Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
Stai Navigando Recensioni
Una grande e terribile bellezza – L. Bray
Abbiamo scelto di leggere questo titolo in modo assolutamente casuale, lo ammettiamo. Ci ha attirati la copertina dalle tinte scure, la casa editrice non proprio notissima (Elliot), la quarta di copertina che prometteva il ritorno del romanzo gotico e la fotografia in prima: una bellissima ragazza dai capelli rossi ripresa di spalle, racchiusa in uno stretto bustino.
Dobbiamo dire che mai immagine potrebbe essere più adatta di questa: il bustino ben rappresenta la storia di queste ragazze ottocentesche delle quali si parla nel libro, costrette sia all’interno delle stecche di balena che dalla società, dalla famiglia, dai doveri, dal decoro, dalle aspettative, per essere plasmate in creature diverse dalla loro natura di semplici adolescenti.
Il romanzo, primo capitolo di una trilogia (che cercheremo al più presto di completare, composta dai titoli “Angeli Ribelli” già edito in Italia e “The Sweet Far Thing”) introduce la protagonista di questa fiaba gotica di altri tempi, Gemma, sedicenne inglese nata e cresciuta in India, capricciosa e scontrosa e con una voglia di indipendenza e di uscire dagli schemi che mal si accordano con ciò che il dovere le imporrebbe. In seguito ad un tragicissimo evento, Gemma viene rimpatriata e spedita in una scuola preparatoria per future buone mogli, dove incontra altre giovani donne come lei, ingabbiate nel loro ruolo di perfette dame ma ancora profondamente fanciulle, piene di voglia di vivere e di trasgredire.
A condimento di questa storia tutta al femminile, la pennellata di sovrannaturale, di proibito, di sensualità, di sogno e magia, che la rendono un gradevole esempio di letteratura giovanile per ragazze (come la saga di Eragon potrebbe essere l’equivalente fantasy al maschile).
Un libro di svago, scritto in modo molto fresco e spiritoso, da leggere nell’ottica di completare la trilogia in quanto, preso di per sé, risulta piuttosto incompiuto e lascia aperte innumerevoli questioni.
Abbiamo scelto il romanzo per caso, come abbiamo detto, ma cercando brevemente in rete ci siamo accorti che Libba Bray è tutt’altro che un’illustre sconosciuta: molti sono i siti web dedicati all’autrice e alla sua creatura Gemma e dopo aver assaggiato un po’ di questo mondo di crinoline e magia, riusciamo anche a capire il perchè.
“Intervista col vampiro” e varie sui vampiri letterari
Louis, bello ed affascinante, immortale e tormentato nella sua eternità, nel suo binomio intrinseco tra vita e morte, in confitto con se stesso, racconta la sua storia, dall’inizio della sua vita vampirica fino all’incontro con il giornalista che ne raccoglie le memorie.
La sua esistenza incrocia quella di molti altri come lui, appoggiandosi e respingendosi con forza e violenza.
Un classico dell’horror di classe, la Rice per prima diventa precorritrice di un tipo di narrazione vampiresca che segna una svolta da tutto quello che era mai stato scritto in tema prima di lei. Da Stoker alla Rice si vede l’abisso narrativo e concettuale che ruota attorno a questa figura che ha attraversato i secoli affascinando e terrorizzando le generazioni. Dalla creatura mortifera e bestiale, repellente e affascinante nell’ottica dell’orrido, alla raffinata entità ricciuta che assorbe la storia dei secoli, arricchendosi di beni materiali e di sapienza, viaggiando e vivendo il proprio tempo.
Penso che sia impossibile riassumere o elencare tutti i romanzi che hanno trattato questo tema, sotto molteplici punti di vista, adducendo al vampiro questa e quella proprietà e caratteristica.
Ultimi, tra i più famosi, oltre a tutte le opere della Rice (per citare il ciclo di cui “Intervista col vampiro” fa parte: “Scelti dalle tenebre” e “La regina dei dannati”) che ha appunto scavato il solco del “vampiro attraente e raffinato”, l’ovvio ciclo della Meyer che ha scatenato l’idolatria delle giovanissime, “Twilight” e successivi (paradigma in realtà del vampiro-non-vampiro, che non ha più alcuna caratteristica della creatura Stokeriana, ma che addirittura alla luce del sole diventa più bella invece di polverizzarsi tra atroci sofferenze. In sostanza tratta una storia fantasy che racconta il Vero Amore, eterno, puro e pulito. Il fatto che si parli di vampiri diventa una questione puramente marginale), i meno noti ma sempre piacevolissimi, “Il discepolo” di Elizabeth Kostova (molto ben studiato dal punto di vista storico, ripercorrendo le origini del mito inframmezzando con una pregevolissima storia horror), il neoedito “La danza delle marionette” del nostrano Luca Buggio e del quale abbiamo scritto qui e qui (scritto due anni prima di Twilight, lega un non morto ed una mortale in un intreccio dal taglio molto cinematografico e di elevatissimo spessore nella descrizione dei personaggi, perfettamente umani, e nel messaggio di solidarietà che lo permea), e il “Lasciami entrare” di Lindqvist del quale abbiamo parlato qui.
La danza delle marionette – L. Buggio
Angus cammina nella notte. Angus è forte oltre ogni immaginazione, non si ammala mai, non invecchia, è pervaso da un fascino ultraterreno. E non è solo. I giochi di potere tra le varie fazioni dei suoi simili che si spartiscono il controllo della metropoli, rischiano di mettere in pericolo ciò che è il motivo della sua esistenza: i suoi protetti, i dimenticati, gli abbandonati, i bambini vittima di abusi e maltrattamenti. Nonchè la sua Principessa, Kerri, colei che accompagna Angus nella sua missione e ne condivide lo scopo, senza conoscere fino in fondo la natura di Angus.
Questo è un romanzo di vampiri. E’ innegabile. Ma chiuderlo in questa definizione sarebbe fargli un grave torto. Tratta di vampiri, è vero, ma non solo. Questo romanzo, dal taglio cinematografico e dalla narrazione diretta, racconta una storia complessa, mai banale, ricca di colpi di scena, di azione e di sentimenti profondi.
Con tratti rapidi e precisi l’autore ci accompagna nei sobborghi di una non ben precisata metropoli e ci porta in un mondo di solitudini, di freddo calcolo e bieco interesse, ma ci disegna anche angoli di piccola gioia, di conforto, di luce e speranza.
Angus e Kerri danzano in questo spettacolo come marionette, così come i simili di Angus, senza comprendere mai fino in fondo chi è a tenere i fili, chi è effettivamente mente e chi pedina in questo gioco perverso.
“La danza delle marionette” è effettivamente un romanzo di vampiri, ma più che altro è un romanzo che parla d’Amore e di Vita.
L’amore di Angus per i suoi protetti, l’amore di Kerri per Angus, intrappolato in una condizione di non esistenza, l’amore per i propri diletti e passatempi di coloro che si sono posti a leader dei clan vampirici, che non esitano ad annientare simili e mortali per il loro mero compiacimento.
La vita che pervade i giovani prigionieri delle loro esistenze, la vita che è in Angus in quanto capace di provare sentimenti nobili, la vita che non è più nei carnefici e nelle creature spietate che lo circondano e cercano di annientarlo.
Questo mondo e questi personaggi, così vividi e reali, opera di esordio di Luca Buggio del quale abbiamo parlato qui, a nostro avviso meritano di essere conosciuti e apprezzati, per godere delle sensazioni forti che sono in grado di suscitare, dalla suspense delle scene d’azione alle lacrime di commozione delle ultime, delicate pagine.
Lasciami entrare – J. A. Lindqvist
Oskar ha 13 anni, ed è vessato dai bulletti della scuola, picchiato e seviziato in modo crudele, umiliato ogni giorno qualunque cosa faccia. Non ha amici, occupa il suo tempo ritagliando articoli di giornale sui serial killer.
Eli ha lunghi capelli neri ed un faccino da bambola. Parla in modo strano, è molto poco pulita e vive insieme ad un uomo dall’aria disperata che lei definisce suo padre. Eli esce solo di notte e si muove agile come un gatto.
Lacke, Virginia, Jacke, i loro amici, costituiscono il gruppetto del ristorante cinese, si riuniscono a condividere alcolici e pallide speranze sul futuro.
Le loro vite si intrecciano in modi inaspettati in questo romanzo così particolare fino al lieto fine, se tale si può definire.
Questo romanzo viene catalogato come horror per i temi trattati, anche se potrebbe accostarsi meglio al genere drammatico e di formazione.
Un romanzo caratterizzato più dalla tristezza e dalla solitudine, descritte con efficacia, dei giovani protagonisti, che non alla questione horror tout court. Probabilmente evidenzia anche una realtà giovanile che si accosta molto alla verità, in particolare negli avanzati paesi del nord Europa; che tratta in modo anche piuttosto crudo e disincantato, senza censure o giri di parole, il tema sempre purtroppo attuale della pedofilia.
Un romanzo da leggere, masticando man mano le parole e le immagini, le scelte e il fato che portano i vari personaggi ad incrociare i loro cammini.
Ci ha ricordato molto “It” e “L’ombra dello scorpione“, di Stephen King, per il messaggio di crescita, per la delineazione di un mondo cupo e minaccioso, che, in questo caso, è terribilmente verosimile e nella descrizione dei personaggi, così terribilmente umani e allo stesso tempo coraggiosi, schiacciati dalle circostanze.
Un romanzo che incatena alla lettura, attimo dopo attimo sempre di più, dipanando le storie, modificando i cuori e le realtà dei protagonisti, e anche un po’ i nostri.
La ragazza che giocava con il fuoco – S. Larsson
Secondo capitolo della trilogia Millennium dello svedese prematuramente scomparso nel 2004 Stieg Larrson. Finalmente siamo riusciti a mettere le mani su questo volume di più di 700 pagine, colmi di aspettativa. Ebbene: non crediamo sia possibile fare un riassunto della trama di questa storia. E’ indiscutibilmente il romanzo poliziesco (in senso ampio) con la trama più contorta ed elaborata che ci sia mai capitato di leggere, anche di più del primo capitolo “Uomini che odiano le donne” del quale abbiamo parlato in precedenza(in progress, anche un commento al film).
Questo romanzo lega insieme argomenti che farebbero invidia al Fleming di James Bond, a profonde introspezioni e flussi di pensiero dei vari protagonisti, anche dei personaggi secondari, permettendo al lettore di compenetrarsi ottimamente nella storia e ad assistere col fiato sospeso l’evoluzione degli eventi.
Per chi ad esempio non è un divoratore di libri, o che magari legge piuttosto lentamente, questo romanzo sarà un’impresa titanica: il rischio di dimenticare passaggi e fatti avvenuti è sempre dietro l’angolo, anche se l’autore, probabilmente conscio di quanto questa trama possa essere difficile da seguire, non lesina in richiami e rimandi al passato recente della storia.
Nonostante tutto, però, questo è un libro che merita di essere letto. Dopo aver goduto del primo romanzo, il secondo è andato da sé, e certamente non è stato tempo sprecato: ottime le piccole frecciatine ironiche tra i personaggi; profonde le riflessioni che suscita riguardo, ancora, la violenza sulle donne e la difficoltà di taluni di esistere all’interno della società; stupefacenti (e a tratti inverosimili, diciamolo, la comunicazione attraverso i computer così come ci è stata presentata è vistosamente un espediente letterario) le vie di fuga, le risorse insperate e le casualità che permettono ai nostri eroi di portare a casa la pelle.
E infine, ma non per importanza, la vera protagonista di Millennium, Lisbeth Salander, che nel primo romanzo iniziava ad essere tratteggiata nella sua particolarità, in questo romanzo assume il ruolo di assoluta protagonista. Viene interessata da un certo processo di crescita, di maturazione, di presa di coscienza di sé anche grazie a coloro che nonostante tutto la circondano e le vogliono bene. Probabilmente l’apice lo raggiungeremo nel terzo capitolo della trilogia “La regina dei castelli di carte” che non vediamo l’ora di leggere.
In chiusura, ancora una nota: non so che titolo portasse in lingua originale questo romanzo, non so quanto si debba alla traduzione italiana e quanto allo scrittore. Abbiamo motivo di credere che la nostra versione ne sia l’esatta traduzione dallo svedese e così ci auguriamo. Mai titolo fu più adatto.
Duma Key – S. King
Neanche l’avessimo scelto di proposito, abbiamo appena finito di leggere “Duma Key”, uno dei più recenti romanzi, forse l’ultimo romanzo, sfornato da Il Re. E’ singolare come sia stato letto adesso, senza sospettare l’assonanza con il primo racconto di “Pochi inutili nascondigli” di Faletti, il quale assona con “La Torre Nera” di nuovo di King. E’ un curioso risonare, qua dentro…
Comunque, ennesima riprova della palese superiorità tecnica e contenutistica di King, una storia in apparenza semplice, quasi banale, estremamente lineare, ma sepolta in *tanto*: affetti, ricordi, sensazioni, amicizia, confusioni, vita vecchia e vita nuova, incubi, tratti di matita, dolori e siparietti comici, come solo Lui sa fare così bene, intrecciando tutti i fili fino ad una conclusione da fiato sospeso, in un crescendo dal quale è impossibile staccarsi prima di aver finito.
Un romanzo alla King nella versione moderna, che molto si distingue da quella antica, ricca di quello smalto di lucente e crudelissima creatività giovanile, ma che ancora sa affascinare, ti sa portare laggiù dove ci sono le cose peggiori, dove le ombre hanno messo i denti.
Ti trovo un po’ pallida – C. Fruttero
Un racconto riedito dopo diversi anni, scritto dal solo Fruttero, e una fornita appendice allo stesso che ne spiega i come e i perchè.
Questo contiene il volumetto “Ti trovo un po’ pallida”, nel complesso estremamente breve, da divorare un poco tempo.
Forse la sua brevità delude, o meglio: se si affronta questo volumetto senza la precisa consapevolezza di che cosa si andrà a leggere, è inevitabile rimanere insoddisfatti.
Il racconto è esattamente tale, un racconto, anche piuttosto breve sebbene articolato e pregevole, ansiogeno e in apparenza sconclusionato, fino alla sorpresa finale (inappellabile, oseremmo dire). Creativo, stilistico, andrebbe letto con attenzione e assaporato pian piano, cosa che non avviene, di solito, quando si apre un libro nuovo che ci interessa: ci si avventa sulle prime pagine per poi assestarsi al ritmo più adatto dopo un po’.
Qui invece il racconto termina proprio quando si sta iniziando ad apprezzare l’arrampicata sintattica, e quindi si resta spiazzati.
Segue un interessante approfondimento di backstage, proprio come lo definisce l’autore, nel quale ci dona ancora la sua capacità narrativa a tratti scanzonata e ironica.
Un libro indubbiamente per i cultori del duo Fruttero&Lucentini, che rischia però di costituire un “cattivo acquisto” per chi invece non sa cosa aspettarsi dall’opera.
Pochi inutili nascondigli (II parte)
segue da qui
“La ragazza che guardava nell’acqua”
Oh… Ecco, forse l’unico modo per descrivere appieno questo racconto è solo questo, un sospiro. Un racconto che in prima battuta ti spiazza, e non per forza in positivo, per come si propone. Scritto in prima persona, su un personaggio decisamente singolare. Gli scettici della partenza si saran ricreduti dopo qualche pagina: un racconto dolcissimo, scritto con parole semplici, come se la voce narrante fosse un bambino, e per certi versi lo è, toccante, delicato, stupendamente surreale, la storia veloce di un deux ex machina di particolare dolcezza. In contrapposizione con “Graffiti”, che è l’equivalente dello stridio delle unghie su una lavagna, questo racconto è… un languido sguardo di occhi buoni ed un naso umido e timido. Finito con le lacrime agli occhi.
“L’ospite d’onore”
Scritto magistralmente, da autore brillante quale Faletti sicuramente è, anche se cerca di camuffarlo in altre cose. Un racconto dal ritmo talmente serrato di similitudini, lazzi ironici, voli e paragoni impossibili, che regge solo per il fatto di essere breve. Così come il precedente ci aveva strappato una lacrimuccia, questo ci ha portato ben più di una volta alla risata liberatoria. Una trama non male, con il consueto finale soprannaturale e decisamente sospeso, che lascia intendere ma non del tutto chiaramente. Secondo noi questa è la prova che Faletti non dovrebbe rinnegare le sue origini brillanti: un sano giallo, poco noir con qualche pennellata di ironia e comicità, senza scadere nello sguaiato, potrebbe riportare la sua fama ai livelli che merita.
“Physique du role”
Uhm, mi verrebbe da dire classico, un racconto meta-cinematografico, una storia che diventa realtà. Non male, carina l’idea meccanica che ne sta alla base, ben delineato il personaggio principale, con una introspezione chiara fin da subito, che verte sui desideri notturni del protagonista. Molto descrittivo, molto ben evocative le immagini, anche perchè si parla di cinema. Finale negativo, o meglio, una “brutta fine”, indovinabile. Carino, ben scritto, ma niente di particolamente innovativo a confronto del resto, ben scritto e poco di più.