Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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L’occhio del male – S. King
Un avvocato sovrappeso investe una zingara e, grazie alle sue aderenze la fa franca, uscendone pulito e impunito. Ma un vecchio zingaro gli lancia una maledizione e lui inizia a dimagrire, sempre di più.
Richard Bachman ci ha abituati, a suo tempo, alle sue storie allucinate ed estreme. Per quanto sempre alter ego di Stephen King, Bachman si è distinto per i suoi libri tipicamente “e se”: che cosa succederebbe se uno zingaro per vendetta lanciasse una maledizione e facesse dimagrire a morte un avvocato obeso?
Da questo input si dipana la trama de L’occhio del male.
Bachman, rispetto a King, morde di più: il suo stile è più asciutto e più crudo, spesso è meno incentrato sul puramente soprannaturale a favore di una più netta concretezza, ma come King esalta la conoscenza profonda delle umane miserie, dell’iniquità intrinseca della borghesia nei confronti di chi vive ai margini, degli effetti della perdita delle sicurezze di una vita tranquilla e agiata.
L’unica grossa differenza tra King e Bachman è che se leggendo il primo ci sono buone probabilità che il romanzo finisca tutto sommato con un lieto fine, con il secondo difficilmente avverrà. E infatti.
Un romanzo un po’ antico ma di certo ancora molto attuale, amaro e grottesco e a modo suo triste perchè le considerazioni sono tutte vere.
Lettura consigliata.
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Soffocare – C. Palahniuk
Victor Mancini è un sessodipendente occupato in un villaggio di rievocazione storica americana. Per mantenere la madre in fin di vita in un ospedale psichiatrico, ogni sera Victor finge di soffocare in ristoranti sempre diversi, accrescendo le schiere dei suoi salvatori.
Il suo bisogno di sentirsi amato si concretizza nella creazione di questi legami, nel dare importanza ad uno degli avventori che diventa un eroe, anche attraverso la sua stessa autodistruzione.
Soffocare di Chuck Palahniuk è un romanzo che riprende a pieno titolo i fasti decadenti, paradossali e drammatici di quell’opera di culto che è diventata Fight Club.
Nel suo stile particolarissimo, l’autore ci porta di nuovo in uno scenario umano assurdo ma non per questo meno credibile, nel quale la fragilità umana è ancora al centro del romanzo.
Una lettura appassionante, anche istruttiva, come Palahniuk ci ha spesso insegnato, che cattura il lettore e lo porta con sè attraverso le sue evoluzioni fino al suo sconcertante finale. Gli spunti di riflessione sono molteplici, a partire da quelli più evidenti come la necessità di essere amati, il rapporto spesso conflittuale tra madre e figlio, la dipendenza e la liberazione dalla dipendenza (e il diventare dipendenti di un’altra cosa ancora, fosse anche solo della speranza), la menzogna e le bugie a fin di bene, il saper dire di no, il voler prendere in mano la propria vita e l’accettazione del cambiamento. Molti altri temi vengono toccati o allusi nel romanzo, e come sempre parte del piacere nella lettura sta proprio nell’individuarli. Nulla in Palahniuk è lasciato al caso, in questo libro più che mai.
Una lettura assolutamente consigliata.
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Cosmopolis – D. DeLillo
La minimalità della copertina Einaudi, come sempre, è pertinente e appropriata. Cosmopolis di Don DeLillo viene sintetizzato con efficacia da questa immagine: un microcosmo in una limousine bianca, abnorme, banale nella sua lussuosità ormai conformata. In un mondo in cui le telecomunicazioni accorciano le distanze e gli imperi possono sorgere e crollare nell’arco di poche ore e solo attraverso qualche tocco su un palmare, il giovane Eric, appartenente al jet set degli influenti, riluce di carnalità e immanenza, anche grazie alle sue azioni apparentemente folli e autodistruttive.
Questo romanzo viene considerato uno dei capolavori della letteratura contemporanea, ma devo dire in tutta onestà che io non l’ho capito.
Mi sono resa conto di avere di fronte un romanzo di letturatura vera, dove niente è stato scritto a caso, dove ogni parole è stata ponderata e collocata secondo un preciso disegno. Ho compreso quello che ho letto, ovviamente, ma non sono riuscita a fare altro che scalfire l’enorme sottotesto racchiuso in questo libro e che quindi mi è rimasto precluso.
C’è un motivo per cui Eric fa quello che fa, anche se in apparenza no, così come c’è un motivo per cui Eric e i molti altri personaggi dicono quello che dicono, facendo valutazioni superficialmente circoscritte alla macrofinanza (e alle oscillazioni dello yen) e alla vita in generale. Io però non l’ho capito. Nel senso che la lettura è pervasa da quella incertezza che caratterizza testi come questi (penso ad esempio ai classici russi o, in generale ai classici di ogni tempo e luogo) di fronte al barbaglio del significato profondo celato che però, ai lettori poco colti come me, rimane celato.
Credo però che leggere questo romanzo non sia tempo perso, ma possa dare la possibilità di gettare un seme nella mente anche di chi non capisce, in attesa che si acquisisca la giusta maturità per arrivarci.
Recensione scritta da Sayu
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Dannazione – C. Palahniuk
«Mi sente, Satana? Sono io, Madison. Non è vero che quando muori la vita ti passa davanti. Non tutta, almeno. Alcune parti magari sì. Altre, possono volerci anni e anni prima di riuscire a recuperarle. Credo che sia questa la funzione dell’inferno. E’ un luogo dove ricordare. Ma non solo: lo scopo dell’inferno non è tanto quello di dimenticare i dettagli delle proprie vite, quanto di perdonarli. Ebbene sì, i morti hanno nostalgia di tutto e di tutti, ma non rimangono aggrappati alla Terra per sempre.»
Madison ha tredici anni appena compiuti, si vede grassottella, bruttina, ma è molto consapevole della sua intelligenza. E’ figlia di ricche e notissime celebrità del jetset hollywoodiano, fissate con il salutismo, la tutela dell’ambiente e la beneficenza, ma che poi indulgono in psicofarmaci, droghe e abitudini decisamente poco ecocompatibili.
Questa ragazzina potrebbe essere una delle molte, vessate figlie di vip, se non fosse per un piccolo particolare: è morta.
Dannazione di Chuck Palahniuk è un romanzo del 2011 in prima persona, nel quale Madison racconta la sua personalissima esperienza dell’inferno, che è molto diverso da come siamo abituati ad immaginarlo, e ripercorre in flashback i tratti salienti della sua breve vita.
Anche in questo romanzo possiamo ritrovare alcune delle caratterische che ci fanno tanto amare l’autore, ma qualcosa stona rispetto ad altre opere precedenti.
Sarà l’ambientazione decisamente distaccata dalla realtà (per quanto ci siano molti ottimi spunti di riflessione parecchio concreti), sarà la voce lucida e matura della ragazzina: la lettura procede scorrevole, forse troppo, e la sensazione alla fine è quella di non essere arrivati davvero da nessuna parte.
La trama è piuttosto chiara e lineare, eppure alla lettura sembra di registrare alcuni cambi di rotta in corso di navigazione.
Il risultato è un romanzo comunque pregevole, ma meno scioccante e diretto rspetto alle opere precedenti, più conformato alla letteratura contemporanea.
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Portland souvenir – C. Palahniuk
«L’intera città [...] soffre del “complesso del minidotato”. [...] Portland compensa le sue ridotte dimensioni facendo casino e dando fastidio.»
Un libro che è un punto di congiunzione tra la guida turistica, la raccolta di racconti e la biografia. In Portland souvenir, Chuck Palahniuk racconta la vita nascosta della sua città e ce la mostra attraverso gli occhi di ci ha vissuto una vita ne conosce pregi e segreti.
Portland ci viene presentata come una fucina ricca di paradossi e assurdità, di estremi, di sottointesi, di segreti di Pulcinella che conoscono tutti, almeno quelli meglio inseriti nei giochi d’ombra.
Ogni capitolo è dedicato ad un’area tematica, con consigli puntuali tipici della guida turistica, con tanto di indirizzi e numeri di telefono a cui fare riferimento. Le interviste e i personaggi mostrati danno ancora più concretezza alle descrizioni.
Ciascun capitolo è seguito da una “cartolina”, che come spiega l’autore, non proviene tanto da un luogo preciso ma da un momento particolare. Sono frammenti, episodi, provenienti dalla vita di Palahniuk, che danno un assaggio del suo passato e del sapore reale della città.
La conclusione che si può trarre dalla lettura di questo non-romanzo è, a nostro avviso, una sola: l’autore ha attinto a piene mani dalle esperienze e dall’anima della sua città per la realizzazione dei suoi romanzi. Dopo aver letto i suoi microracconti, romanzi come Fight Club ne risultano quasi sintesi ovvie. La realtà allucinata, drammatica, grottesca ed estrema che racconta sono come la prosecuzione del naturale andamento della vita di quella città.
O forse è il suo occhio che ha saputo catturare la realtà bizzarra celata sotto la superficie di una delle pacifiche cittadine del Northwest americano.
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Cavie – C. Palahniuk
Prendi un gruppo di aspiranti (e sedicenti) scrittori e chiudili in un ex cinema per tre mesi. Dai loro riscaldamento, acqua e cibo liofilizzato in abbondanza, una camera piccola ma decorosa per ciascuno, lavatrice e toilette funzionanti. Rinchiudili privandoli di stimoli esterni abbastanza a lungo e vedrai come l’istinto dell’uomo verrà a galla e la necessità atavica del dramma prenderà il sopravvento.
Questo “romanzo di storie” di Chuck Palahniuk, Cavie, viene considerato dai più un libro disgustoso. Beh, è impossibile argomentare contro questa asserzione: è vero, quello che viene narrato in queste pagine va ben oltre ciò che una persona grossomodo mentalmente equilibrata potrebbe mai immaginare, anche cercando di immaginare il peggio.
Ho letto romanzi horror che descrivono con dovizia di dettagli le peggiori crudeltà, eppure questo romanzo è riuscito ad alzare di qualche tacca la mia personale soglia di sopportazione allo schifo.
Non è però il disgusto fine a sè stesso l’oggetto di questo romanzo, anzi. A ben vedere, potrei chiedermi come mai io sia riuscita ad arrivare al fondo delle 400 e più pagine senza nemmeno un filo di nausea, nonostante tutto.
Al solito Palahniuk ci getta in un tunnel (o in un cinema) e ci racconta delle storie alienanti, che sembrano troppo assurde per non essere vere, e al di sotto della superficie (un po’ viscida a causa del grasso disciolto) si intravede un disegno, un messaggio, grande e unico, un modo di vedere la realtà che una volta conosciuto non si può smettere di vederlo ancora e ancora, ovunque.
L’autore tratta fin dal suo Fight Club l’atavica tendenza dell’uomo all’autodistruzione, senza la quale probabilmente non avrebbe modo di vivere. Senza il dramma, il rischio della sua stessa fine, non avrebbe nemmeno senso esistere.
Un romanzo crudissimo, che somministra oscenità inaspettate come snocciolasse scene già viste a cui tutti siamo già assuefatti, e che dimostra quanto labile sia il confine tra salute e follia, morale e immorale, vittima e carnefice.
Singolarissimo il rapporto con i personaggi: il narratore è posizionato in una prima persona plurale, che colloca il lettore in una posizione centrale rispetto alle vicende, eppure, la mancanza di un “io”, fa sì che sia l’unico vero osservatore interno e super partes della storia (l’obiettivo che sta dietro l’obiettivo che sta dietro l’obiettivo).
Un romanzo consigliato solo ai lettori dallo stomaco forte e non troppo impressionabili: il rischio è quello di lasciarsi sopraffarre dal senso di disgusto di superficie senza poter apprezzare il contenuto e il messaggio.
Recensione scritta da Sayu
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Notte buia, niente stelle – S. King
«Scrivere male non è solo questione di cattiva sintassi o scarso spirito di osservazione: si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente. Quando, mi viene da dire, si rifugge questo dato di realtà: capita che l’assassino aiuti una vecchietta ad attraversare la strada.»
Un anno particolarmente nefasto all’insegna di una serie di scelte sbagliate; una tremenda disavventura fronteggiata da una tranquilla scrittrice di romanzi gialli da salotto; un curioso incontro tra un malato terminale e un bizzarro venditore di “giuste estensioni”; la scoperta di una moglie del piccolo segretuccio del marito.
Questa raccolta di quattro racconti, Notte buia, niente stelle, di Stephen King, certamente entra a buon titolo nella produzione del Re del brivido.
A differenza delle grandi raccolte degli anni giovanili di King (primo tra tutti il celebre “Stagioni diverse”), in questi racconti più che in altri si individua saltuariamente il tentativo dell’autore di “fare sé stesso”, inserendo elementi tipici del suo stile e accenti horror anche laddove magari non sarebbe necessario.
A parte questo però, il libro costituisce una lettura assolutamente godibile. I racconti sono legati da un filo comune, che viene poi chiarito nella postilla finale dell’autore. Le cose brutte succedono e basta, per parafrasare un noto modo di dire americano, e di solito le cose molto brutte possono capitare anche alle persone più normali. E’ questo che King ci racconta: il comportamento, le risorse (o la mancanza delle stesse) che l’uomo e la donna media possono tirare fuori in circostanze eccezionali.
I veri elementi distintivi della produzione kinghiana ci sono tutti, al di là del semplice gusto dell’horror: sopra tutto sono i personaggi ad essere degni di nota, come sempre. Personaggi profondi e complessi, con voci originali e una introspezione degna di un romanzo vero e proprio. Ma sono le storie di questi racconti ad essere a modo loro terribili e indimenticabili. Lasciano dietro di loro una scia di verosimiglianza che non può lasciare indifferente nemmeno il più approssimativo dei lettori.
Una lettura consigliata, ovviamente: come potremmo dire qualcosa di diverso?
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L’esorcismo di Mr Clarinet – N. Stone
Max esce di prigione e non trova altro che i cocci della sua vecchia vita: non è più un poliziotto ormai da diverso tempo, gli anni di carcere lo hanno cambiato e perfino il suo lavoro di investigatore privato non gli appartiene più. Sua moglie muore poco prima della sua scarcerazione e il futuro che avevano progettato si è dissolto. Accetta quindi il destino quando gli viene presentato un ennesimo caso da risolvere: trovare un bambino scomparso ormai da diversi anni, ad Haiti, figlio della famiglia più facoltosa ed influente della zona. Si troverà quindi ad affrontare un’indagine di per sè difficile nel contesto peggiore per questo genere di sparizioni: Haiti è il territorio dei senzalegge, dove il governo non esiste se non per prosciugare le misere risorse di un paese allo stremo, dove superstizione, orrore e illegalità si mischiano fino ad assumere connotazioni grottesche e inumane. In questo scenario Max scoprirà cose grandi e terribili nascoste sotto il velo del potere.
Il romanzo di esordio dell’americano Nick Stone (che più che un nome sembra uno pseudonimo), L’esorcismo di Mr Clarinet a primo acchito, anche grazie al titolo, può sembrare un horror dalle tinte fosche ambientato in una Haiti pre terremoto. Invece ben presto si rivela un buon thriller di stampo prettamente poliziesco, appartenente al filone tipico commerciale americano. Indubbiamente il punto di forza è la trama, che è piuttosto originale e ben strutturata, con un buon ritmo, ambientato in un luogo trattato piuttosto di rado dalla letteratura di consumo moderna e che l’autore dimostra di conoscere bene. Inoltre, Stone riesce a mescolare con attenzione la storia più strettamente poliziesca alle inclinazioni esoteriche e superstiziose del posto, rendendo efficacemente la dualità della quotidianità locale. Abbiamo quindi descrizioni della criminalità più bassa come la compravendita di bambini indigenti, spaccio di droga, gli scorci di una povertà annichilente che si dosano con le divinità voodoo, le superstizioni, gli oscuri riti esoterici e la credulità popolare.
Come praticamente tutti gli esempi di questo genere letterario, il protagosta risulta affetto da una sorta di infallibilità piuttosto prevedibile. La narrazione in terza persona fissa sul protagonista racconta i ragionamenti e le indagini di Max, ma l’autore non si arrischia a lasciare segnali al lettore, non permette quindi di fare congetture sull’effettiva soluzione del caso, che viene fornita direttamente dai personaggi e senza sfruttare particolari indizi.
Nonostante ciò, e tralasciando alcune battute di Max che sembrano uscite da un western di serie B (“Adios, bastardo” giusto per citarne una) e che mal si coniugano con un personaggio che ci appare tutto sommato sobrio, il libro è una piacevole lettura disimpegnata, adatta a passare il tempo in spiaggia, che ci mostra un’immagine purtroppo verosimile di un paese tra i più degradati e poveri del mondo.
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