Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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Cosmopolis – D. DeLillo
La minimalità della copertina Einaudi, come sempre, è pertinente e appropriata. Cosmopolis di Don DeLillo viene sintetizzato con efficacia da questa immagine: un microcosmo in una limousine bianca, abnorme, banale nella sua lussuosità ormai conformata. In un mondo in cui le telecomunicazioni accorciano le distanze e gli imperi possono sorgere e crollare nell’arco di poche ore e solo attraverso qualche tocco su un palmare, il giovane Eric, appartenente al jet set degli influenti, riluce di carnalità e immanenza, anche grazie alle sue azioni apparentemente folli e autodistruttive.
Questo romanzo viene considerato uno dei capolavori della letteratura contemporanea, ma devo dire in tutta onestà che io non l’ho capito.
Mi sono resa conto di avere di fronte un romanzo di letturatura vera, dove niente è stato scritto a caso, dove ogni parole è stata ponderata e collocata secondo un preciso disegno. Ho compreso quello che ho letto, ovviamente, ma non sono riuscita a fare altro che scalfire l’enorme sottotesto racchiuso in questo libro e che quindi mi è rimasto precluso.
C’è un motivo per cui Eric fa quello che fa, anche se in apparenza no, così come c’è un motivo per cui Eric e i molti altri personaggi dicono quello che dicono, facendo valutazioni superficialmente circoscritte alla macrofinanza (e alle oscillazioni dello yen) e alla vita in generale. Io però non l’ho capito. Nel senso che la lettura è pervasa da quella incertezza che caratterizza testi come questi (penso ad esempio ai classici russi o, in generale ai classici di ogni tempo e luogo) di fronte al barbaglio del significato profondo celato che però, ai lettori poco colti come me, rimane celato.
Credo però che leggere questo romanzo non sia tempo perso, ma possa dare la possibilità di gettare un seme nella mente anche di chi non capisce, in attesa che si acquisisca la giusta maturità per arrivarci.
Recensione scritta da Sayu
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Accabadora – M. Murgia
Maria è nata due volte. Una volta dalla sua madre naturale, che l’ha partorita per ultima in una famiglia di sole donne e senza padre, e una volta da Bonaria Urrai, una donna rimasta vedova senza essere mai stata sposata. Bonaria cresce Maria come una figlia, colmando con questa unione i reciproci vuoti dell’esistenza.
Bonaria è però anche l’accabadora del paese, l’ultima madre, la pietosa figura che mette fine alle sofferenze di chi non riesce a lasciare il mondo dei vivi.
Con un tratto delicato ma preciso, Michela Murgia racconta una storia dal sapore antico nato in terra sarda, Accabadora.
Lo stile è misurato, ogni parola selezionata con cura, pesando con attenzione i regionalismi, la struttura delle frasi, le espressioni del discorso diretto, avvicinando il lettore al territorio e all’epoca narrata. Proprio come le genti di cui tratta, l’autrice si esprime con riserbo, lasciando poco spazio agli slanci poetici, senza tralasciarli del tutto ma facendoli trasparire nella scelta delle figure retoriche e nelle similitudini.
Un romanzo sicuramente molto noto, e a buon titolo, che disegna con maestria una storia semplice ed efficace, che lascia buoni spunti di riflessione.
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Così parlò il nano da giardino – M. Oggero
C’era una volta un’allegra colonia di gerbilli in un ameno gerbido. Un brutto giorno vennero a scoprire che nel giro di poco tempo sarebbe sorto lì accanto una terribile pensione per cani. I gerbilli affranti cercarono soccorso da Gongolo, il saggio nano da giardino, che illustrò loro l’unica soluzione possibile.
Così parlò il nano da giardino, di Margherita Oggero, altro non è che una piacevole favola, parecchio surreale come solo le favole sanno essere. E’ anche un esercizio di stile, perchè l’autrice, pur senza indugiare nell’alludere a morali o a messaggi nascosti nel sottotesto, gioca con le parole (a partire dall’esordio sui gerbilli nel gerbido), le figure retoriche, le allitterazioni, creando scene al limite della comicità e dell’assurdo.
Una velocissima e piacevole lettura, di puro intrattenimento.
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Il castello bianco – O. Pamuk
A volte ci troviamo di fronte ad opere che, principalmente per motivi culturali, ci risultano semplicemente incomprensibili. Grosso modo è quello che è successo a noi nel caso dell’opera del premio Nobel turco per la letteratura Ohran Pamuk ed il suo Il castello bianco.
Un veneziano viene catturato dai turchi e viene tenuto come prigioniero per qualche tempo, finchè non dichiara di essere esperto in medicina e in astrologia. Ben presto viene quindi trasferito alle dipendenze del Maestro, un tuttologo che orbita attorno alla residenza del Pascià locale e che si occupa di scienza, astronomia, filosofia e quant’atro. La somiglianza fisica tra i due uomini è incredibile, al limite del sopportabile per entrambi. Conviveranno per anni, l’uno fungendo da trampolino all’altro, permettendogli di sviluppare teorie strane ed ardite per compiacere il sovrano. Arriveranno a compenetrarsi talmente da non essere più in grado di distinguersi l’uno dall’altro.
L’aspetto più ostico di quest’opera probabilmente è l’assenza di una storia ben precisa. Infatti non succede mai nulla di effettivamente apprezzabile, tutto resta molto raccontato dalla voce del protagonista, il veneziano, ed è un susseguirsi di fatti che si avvicendano nella vita dei due.
Il concetto fondamentale è quello psicologico dei protagonisti e la loro continua ricerca della risposta alla domanda che si pongono: perchè io sono io? cosa differenzia me dall’altro? cosa mi salva dalla dissoluzione tra altri mille altri individui?
La narrazione si avvale della un po’ usurata finzione narrativa del testo rinvenuto a distanza di anni da un curatore che si limita a scriverne una prefazione prima di trascriverlo così come l’ha trovato. Questo fa sì che l’autore possa prendere doppiamente le distanze da ciò che racconta, avendo la giustificazione di uno stile di scrittura piuttosto pomposo, desueto e poco scorrevole.
Nel complesso quindi il lettore si trova un po’ affaticato nella lettura, a parte qualche passaggio un po’ più chiaro è quasi un’impresa arrivare al fondo di questo libro, che comunque è breve (170 pagine circa).
In conclusione vi consigliamo di leggere quest’opera solo se vi sentite abbastanza in sintonia con la letteratura esotica e particolarmente ricettivi nei confronti di metafore ed allegorie non proprio immediate.
Io non ho paura – N. Ammaniti
In una caldissima estate del Sud italia, un ragazzino di nove anni scopre un bambino in un buco. Questa in una sola frase il concept del caso letterario di qualche anno fa, Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti. Eravamo rimasti in pochi a non averlo letto, e quindi abbiamo deciso di porvi rimedio.
Siamo rimasti tutto sommato soddisfatti dalla lettura di questo breve romanzo, anche se, considerando tutto il clamore che gli si è costruito attorno all’epoca dell’uscita, l’abbiamo trovato un po’ fragile dal punto di vista stilistico.
L’io narrante infatti è rappresentato dal narratore che ricorda fatti avvenuti quando aveva nove anni, pertanto lo stile tende ad avvicinarsi al modo di esprimersi di un ragazzino delle campagne del Sud negli anni ’60, un po’ sgrammaticato, intuitivo, ricco di ragionamenti piuttosto credibili tipici di quell’età, con giochi immaginari, fantasie e paure immotivate.
A volte però l’autore, o il narratore adulto, si intrufola in questi ragionamenti con frasi e similitudini che suonano forzati per un bambino, e quindi qualche passaggio a volte risulta un po’ dissonante.
Un altro punto che ci ha fatto storcere un po’ il naso è stato, ahinoi, il finale. Ottimo il ritmo che tira la volata al pathos conclusivo, in modo serrato si segue il crescendo drammatico della vicenda… per poi finire con una specie di inciampo. Si capisce perfettamente come i fatti arrivino a conclusione, anche la modalità in cui viene espressa è piacevole, è solo che se ci fosse stata qualche riga in più probabilmente non avrebbe guastato.
Nel complesso comunque è risultato un libro piacevole, dalla trama semplice eppure ricca di sfumature, che cattura il lettore con i suoi personaggi chiari e verosimili, credibili come se fossero attori di veri ricordi d’infanzia.
Un libro e un autore che non possono mancare sugli scaffali delle nostre librerie.
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Infanticidi – T. C. Boyle
E’ particolarmente difficile recensire una raccolta di racconti, perchè in quanto tale racchiude una tale e tanta varietà di argomenti e di stili che spesso è impossibile racchiudere in poche frasi.
Di certo però, almeno nel caso di questo piccolo volume dell’autore americano T.C. Boyle, Infanticidi, ci troviamo davanti a dieci piccoli capolavori della letteratura. L’espediente del racconto permette all’autore di prendersi libertà creative ed ingegnose che risultano di difficile applicazione nell’ambito di un romanzo: la struttura infatti consente di non giustificare molti aspetti e di arrivare a finali netti e inaspettati, dei veri colpi di scena.
I racconti in Infanticidi non fanno eccezione, anzi. L’autore dimostra una capacità espressiva incredibile, una vividezza davvero rara anche nella letteratura di ampio consenso. Inoltre, nella brevità di questi stralci di vita, abbiamo dei personaggi profondi e delineati con precisione, con pochi e netti tratti inconfondibili. Da questo punto di vista, più che racconti sono dei microromanzi a cui non manca veramente nulla.
E degno di menzione è chiaramente lo stile di Boyle: moderno, cinico, ironico e disincantato, ci porta in questi mondi sui quali apre una finestra di assoluta verosimiglianza e crudezza, con le loro storie semplici e coinvolgenti come di rado succede, al punto da dover “resettare” la propria mente nel passare da un racconto all’altro, per quanto sono narrate con maestria e coinvolgimento.
Un volume assolutamente da leggere, per la qualità tecnica dell’autore, per le storie, per lo stile, per i personaggi e per ogni singola riga.
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Solar – I. McEwan
Il dottor Michael Beard è quel genere di persona che, inspiegabilmente, attira su di sè le attenzioni dell’unverso femminile, senza essere in grado di gestirle. Pur essendo un illustre premio Nobel per la fisica, non è altro che un ometto di mezza età sovrappeso, con pessimo carattere, abitudini alimentari riprovevoli ed una certa attitudine al disimpegno dai problemi e dai legami duraturi.
Questo è, in pochi tratti, l’indiscusso anti-eroe protagonista dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, Solar: nell’arco di una decina d’anni ci viene mostrato quest’uomo, lentamente alla deriva sulla barca di notorietà che lui stesso si è costruito grazie all’entusiasmo giovanile, fingere di provare interesse per argomenti che in realtà non lo toccano più davvero, occupato fino in fondo a fantasticare sulla sua ex moglie e sul suo amante. Ma le cose come sempre si evolvono, e in questo libro non mancano mai di intraprendere pieghe inaspettate: così l’egocentrico e disordinato ometto si trova a dover fronteggiare una morte accidentale, ed al contempo ricevere una mole di nozioni e di idee scientifiche veramente rivoluzionarie, delle quali si appropria con leggerezza; si trova a gestire più relazioni a distanza (non solo fisicamente ma anche affettivamente) quando in realtà non ne desidera nessuna.
Questo romanzo risulta essere il paradigma dello humor inglese portato ai massimi livelli, talmente british da essere amaramente verosimile. L’intera storia diventa quindi serissima nella sua netta parabola discendente, verso il finale in cui tutto e tutti arriveranno a chiedere il conto a quell’uomo che ha usurpato affetti e celebrità.
In romanzi come questi si cimentano con successo solo i veri grandi autori, e McEwan raccoglie e vince la sfida con se stesso. Delineando un fisico premio Nobel, non perde un colpo, mostrandoci teorie e concetti di alto livello, dimostrando ancora una volta che il principio fondamentale della vera letteratura è la documentazione e la profonda conoscenza di ciò che si scrive, senza lasciare nulla alla scelta dozzinale. Inoltre, non ha nemmeno il timore di annoiare il lettore, perchè conscio che i punti di forza della sua opera sono talmente evidenti da non poter essere deviati da qualche dissertazione accademica di contesto.
Ma il vero genio risiede nei personaggi. In 340 pagine di romanzo abbiamo una visione completa di questo uomo pieno di difetti che, per quanto possa essere un ritratto umoristico, resta credibile sempre, infantile in modo irritante, noncurante dei normali problemi e delle responsabilità che tutti possono dover affrontare.
La prosa, il ritmo della narrazione, le tempistiche delle informazioni, l’introspezione: un romanzo da leggere assolutamente, da non perdere, scritto da un indiscutibile professionista del genere.
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