Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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La versione di Barney – diretto da R. J. Lewis
Abbiamo letto e amato con un entusiasmo raro il romanzo di Mordechai Richler, ma ci siamo commossi alle lacrime (moltissime volte) davanti al piccolo capolavoro cinematografico di Richard J. Lewis.
La versione di Barney in formato audio-video è un’esperienza, come lo è anche se in modo diverso la lettura del libro.
Una trama così destrutturata, ricca di dettagli, episodi, giochi di parole, personaggi ed eventi necessitava per forza di cose una riduzione, per essere portata sullo schermo. Questo film non ne costituisce il complemento, ma una decorosa sintesi, se non per la storia (estremamente semplificata e ridotta a due soli filoni narrativi: le consorti Panofsky e la scomparsa di Boogie) almeno per la bravura degli attori, uno su tutti un Paul Giamatti che da un volto umano ed espressivo a Barney attraverso svariati decenni e mille disavventure.
Il risultato è un film sensibile, forse ancora di più del libro, nel quale la commozione cerca di stemperarsi senza riuscirci con l’ironia. Fenomenali anche gli altri attori, che sostengono con efficacia questo one-man-show senza mai perdere di mordente o annoiare, nelle oltre 2 ore di proiezione.
Un film che mantiene le promesse e raccoglie bene la sfida gettata da un libro strepitoso e difficile da gestire.
Fortemente consigliato.
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E anche il libro: La versione di Barney
La versione di Barney – M. Richler
Strano, dai toni quasi mitologici, destrutturato, incasinato, politicamente scorretto. Ma semplicemente divino.
La versione di Barney, di Mordechai Richler, è probabilmente uno dei più famosi romanzi di letteratura moderna in lingua inglese. E per di più è anche divertente.
Barney Panofsky ha vissuto un’esistenza parecchio movimentata. Ormai anziano ripercorre le sue gesta e le disavventure, in Canada, poi a Parigi e poi nuovamente in Canada, attraverso le tre donne della sua vita: Clara, giovane artista squilibrata e bohémienne, la logorroica Seconda Signora Panofsky sposata per ripicca e Miriam, l’unica donna che abbia mai davvero amato e perduto.
Attraverso questo racconto, condito da mille fatterelli, partite di hockey, bevute al bar e acidità verso il suo eterno rivale McIver, Barney ricostruisce la sua vita per dimostrare al lettore (e in fondo anche a se stesso) come non abbia potuto commettere l’omicidio del suo migliore amico del quale è stato accusato e mai del tutto riabilitato.
Una biografia fittizia eclettica e variegata, costruita in modo del tutto non lineare per quanto riguarda tempo e spazio, eppure geniale ed efficace. La pianificazione di questo romanzo risulta essere millimetrica, niente è lasciato al caso, ogni aspetto viene spiegato e illustrato al momento oppurtuno, con il giusto peso e messo in adeguata luce.
I personaggi sono tantissimi e tutti con caratteristiche più che verosimili, ma il protagonista induscusso resta Barney, con tutti i suoi difetti e la sua voce interiore di uomo fondamentalmente buono ma goffo nel trattare i propri sentimenti e quelli degli altri.
Cose che si imparano leggendo questo libro:
1. le finte autobiografie spesso sono più interessanti e divertenti delle vere biografie
2. tutti coloro i quali hanno intenzione di scrivere un romanzo sperimentale dovrebbero leggere questo libro e farsi un po’ di sana autocritica
3. a volte l’entropia letteraria può generare capolavori.
Un romanzo imprescindibile, divertente e caustico, velato dalla sottile malinconia che pervade l’essenza stessa del ricordo e, per questo motivo, ancora più vicino alla realtà che tutti noi sperimentiamo.
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La setta – R. Campbell
La cronaca ci ha resi edotti con il passare dei decenni, di quel fenomeno inquietante e misterioso costituito dalle sette. Da questo argomento si è diffuso un ampio filone della letteratura di genere, cogliendone ed accentuandone gli elementi esoterici, satanici nonchè psicologici (ad esempio Survivor).
La setta, romanzo del 1991 di Ramsey Campbell, attinge fortemente dalle tinte horror e sataniche dell’argomento, partendo da un concept davvero semplice ed efficace.
Angela, deliziosa bimbetta di quattro anni, sembra possedere un potere molto particolare. La sua sola presenza è in grado di pacificare chi le sta attorno, nessuno riesce a resisterle e nessuno potrebbe farle del male. Finchè un giorno la bambina scompare. Alla madre, Barbara, viene detto che la bambina è morta, e per nove lunghi anni lei si rassegna a questa idea, ricostruendo la sua vita. Finchè un giorno riceve una telefonata… da Angela stessa, che la chiama mamma.
Da quel momento inizierà la strenua ricerca di Barbara, che pian piano arriverà a sospettare di una setta, nota nell’ambiente per lasciare pochissime tracce dei suoi spostamenti e soprattutto perchè i suoi adepti sembrano non avere nome (da qui The Nameless, titolo originale dell’opera).
Indubbiamente questo è un buon romanzo horror, al di là di tutta una serie di pecche stilistiche che tutto sommato non ne abbassano significativamente il valore. E’ scritto in una stretta terza persona con punto di vista variabile, principalmente fermo su Barbara ma talvolta appostato su altri personaggi quando questi diventano protagonisti di passaggi cruciali in capitoli dedicati.
La tensione ed il pathos crescono di pari passo con l’avanzare della storia, che si sviluppa bene con un buon ritmo avvincente. Il personaggio di Barbara è piuttosto ben delineato, specialmente negli aspetti più introspettivi di fragilità ed angoscia. Di contro, gli altri personaggi sono un po’ pallidi e piuttosto di contorno.
Campbell sfrutta un clichè tipico dell’horror usato e consumato all’inverosimile come la casa infestata. In questo caso non è esattamente il perno della storia, ma torna in almeno due scene. Nonostante non sia proprio una novità, l’effetto è convincente e riesce ad essere efficacemente da brivido.
Come detto, è possibile riscontrare nello stile delle debolezze abbastanza evidenti, che non sappiamo se addebitare al traduttore o all’autore stesso: certe scene sono molto poco chiare e a volte sembra quasi che manchino delle frasi di raccordo nelle descrizioni; spesso la costruzione delle frasi è un po’ semplicistica, con ripetizioni e uso di vocaboli non proprio brillanti. Nonostante questo il libro costituisce una lettura più che gradevole; almeno fino al finale, che probabilmente è la pecca principale: dire scalbo ed ingiustificato sono solo indicazioni accondiscendenti.
Comunque, il libro in sè è interessante ed appassionante ed il finale, sebbene non all’altezza di quanto scritto in precedenza, pone comunque un punto fermo e conclusivo alla storia.
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Il labirinto oscuro – L. Durrell
Poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, un manipolo di inglesi sbarcano a Cefalù e partono all’esplorazione di un misterioso labirinto nel cuore di una montagna nel quale, si narra, si annida una creatura misteriosa, forse il celebre Minotauro. Per una disgrazia, si verifica una serie di gravi crolli e il gruppo si divide. Alcuni si salveranno, altri moriranno, altri scopriranno vie d’uscita del tutto inattese.
Questo libro del 1961 di Lawrence Durrell, Il labirinto oscuro, si riassume quasi del tutto con queste poche righe. Di certo risente della scarsa modernità con cui è stato scritto: lo stile infatti è piuttosto prolisso e pedante nei dettagli insignificanti sui protagonisti, e di fatto la trama è particolarmente flebile.
Per buona parte del libro, circa metà, non succede nulla che abbia a che vedere con l’oggetto della storia, l’autore si limita a raccontarci, con una terza persona onniscente che sarà utile nella seconda parte del romanzo, tutti gli aspetti psicologici che stanno alle spalle dei personaggi che poi si imbarcheranno nell’avventura.
Abbiamo quindi una serie di attori volutamente stereotipati che si trovano ad affrontare il misterioso labirinto: il pittore frivolo ma capace, la bigotta puritana, il presunto malato terminale con poco da vivere, il medium.
Ben presto nella lettura risulta evidente che il labirinto in oggetto non è altro che un metafora, un espediente simbolico per rappresentare la svolta drammatica delle vite degli stereotipi. Infatti, per ciascun elemento, il labirinto e quello che contiene, il raggiungimento o meno della via di fuga e di quello che troveranno all’uscita, costituisce anch’esso una metafora.
Risulta anche interessante vedere come alla fine, nonostante venga fornita una pacifica spiegazione degli eventi sinistri, in realtà non riusciamo a capire davvero che cosa fosse contenuto nel labirinto e quale sia stata la sorte di alcuni dei protagonisti.
Insomma, un libro certamente particolare, che non va letto come un giallo o come un romanzo del mistero, ma come un viaggio interiore alla ricerca di quello che, più o meno inconsciamente, ciascuno di noi ha sempre cercato. Nel complesso un romanzo meno banale di quanto sembra, che, una volta superata la prima metà un po’ ostica e poco stimolante, si rivela per essere piuttosto interessante e con buoni spunti di riflessione.
Lei – H. R. Haggard
Due gentiluomini inglesi ed il loro domestico si recano nel cuore dell’Africa più inesplorata, alla ricerca di una leggenda, tramandata fino a loro su un coccio mantenuto integro attraverso i secoli. Dopo mille peripezie scopriranno qualcosa che va ben oltre la loro più fervida immaginazione: una donna sul filo della divinità, bellissima quanto crudele, che sembra aver trovato il segreto dell’eterna giovinezza.
Con una quarta di questo tenore, il lettore moderno probabilmente poserebbe il volume sullo scaffale polveroso della biblioteca con uno sbuffo e dirigerebbe la sua attenzione altrove.
Nella fattispecie di questo particolarissimo romanzo di Henry Rider Haggard, Lei sarebbe un vero peccato. Pur essendo un romanzo scritto nel 1880, si differenzia dagli altri pseudo horror del periodo grazie ad uno spirito moderno assolutamente imperdibile.
Spesso, come abbiamo già avuto modo di dire, i romanzi ottocenteschi di genere letti oggi raramente riescono ad emozionare per quello che narrano e per lo stile. Il senso di paura, fascino e il rapporto di attrazione/ripugnanza che sta alla base del genere horror e fantasy, è infatti molto mutato nel corso degli anni e dei secoli, e quello che un tempo poteva essere stato un caso letterario, a distanza di un paio di secoli diventa quasi una favoletta per bambini.
Lei invece riesce a mantenersi vivo (scusateci il gioco di parole) grazie all’abilità e la creatività dell’autore, che ha incentrato la sua storia su un punto che risulta trasversale a tutte le epoche. La morte infatti mantiene sempre un forte appeal sull’uomo, ed infatti Haggard sfrutta questa forza intrinseca elaborando una trama piuttosto banale ma narrandola con un’abilità evocativa degna di nota, dalla quale moltissimi autori moderno avrebbero solo da imparare.
La divina bellezza di Lei, talmente fuori da qualsiasi canone da non poter essere descritta, la sua terribile saggezza e la sua volubilità, la dualità potente dell’amore quale arma e prigione, nonchè le estatiche descrizioni delle rovine del regno decaduto di Kor, hanno segnato un solco nella letteratura di genere al punto da diventare fonte, forse anche inconsapevole, di ispirazione per tutti coloro che hanno scritto dopo di lui.
Certo, questo romanzo non è esente da difetti: i personaggi, escluso il protagonista narrante, sono piuttosto dei clichè, e la stessa Lei, per quanto i suoi dialoghi siano brillanti e verosimili, subisce a volte degli sdruccioloni aggirandosi negli stereotipi del tempo (la volubilità femminile, l’eccessivo trasporto verso l’amore, la voglia di sottomissione verso l’amato eppure la volontà di prevaricare, la vendetta e l’odio verso le altre donne che si pongono sul suo cammino). Spesso certi passaggi su quanto “selvagge” venissero considerate le popolazioni indigene africane, l’egemonia dell’uomo inglese sopra tutte le altre popolazioni e le altre culture, certe valutazioni sull’amore esclusivamente veicolato dalla sola bellezza e non già dallo spessore intellettuale o morale, suonano piuttosto ingenui e antichi. Va detto però che queste osservazioni sono piuttosto marginali in Lei, al contrario di altri esempi dell’epoca, e non ne inficiano la qualità.
Consigliamo questo libro a tutti coloro che si sentono estimatori della letteratura di genere, e che vogliono leggere qualcosa di genuinamente nuovo ed al tempo stesso dal sapore antico ed appassionante.
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E’ nata una star? – N. Hornby
Nick Hornby spesso ama partire da situazioni provocatorie per poi lanciarsi in una dimostrazione sempre mordace di vizi e virtù dell’uomo comune. Questo volumetto, E’ nata una star?, praticamente un racconto, non fa eccezione, anzi, si fonda su una situazione paradossale sebbene verosimile.
Che cosa accadrebbe in una famiglia qualunque, se un giorno si scoprisse che il figlio è un interprete di film porno?
Con un occhio piuttosto buonista e progressista, Hornby ci racconta l’evoluzione da situazione, che non crea una frattura tra i genitori ed il figlio, bensì rinsalda la consapevolezza di appoggio reciproco, l’importanza del dialogo e la crescita dei rapporti.
Dal punto di vista logico e sociologico probabilmente è un racconto alla “tarallucci e vino”, quando, modificando leggermente i fattori (uno su tutti, se il protagonista fosse stata una ragazza invece che un ragazzo), si sarebbe potuto ottenere un racconto ben più incisivo. Ma l’obbiettivo dichiarato di Hornby è quello dell’intrattenimento intelligente e l’umorismo british, e quindi si può dire che sia stato raggiunto, anche sul breve periodo come in questo racconto di velocissima lettura.
Un piccolo e semplice esempio di humor di qualità in formato tascabile. Da leggere.
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Come diventare buoni – N. Hornby
Probabilmente una delle opere più famose uscite dalla caustica penna inglese di Nick Hornby, Come diventare buoni soddisfa tutte le aspettative nei confronti dell’autore e forse va addirittura oltre.
L’intera vicenda viene narrata da Katie, madre di famiglia e medico del servizio sanitario nazionale inglese, fondamentalmente rilassata nella sua routine indagatrice nelle vite, a volte grame, che incontra. Suo marito, David, scrittore arrabbiato con tutto e tutti, al punto da tenerne una rubrica su una rivista, è perennemente ingrugnito e rende la vita domestica di Katie un fastidioso inferno. Finchè qualcosa di imprevisto cambia: lei decide di lasciare lui a causa di una storia extraconiugale e lui… assume un modo del tutto inatteso di affrontare la vita, facendo rivalutare all’intera famiglia, e non solo, il significato di essere buoni.
Un romanzo dallo stile impareggiabile che caratterizza da sempre Hornby: narrato in strettissima prima persona, la visione è sempre attraverso gli occhi di Katie, spesso inframmezzata da lunghe digressioni interiori, come sempre in toni un po’ esagerati ed enfatici che tanto sono cari all’autore e che integrano perfettamente la vicenda.
Questo romanzo infatti è forse uno dei più focalizzati al sentire dei personaggi, ai sentimenti che accompagnano le decisioni, spesso incomprensibilmente troppo buone, che il nuovo David impone alla famiglia.
I personaggi sono come sempre disegnati con maestria, chiari e coerenti eppure mai banali o pedanti. La visione di Katie, inoltre, rappresenta bene il pensiero di persona media (mediamente felice, mediamente partecipe dell’andamento della società, mediamente interessata a mutarne in prima persona la direzione) e quindi veicola bene il pensiero del lettore, con semplicità ed efficacia, accompagnandolo sempre attraverso questa storia in apparenza normalissima ed al contempo paradossalmente rivoluzionaria.
Un libro che non può mancare nel repertorio dell’estimatore dell’autore ma allo stesso tempo ottimo per chiunque per un viaggio introspettivo ma disimpegnato, come solo Hornby sa fare.
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Solar – I. McEwan
Il dottor Michael Beard è quel genere di persona che, inspiegabilmente, attira su di sè le attenzioni dell’unverso femminile, senza essere in grado di gestirle. Pur essendo un illustre premio Nobel per la fisica, non è altro che un ometto di mezza età sovrappeso, con pessimo carattere, abitudini alimentari riprovevoli ed una certa attitudine al disimpegno dai problemi e dai legami duraturi.
Questo è, in pochi tratti, l’indiscusso anti-eroe protagonista dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, Solar: nell’arco di una decina d’anni ci viene mostrato quest’uomo, lentamente alla deriva sulla barca di notorietà che lui stesso si è costruito grazie all’entusiasmo giovanile, fingere di provare interesse per argomenti che in realtà non lo toccano più davvero, occupato fino in fondo a fantasticare sulla sua ex moglie e sul suo amante. Ma le cose come sempre si evolvono, e in questo libro non mancano mai di intraprendere pieghe inaspettate: così l’egocentrico e disordinato ometto si trova a dover fronteggiare una morte accidentale, ed al contempo ricevere una mole di nozioni e di idee scientifiche veramente rivoluzionarie, delle quali si appropria con leggerezza; si trova a gestire più relazioni a distanza (non solo fisicamente ma anche affettivamente) quando in realtà non ne desidera nessuna.
Questo romanzo risulta essere il paradigma dello humor inglese portato ai massimi livelli, talmente british da essere amaramente verosimile. L’intera storia diventa quindi serissima nella sua netta parabola discendente, verso il finale in cui tutto e tutti arriveranno a chiedere il conto a quell’uomo che ha usurpato affetti e celebrità.
In romanzi come questi si cimentano con successo solo i veri grandi autori, e McEwan raccoglie e vince la sfida con se stesso. Delineando un fisico premio Nobel, non perde un colpo, mostrandoci teorie e concetti di alto livello, dimostrando ancora una volta che il principio fondamentale della vera letteratura è la documentazione e la profonda conoscenza di ciò che si scrive, senza lasciare nulla alla scelta dozzinale. Inoltre, non ha nemmeno il timore di annoiare il lettore, perchè conscio che i punti di forza della sua opera sono talmente evidenti da non poter essere deviati da qualche dissertazione accademica di contesto.
Ma il vero genio risiede nei personaggi. In 340 pagine di romanzo abbiamo una visione completa di questo uomo pieno di difetti che, per quanto possa essere un ritratto umoristico, resta credibile sempre, infantile in modo irritante, noncurante dei normali problemi e delle responsabilità che tutti possono dover affrontare.
La prosa, il ritmo della narrazione, le tempistiche delle informazioni, l’introspezione: un romanzo da leggere assolutamente, da non perdere, scritto da un indiscutibile professionista del genere.
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