre in realtà appioppano etichette ingiustificate dai fatti o dalle azioni.
La creatività e l’originalità dello spunto della storia è stato apprezzato, ma vengono entrambe segate da certi aspetti triti e ritriti, già letti ovunque (Eileen in contatto psionico con il nemico cattivissimo, ad esempio, non ci ricorda forse un certo Harry legato a doppio filo con tal Voldemort?).
Insomma, questo romanzo sembra più il Bignami di un fantasy vero, elenca una serie di fatti, racconta una serie di dettagli poco interessanti, in formato decisamente condensato, senza appassionare il lettore, senza coinvolgerlo o interessarlo. Il colmo è che questa serie di romanzi ha anche un sito web di approfondimento (http://www.eileen.it/) e quindi ci chiediamo: ma queste notizie e curiosità non potevano essere più proficuamente inserite nella narrazione? Magari il prodotto risultate sarebbe stato di qualità maggiore.
Sheda: Eileen e il sogno di Velathri – E. S. Pietra
Narra un’antica profezia che un giorno sarebbe nata una bambina dagli occhi di diverso colore che avrebbe deciso la sorte dell’eterna battaglia fra il bene e il male…
Eileen è una ragazzina apparentemente come tante. Dodici anni, scozzese, capelli rossi e ricci, lentiggini. Ma i suoi occhi sono di colore diverso l’uno dall’altro, perché è una fata, discendente da un Popolo Fatato dalle magiche abilità nonché Guardiano del Tempo. La sua vera identità le è stata tenuta nascosta per difenderla dalla perfida Nimue, che tiene in ostaggio i suoi genitori. Venuta a conoscenza del suo destino, Eileen deve decidere da che parte stare…L’autrice:
Elena Stefania Pietra, classe 1971, dopo il diploma di infermiera professionale ha conseguito la laurea in Lettere Moderne con una
tesi sul rapporto esistente tra la fiaba tradizionale e il genere fantasy contemporaneo.
Attualmente vive vicino al Lago di Garda e lavora con i bambini. È appassionata di gatti e di scrittura di racconti fantastici per
ragazzi. Per Zephyro Edizioni ha già pubblicato nel 2008 Eileen e il salice del tempo, romanzo fantasy che nel 2009 ha vinto il Premio
Valtenesi narrativa per ragazzi.
Elena Stefania Pietra
Eileen e il sogno di Velathri
Zephyro Edizioni
Pagine: 172
Euro: 15,00
L’ultimo orco – S. De Mari
Non è facile parlare di questo libro. A parte il fatto puramente tecnico per il quale abbiamo inavvertitamente letto questo romanzo che costituisce il secondo volume di una quadrilogia senza aver letto il capitolo precedente, L’ultimo elfo, questo libro contiene talmente tante cose che risulta quasi impossibile tracciarne esattamente una scheda.
Volendoci limitare alla trama, potremmo dire che L’ultimo orco è un fantasy, che narra di re decaduti e governatori malvagi, di regine coraggiose, di elfi, di spade magiche, di valore, coraggio e crudeltà. All’apparenza, alla lettura superficiale, è un fantasy come molti.
L’ultimo orco nasce dalla prolifica e ricca penna di Silvana De Mari, psicoterapeuta, della quale abbiamo letto tempo fa un bellissimo saggio sulla fantasy e sulle fiabe, Il Drago come realtà. Questo romanzo non delude, anzi. Le sue 700 e più pagine si lasciano divorare febbrilmente, una dopo l’altra, la narrazione è incalzante, la scrittura ricca ed evocativa. I personaggi sono i migliori che abbiamo letto da molto tempo: ricchi di sfaccettature, con una psicologia così complessa e vivida che è impossibile non sentirsi catturati. La trama, al contrario delle stragrande maggioranza dei fantasy è onestamente originale, ricca di colpi di scena. Il motivo di questa particolarità secondo noi risiede nell’ottica in cui il romanzo è stato scritto. In media gli scrittori di questo difficile genere puntano sulla trama e sugli effetti speciali che il contesto fantasy permette di ottenere con relativamente poco sforzo. In questo caso, la De Mari ha scritto tenendo in primo piano assoluto i personaggi e la loro profondità, le caratteristiche della personalità, le loro fragilità, la loro crescita. Le vicende quindi si dipanano in modo complesso ma fluido, naturale, come avverrebbero in una vita reale, rendendo la narrazione molto verosimile.
Inoltre, in particolare alla luce del saggio dell’autrice, L’ultimo orco è ricco di simbolismi, che toccano tematiche molto forti della vita reale, che fanno riflettere: la fame, il razzismo, il rispetto, la morte, l’onore, il dolore, l’umiliazione. Il governatore malvagio lo è oltre ogni clichè, la regina coraggiosa è anche crudele, il condottiero senza paura è marchiato da abominbevoli natali, la principessa è ridotta alla fame e agli stenti. Niente è banale e niente è per caso, pagina dopo pagina la trama si intesse di dettagli di valore per l’intera opera.
Lo stile della De Mari è fenomenale, è così deliziosamente italiano che immaginiamo impossibile rendere in un’altra lingua. Descrive con perfezione gli stati d’animo di ciascun personaggio, passando dalla voce narrante neutra al punto di vista personale di ciascuno, dando voce ai sentimenti con una naturalezza accattivante. I momenti onesta commozione si alternano in molti punti del romanzo ad attimi di delizioso sarcasmo e moti di spirito.
Insomma, provvederemo al più presto a completare la trilogia con i capitoli mancanti, ma possiamo dire che anche così, L’ultimo orco è indubbiamente uno dei migliori fantasy che abbiamo mai letto e che consigliamo con entusiasmo a tutti, giovani e meno giovani, a chiunque ami il genere (e non lasciatevi intimorire dall’autore italiano, non vi pentirete) e a chiunque desideri farsi trasportare da una storia cruda e dolce al contempo, come solo la vita stessa può essere.
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Hyperversum – C. Randall
Trama: uno strano avvenimento porta Ian, Daniel e i loro amici all’interno del mondo di Hyperversum, un videogioco estremamente realistico ambientato nel medioevo. Dopo essere scappati alle crudeltà degli Inglesi, il gruppetto si trova sempre più immerso nella scrittura della Storia così come la conoscono.
Potrei iniziare e concludere qui la mia recensione dicendo che, alla fin fine, questo libro altro non è che il solito fantasy italiano. Ma mi rendo conto che sarebbe un’imprecisione, quindi cerco di continuarla per spiegare cos’ha di buono e cosa no. Iniziamo dal cosa no: stile di scrittura, costruzione della trama e, infine, i personaggi. In realtà il libro, di per se, non è scritto male e la trama non è nemmeno tanto banale. Purtroppo, il motivo scatenante di Hyperversum viene presto dimenticato per ritornare solo casualmente durante la storia e in maniera quasi del tutto incongrua nel finale. Non mancano i momenti appassionanti e coinvolgenti, ma nel complesso si nota una cosa sola: totale incapacità di mostrare gli eventi. Anche qui, altra precisazione: la Randall è brava a descrivere abiti e castelli, ma è debolissima (no, no, è proprio indecente) quando si tratta di mostrare scene concitate o di guerra. Se alla fine del libro avremo capito benissimo quanto sia gnokka [cit.] Isabeau, non avremo capito assolutamente niente delle effettive capacità nella spada di Ian o di come si sia svolta la battaglia finale. I personaggi, poi, lasciamo perdere. Più stereotipati dello stereotipo, per chiunque sia anche solo leggermente avvezzo alla letteratura di genere: Ian è il classico eroe senza macchia e senza paura, inizialmente confuso dal mondo in cui si trova catapultato, ma capace di prenderne le redini e piegarlo al suo volere; Isabeau l’eroina che accetta il suo destino senza piegare il capo, ma che nel cuore cova un segreto (insomma) amore per il protagonista; Daniel l’amico dell’eroe, disposto a fare di tutto per l’amico, tranne abbandonarlo nella più cupa disperazione per qualche giorno e tornare, infine, con la coda tra le gambe. Gli altri, sono solamente delle sagome messe lì per riempire li spazi. Anche se ci riescono abbastanza bene, devo dirlo. Certe situazioni, poi, lasciamo perdere: credo di aver riso alle lacrime quando Daniel ha citato il Robin Hood della Disney, ma lascerò a voi il piacere di scoprire quando e come.
Ora, mi sono dimenticato cosa avevo pensato di aver visto di buono in Hyperversum!
Scherzo.
Di buono, Hyperversum ha che non è esattamente il solito fantasy italiano: il mondo non è popolato da elfi, draghi e nani, ma solo da esseri umani che cercano di seguire un certo realismo storico. Anche se all’inizio la trama si sviluppa in maniera un po’ affrettata, prosegue per una buona metà del libro senza scadere eccessivamente nel banale. Salvo poi impantanarsi nella solita, inutile commedia amorosa, necessaria solo per prolungare la tortura (ottocento pagine di libro, di cui la metà dedicata alle magagne amorose di Ian e Isabeau, le considero una tortura) della trappola nella quale la Randall, da buona italiana, non è capace di sfuggire. I personaggi poi saranno anche stereotipati, ma in più di un’occasione risultano decisamente simpatici ed è raro che siano caratterizzati come Nihal o Sennar.
Ma su tutte, una cosa di questo libro l’ho apprezzata: vale a dire che la Randall non ha cercato a tutti i costi il realismo, e questo si nota, ma soprattutto che lo ha ammesso. In coda al libro troviamo due paginette in cui lei si scusa per le imprecisioni (armi e armature, infatti, non mi sono sembrate molto credibili), ma le imputa solamente alla propria ignoranza e non ad un “beh, sui numeri non ci ho pensato troppo”. Grazie Randall, anche se forse è proprio per questo che non hai superato la Troisi nelle classifiche di vendita.
(A proposito: nel complesso, Hyperversum non mi è dispiaciuto. Non è un capolavoro, ma non è certo un libro da mettere negli abissi dello schifo più assoluto. Non ho notato grossi problemi, tranne uno stile di scrittura da migliorare e dei personaggi che effettivamente sarebbero da rivedere. Però la storia, anche se senza grandi pretese, non è male e soprattutto è più credibile di molte altre del genere, soprattutto contando che la scrittrice è italiana. Perché si, nel fantasy, essere italiani è un grosso handicap. Quindi, se non avete di meglio da fare, leggetelo. Al massimo saltate le parti di Ian e Isabeau, se anche ve ne perdete un paio la storia la capite lo stesso… ma nel frattempo vi sarete risparmiati almeno 200 pagine.)
Edito da: Giunti. Ottocento pagine, copertina rigida, dimensioni contenute e grandezza dei caratteri decente. Il tutto per 7,90€. WIN. Anche se, al solito, un po’ di editing finale non avrebbe fatto schifo.
Recensione scritta da RM