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Uomini che odiano le donne – S. Larsson
Su questo libro molto è già stato detto, quindi scriverne ancora potrebbe risultare ridondante. È un romanzo che sa farsi amare, nonostante alcuni ne abbiano criticato lo stile, non propriamente “di alto livello”, e la storia sia a tratti infarcita da stereotipi di vecchia data.
Premesso questo c’è però un aspetto in Uomini che odiano le donne di cui, credo, si possa ancora parlare senza cadere nel già detto. Basta leggere il titolo per capire di cosa si tratta: l’odio, la violenza che alcuni uomini provano nei confronti delle donne.
Certo, è vero che la storia parla di un serial killer, di un pazzo esaltato da se stesso e dalla sua psiche malata, quindi la violenza di costui è fine a se stessa, ma è anche vero che ogni parte del romanzo è accompagnata da dati reali che fanno venire i brividi. Ad esempio:
Parte Prima: “In Svezia il 18% delle donne al di sopra dei quindici anni è stato minacciato almeno una volta da un uomo”.
Almeno una volta. Nell’uomo c’è spesso una violenza gratuita e non giustificabile nei confronti della donna: fisica o psicologica che sia. E di questa violenza subìta che non può (e non deve) essere tollerata è simbolo Lisbeth Salander, il personaggio icona di Larsson, quello meglio riuscito, capace di ritagliarsi un ruolo da co-protagonista accanto al giornalista, “macho dal cuore tenero”, Mikael Blomkvist.
Ogni donna che si è sentita impotente di fronte a un uomo, per un’attenzione non richiesta, uno spazio violato, un rispetto negato, ha sognato di essere come Lisbeth Salander, di avere la sua stessa freddezza e lucidità per mettere in pratica non una vendetta come quella che amano gli uomini – violenta e letale – ma quella più sottilmente femminile: la tortura psicologica. Quello che hai fatto ti rimarrà marchiato addosso perché tu non lo possa più fare: questo è il potere di una donna su di un uomo, questa la vendetta di Lisbeth sul suo aguzzino.
Il merito di Larsson in questo libro non è solo quello di aver scritto un ottimo giallo-thriller dal ritmo incalzante, ma anche di aver saputo dar vita a un personaggio come Lisbeth, ovvero un personaggio che, anche a mistero scoperto, continua a stupirti e al quale finisci persino per affezionarti perché, per quanto non vorresti essere come lei, una parte di te l’ammira e spera che sia lei a vincere su tutti.
Recensione scritta da L’Imbrattacarte
Uomini che odiano le donne – diretto da N. A. Oplev
Come avevamo annunciato mesi fa, siamo finalmente riusciti a vedere il film tratto dal primo romanzo della trilogia di Millennium, dalla compianta penna di Stieg Larsson. Come dice il proverbio, riferendosi letteralmente al mondo editoriale, nulla, persone e libri, andrebbe mai giudicato dalla copertina. Invece noi ci eravamo lasciati trarre in inganno dalla locandina del film, che abbiamo trovato di pessimo gusto, e dalla scelta dei gli attori per le parti principali.
Come vuole l’adagio, tuttavia, siamo stati smentiti sulla lunghezza: il film è risultato piacevole, ben strutturato, addirittura una buona sintesi dei numerosi fatti che si verificano nel romanzo, arrivando ad essere un’ottima riduzione della storia.
E nonostante lo stridìo iniziale al momento di fare la conoscenza degli attori, alla fine si può dire che non siano stati frutto di scelte sbagliate, almeno non troppo.
Lisbeth, interpretata dalla giovane Noomi Rapace, nonostante venga spesso truccata da dark, cosa che nel romanzo assolutamente non è, riesce a dare bene l’impronta caratteriale di questo personaggio così complesso (senza contare il suo corpo impressionante, esattamente come quello del personaggio: asciutto, minuto, ma un fascio di muscoli. Vederle i tendini del collo in un paio di scene ci ha leggermente shockati).
Mikael e Erika (che non viene nemmeno nominata, relegandola a puro contorno, e non troviamo che sia stato un errore) sono stati scelti seguendo la precisa indicazione del romanzo, facendoli interpretare da attori di mezza età. E se alla fine Michael Nyqvist ci risulta simpatico anche se a volte un po’ poco espressivo e forse non troppo affascinante come il suo personaggio vorrebbe, nei confronti di Lene Endre viene voglia soltanto di gridare a gran voce: “Tagliati ‘sti capelli!”.
Ottima la scelta della giovane Harriet, perfettamente calzante nel personaggio dal punto di vista estetico, della quale più che altro abbiamo solo una rappresentazione: una fotografia in bianco e nero in una perfetta performance di sorriso monnalisiano. Ottimi, ma al negativo, praticamente tutti gli altri personaggi maschili (esclusi Frode ed il poliziotto, gli unici con la coscienza pulita), ed è impossibile non godere sadicamente durante l’ultimo “rendez-vous” di Lisbeth con Bjurman.
Insomma, un film che nonostante le aspettative ci ha soddisfatti, lasciandoci curiosi nei confronti delle riduzioni degli altri due romanzi, molto molto più complessi.