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Primavera in Borgogna – L. Terenzoni
Ci sono libri che anche con poche parole, riescono a coinvolgere il lettore nella narrazione. Libri che non hanno bisogno di essere ricercati o elaborati per essere interessanti. Autori che non necessitano di grandi schemi mentali per creare un intreccio accattivante. In particolare, nel genere cosiddetto “giallo”, a volte la semplicità di esposizione e di stile mette in risalto la trama ineccepibile, diventando così un esempio di gradevole letteratura.
E’ certo però, che per ottenere questi effetti positivi occorre essere dei narratori molto abili e smaliziati. Bisogna essere in grado di sapere come e quando calare le proprie carte, giocare con l’interesse del lettore, saperlo guidare esattamente dove si desidera, e poi spiazzarlo, facendogli tenere il fiato sospeso.
Questa abilità, purtroppo, manca nel libro di cui vogliamo parlarvi, Primavera in Borgogna, scritto dall’esordiente Luca Terenzoni e pubblicato dal gruppo Albatros Il Filo.
Questo volume viene presentato come un giallo ambientato nelle campagne della Borgogna, incentrato sul misterioso amministratore di un’azienda vinicola e sul suo oscuro passato.
Di fatto però questo libro non ha alcunchè di giallo, né di misterioso. La trama è molto debole e priva di mordente e di fatto il mistero non esiste. I pochi spunti di possibile interesse (la moglie dell’amministratore e il suo aspetto così dimesso; la collega dal passato triste) vengono polverizzati dal narratore onnisciente che provvede immediatamente a raccontare tutto quello che serve sapere, oppure attraverso dei monologhi inverosimili dei personaggi in questione, che senza apparente sforzo vuotano il sacco con il protagonista di ogni loro più intimo segreto.
Se la trama è scarna, la tensione è inesistente. Il protagonista si fa prendere dalle ansie sul suo datore di lavoro in modo sproporzionato rispetto ai sospetti che nutre, e la sua apprensione non si trasmette mai al lettore, che resta sempre molto in disparte rispetto alla vicenda.
L’espediente narrativo infatti è un’ irritante terza persona, una voce fuori campo, posizionata in genere sul protagonista, ma che cambia spesso imprevedibilmente prospettiva, con effetto spiazzante. Voce narrante che, disgrazia, osa anche rivolgersi direttamente al lettore, più di una volta.
I personaggi non ne escono meglio. Sono tutti completamente bidimensionali, senza volto e senza carattere, quando non sono dei perfetti clichè, come la moglie scialba dell’amministratore o lo stesso protagonista.
Lo stile è insicuro, senza una inclinazione, ricco di incertezze, farraginoso nella costruzione di periodi arzigogolati e a volte impreciso anche dal punto di vista grammaticale. Il lavoro di un buon editor avrebbe potuto quantomeno limitare questo aspetto. I dialoghi sono superficiali e artificiosi, l’uso dei punti esclamativi è inspiegabilmente frequente. Le poche informazioni in funzione dell’intreccio vengono proposte più e più volte in modo ridondante e fastidioso nel giro di una manciata di pagine, in alcuni casi vengono fornite dalla voce di due personaggi diversi e ripresi parola per parola. Non esiste una caratterizzazione del personaggio nel discorso diretto: un poliziotto ed una donna coinvolta emotivamente nella faccenda parlano esattamente allo stesso modo.
Tutto l’insieme risulta una summa di già visti e già letti, culminando in un finale degno del miglior Derrick.
In linea generale, purtroppo, non possiamo fare altro che prendere atto di aver letto opere certamente più ricche di contenuto e talento e più curate dal punto di vista stilistico e di editing, anche prodotti da scrittori esordienti.