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Lei – H. R. Haggard
Due gentiluomini inglesi ed il loro domestico si recano nel cuore dell’Africa più inesplorata, alla ricerca di una leggenda, tramandata fino a loro su un coccio mantenuto integro attraverso i secoli. Dopo mille peripezie scopriranno qualcosa che va ben oltre la loro più fervida immaginazione: una donna sul filo della divinità, bellissima quanto crudele, che sembra aver trovato il segreto dell’eterna giovinezza.
Con una quarta di questo tenore, il lettore moderno probabilmente poserebbe il volume sullo scaffale polveroso della biblioteca con uno sbuffo e dirigerebbe la sua attenzione altrove.
Nella fattispecie di questo particolarissimo romanzo di Henry Rider Haggard, Lei sarebbe un vero peccato. Pur essendo un romanzo scritto nel 1880, si differenzia dagli altri pseudo horror del periodo grazie ad uno spirito moderno assolutamente imperdibile.
Spesso, come abbiamo già avuto modo di dire, i romanzi ottocenteschi di genere letti oggi raramente riescono ad emozionare per quello che narrano e per lo stile. Il senso di paura, fascino e il rapporto di attrazione/ripugnanza che sta alla base del genere horror e fantasy, è infatti molto mutato nel corso degli anni e dei secoli, e quello che un tempo poteva essere stato un caso letterario, a distanza di un paio di secoli diventa quasi una favoletta per bambini.
Lei invece riesce a mantenersi vivo (scusateci il gioco di parole) grazie all’abilità e la creatività dell’autore, che ha incentrato la sua storia su un punto che risulta trasversale a tutte le epoche. La morte infatti mantiene sempre un forte appeal sull’uomo, ed infatti Haggard sfrutta questa forza intrinseca elaborando una trama piuttosto banale ma narrandola con un’abilità evocativa degna di nota, dalla quale moltissimi autori moderno avrebbero solo da imparare.
La divina bellezza di Lei, talmente fuori da qualsiasi canone da non poter essere descritta, la sua terribile saggezza e la sua volubilità, la dualità potente dell’amore quale arma e prigione, nonchè le estatiche descrizioni delle rovine del regno decaduto di Kor, hanno segnato un solco nella letteratura di genere al punto da diventare fonte, forse anche inconsapevole, di ispirazione per tutti coloro che hanno scritto dopo di lui.
Certo, questo romanzo non è esente da difetti: i personaggi, escluso il protagonista narrante, sono piuttosto dei clichè, e la stessa Lei, per quanto i suoi dialoghi siano brillanti e verosimili, subisce a volte degli sdruccioloni aggirandosi negli stereotipi del tempo (la volubilità femminile, l’eccessivo trasporto verso l’amore, la voglia di sottomissione verso l’amato eppure la volontà di prevaricare, la vendetta e l’odio verso le altre donne che si pongono sul suo cammino). Spesso certi passaggi su quanto “selvagge” venissero considerate le popolazioni indigene africane, l’egemonia dell’uomo inglese sopra tutte le altre popolazioni e le altre culture, certe valutazioni sull’amore esclusivamente veicolato dalla sola bellezza e non già dallo spessore intellettuale o morale, suonano piuttosto ingenui e antichi. Va detto però che queste osservazioni sono piuttosto marginali in Lei, al contrario di altri esempi dell’epoca, e non ne inficiano la qualità.
Consigliamo questo libro a tutti coloro che si sentono estimatori della letteratura di genere, e che vogliono leggere qualcosa di genuinamente nuovo ed al tempo stesso dal sapore antico ed appassionante.
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