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Teorie del caos armonico – M. Iacovone
E’ arduo provare a sintetizzare la trama del libro Teorie del caos armonico del giovane autore Michele Iacovone, potremmo considerarlo come un esercizio di narrativa, ricamato attorno al concetto di ordine nel caos ben noto ai matematici.
La struttura di questo breve romanzo è piuttosto particolare: si escordisce con un’introduzione alla teoria con toni rigorosi, per poi proseguire nella narrazione vera e propria, costituita da una serie di brevi capitoli di carattere episodico, che appaiono dapprima come racconti scollegati gli uni dagli altri, ma che pian piano vanno ad assumere le caratteristiche di un tassello all’interno di uno scenario generale.
Abbiamo trovato questo concept narrativo abbastanza originale, sebbene non proprio nuovissimo (Cuori in Atlantide di King è strutturato in modo analogo, sebbene formato da racconti molto più lunghi ed articolati e il legame tra gli stessi sia molto più sottile); di contro un simile progetto necessita di una grande padronanza di ogni più piccolo dettaglio della trama, così come della cura quasi maniacale da dedicare a ciascun episodio, che, per raggiungere lo scopo, dovrebbe essere trattato come un racconto vero e proprio sotto gli aspetti di stile, personaggi e contenuti.
Sono proprio questa precisione e questa cura che mancano nell’opera, probabilmente a causa dell’inesperienza dell’autore e dell’assenza di un buon lavoro di editing sull’opera finita ma anche in fase di lavorazione.
Le incongruenze infatti non si contano: eventi impossibili o molto inverosimili che non vengono adeguatamente giustificati (il personaggio che prima riceve una pallottola in una natica con grande sofferenza e poi versa del whisky sulla ferita senza manifestare alcuna reazione; la museruola di un cane “di taglia minuscola” che viene fatta indossare ad una donna; la consegna di una denuncia ad una persona della quale la vittima non conosceva le generalità e senza la presenza di testimoni) così come errori espressivi (un abito “grigio acceso”, i pochi passi “riversati” in una stanza) punteggiano i racconti rendendo farraginoso e dissonante l’intero telaio narrativo.
I personaggi sono totalmente bidimensionali e funzionali alla trama, descritti solo dalla voce narrante e privi di caratterizzazione; i dialoghi sono scontati oppure eccessivamente arzigogolati ed inverosimili nel contesto.
Il contenuto degli episodi è sempre molto estremo (pistole, morti, suicidi oltretutto ingiustificati, meretricio) e ai limiti del surreale, ricordando da vicino Palahniuk, Welsh e King in un episodio, sebbene non si riesca ad ottenere lo stesso loro effetto allucinato ma sempre credibile.
Lo stile in generale ha necessità di maturare ancora e di raffinarsi, per diventare meno ridondante, a tratti pretenzioso, e per acquistare in sicurezza e chiarezza nell’espressività.
Non ci resta quindi che augurare al giovane autore un in bocca al lupo per i prossimi cimenti letterari.