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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Pochi inutili nascondigli (II parte)

Postato da Legione il 28 Maggio 2009

segue da qui

“La ragazza che guardava nell’acqua”
Oh… Ecco, forse l’unico modo per descrivere appieno questo racconto è solo questo, un sospiro. Un racconto che in prima battuta ti spiazza, e non per forza in positivo, per come si propone. Scritto in prima persona, su un personaggio decisamente singolare. Gli scettici della partenza si saran ricreduti dopo qualche pagina: un racconto dolcissimo, scritto con parole semplici, come se la voce narrante fosse un bambino, e per certi versi lo è, toccante, delicato, stupendamente surreale, la storia veloce di un deux ex machina di particolare dolcezza. In contrapposizione con “Graffiti”, che è l’equivalente dello stridio delle unghie su una lavagna, questo racconto è… un languido sguardo di occhi buoni ed un naso umido e timido. Finito con le lacrime agli occhi.

“L’ospite d’onore”
Scritto magistralmente, da autore brillante quale Faletti sicuramente è, anche se cerca di camuffarlo in altre cose. Un racconto dal ritmo talmente serrato di similitudini, lazzi ironici, voli e paragoni impossibili, che regge solo per il fatto di essere breve. Così come il precedente ci aveva strappato una lacrimuccia, questo ci ha portato ben più di una volta alla risata liberatoria. Una trama non male, con il consueto finale soprannaturale e decisamente sospeso, che lascia intendere ma non del tutto chiaramente. Secondo noi questa è la prova che Faletti non dovrebbe rinnegare le sue origini brillanti: un sano giallo, poco noir con qualche pennellata di ironia e comicità, senza scadere nello sguaiato, potrebbe riportare la sua fama ai livelli che merita.

“Physique du role”
Uhm, mi verrebbe da dire classico, un racconto meta-cinematografico, una storia che diventa realtà. Non male, carina l’idea meccanica che ne sta alla base, ben delineato il personaggio principale, con una introspezione chiara fin da subito, che verte sui desideri notturni del protagonista. Molto descrittivo, molto ben evocative le immagini, anche perchè si parla di cinema. Finale negativo, o meglio, una “brutta fine”, indovinabile. Carino, ben scritto, ma niente di particolamente innovativo a confronto del resto, ben scritto e poco di più.

Pochi inutili nascondigli – G. Faletti

Postato da Legione il 26 Maggio 2009

Abbiamo letto “Pochi inutili nascondigli” in attesa dell’ultimo libro di Giorgio Faletti, “Io sono Dio” che speriamo di avere presto tra le mani. Per quanto noi lo stimiamo come persona e come comico, purtroppo ci siamo trovati spesso a non parlare molto bene di lui come scrittore.
Parlando di questo volume che raccoglie una serie di racconti, è evidente l’influenza Kinghiana, il tentativo di avvicinarsi al suo stile nei quali spesso il Maestro si diverte a giocare su stravaganze ancora più ardite di quelle che riserva per i suoi romanzi, risultando sempre affascinante. La similitudine però finisce qui: aprire un libro di King, come ci piace dire, è come accomodarsi nella tua vecchia poltrona preferita, dopo le prime due o tre pagine di assestamento sui cuscini, la senti avvolgerti e sostenerti caldo e comodo fino alla fine. Faletti invece, ha qualcosa che stona, non solo nei contenuti, ma proprio nella scrittura. Per carità, i moti di spirito sono sempre geniali e strappano più di un sorriso, ma la prosa a volte troppo dettagliata, forzata nel particolare che magari il lettore già ha capito di suo, rende la lettura incespicante, sebbene la ricercatezza delle frasi sia palese. Non si può dire che, nonostante i temi trattati e la cura della narrazione, sia sempre una lettura scorrevole.

“Un gomma e una matita”
Come esordio della raccolta è una toppata clamorosa, per chi almeno bazzica nell’horror/fantascienza da un po’ ed abbia letto King quel che basta per trovare in questo racconto un ricalco dei suoi lavori. Un racconto con del potenziale, ma nemmeno poi molto originale, che prende spunto (forse, chissà) da un certo personaggio (cacciato dentro a forza per salvare la trama, ammettiamolo) che appare alla fine de “La torre nera” e che risulta infine la chiave risolutiva di tutta la saga. Un racconto con pretese horror ma che secondo noi scade più nello splatter, durante il quale brilla per assenza una reale introspezione del protagonista, che cambia radicalmente carattere dopo aver scoperto le potenzialità distruttive di una gomma e una matita. L’effetto del cambiamento lo si legge negli altri personaggi e dalle sue azioni, ma la reale introspezione si riscontra solo alla fine e solo in senso sbrigativo, lasciando un po’ di sapore dubbioso in bocca. Ma nemmeno poi tanto, in fondo, solo confortati che il racconto sia finito.

“L’ultimo venerdì della signora Kliemann”
Ecco, questo racconto si discosta un po’ dal solco Kinghiano, in senso felice, sebbene mantenga una certa aura di inverosimiglianza fino alla fine (per tutto il racconto è inverosimiglianza mal riposta, mentre al termine si raggiunge l’apice del soprannaturale). Ben scritto, ben tratteggiati i personaggi, forse più incisivi quelli di sfondo che non i protagonisti, è evidente come Faletti stia parlando di posti e persone a lui noti veramente (non a caso parla di Capoliveri, vogliamo scommettere che esiste davvero un baruccio al cui tavolo siedono sempre i soliti quattro a far passare le ore?). A volte ridonda un po’ di domande nella testa del protagonista, sempre le stesse, ripresentate sempre in fogge nuove. E ammettiamolo: per tutto il racconto abbiamo pensato storcendo il naso che fosse una versione falettiana di “Weekend con il morto”, ma la scrittura sufficientemente incalzante ci ha fatto tenere duro fino alla fine, per scoprire che la realtà era meno grottesca. Ma solo di poco… Toccante il finale, o meglio, la conclusione dell’intreccio, pervaso da una certa malinconia che concede un punto di valore aggiunto a tutto il racconto.

“Graffiti”
Uhm… un racconto decisamente particolare. Ben strutturato, teso, in un crescendo di normale aberrazione umana fino alla conclusione completamente surreale. Un racconto certamente simbolico, con una morale piuttosto evidente. Ben scritto, con la delineazione di un personaggio semplicemente corrotto, nell’accezione di disfacimento, dalla sua stessa ira che nutre ed alimenta giorno per giorno e che infine lo conduce, inconsapevole, alla resa dei conti. Un personaggio da romanzo, con un finale che solo un racconto può permettersi. Se proprio si desidera trovare una pecca in questo brano è la delineazione eccessivamente perfetta della corruzione dell’anima del protagonista, che infine ottiene la sua giusta ricompensa. King ci ha spesso abituati a vedere il Male e l’evento soprannaturale, sia a ripagare le cattive condotte, come vendetta, e sia, e forse soprattutto, che piova come ennesima sfiga su persone tecnicamente normali, nè troppo buone, nè troppo cattive. Perfidamente e perfettamente in disfacimento, quindi, il protagonista, ma è davvero l’unica nota su un racconto che stupisce.

“Spugnole”
Un racconto particolare, molto racconto e poco horror fino alla fine. Evocativo, ben descrittivo, quel genere di racconto che fa domandare al lettore che cosa ci faccia in una raccolta definita come thriller. Lungo rimuginare su vari aspetti della campagna, pregevole, fino alla parte conclusiva del racconto ovvero la parte succosa, dove sta il fulcro del racconto. Ed il finale… Kinghiano anche lui, surreale all’estremo, ma chissà com’è che l’irreale di King è più verosimile che non quello uscito dalle penne di altri?

Segue qui nella seconda parte.