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Il castello bianco – O. Pamuk
A volte ci troviamo di fronte ad opere che, principalmente per motivi culturali, ci risultano semplicemente incomprensibili. Grosso modo è quello che è successo a noi nel caso dell’opera del premio Nobel turco per la letteratura Ohran Pamuk ed il suo Il castello bianco.
Un veneziano viene catturato dai turchi e viene tenuto come prigioniero per qualche tempo, finchè non dichiara di essere esperto in medicina e in astrologia. Ben presto viene quindi trasferito alle dipendenze del Maestro, un tuttologo che orbita attorno alla residenza del Pascià locale e che si occupa di scienza, astronomia, filosofia e quant’atro. La somiglianza fisica tra i due uomini è incredibile, al limite del sopportabile per entrambi. Conviveranno per anni, l’uno fungendo da trampolino all’altro, permettendogli di sviluppare teorie strane ed ardite per compiacere il sovrano. Arriveranno a compenetrarsi talmente da non essere più in grado di distinguersi l’uno dall’altro.
L’aspetto più ostico di quest’opera probabilmente è l’assenza di una storia ben precisa. Infatti non succede mai nulla di effettivamente apprezzabile, tutto resta molto raccontato dalla voce del protagonista, il veneziano, ed è un susseguirsi di fatti che si avvicendano nella vita dei due.
Il concetto fondamentale è quello psicologico dei protagonisti e la loro continua ricerca della risposta alla domanda che si pongono: perchè io sono io? cosa differenzia me dall’altro? cosa mi salva dalla dissoluzione tra altri mille altri individui?
La narrazione si avvale della un po’ usurata finzione narrativa del testo rinvenuto a distanza di anni da un curatore che si limita a scriverne una prefazione prima di trascriverlo così come l’ha trovato. Questo fa sì che l’autore possa prendere doppiamente le distanze da ciò che racconta, avendo la giustificazione di uno stile di scrittura piuttosto pomposo, desueto e poco scorrevole.
Nel complesso quindi il lettore si trova un po’ affaticato nella lettura, a parte qualche passaggio un po’ più chiaro è quasi un’impresa arrivare al fondo di questo libro, che comunque è breve (170 pagine circa).
In conclusione vi consigliamo di leggere quest’opera solo se vi sentite abbastanza in sintonia con la letteratura esotica e particolarmente ricettivi nei confronti di metafore ed allegorie non proprio immediate.