Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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Real life – C. Brookmyre
Siamo abituati ad individuare nel romanzo thriller mainstream le caratteristiche tipiche dei film d’azione americani, tanto che spesso ci troviamo ad attribuirvi l’appellativo di “americanata” quando questi romanzi si trovano ad eccedere in esplosioni, eroi imbattibili ed immortali, spacconate di vario genere e l’immancabile vittoria dei buoni (senza nemmeno un capello fuori posto) sui cattivi. E’ forse con questo sentimento che ci si potrebbe accostare a questo romanzo piuttosto voluminoso (appena meno di 400 pagine), Real life di Christopher Brookmyre guardando la copertina. Bastano però poche pagine per capire che si ha davanti un prodotto senza dubbio particolare e fuori dagli schemi.
Scozia. Ray, un giovane insegnante di inglese con un passato di accanito videogiocatore di sparatutto, incrocia per caso un volto noto all’aeroporto, il suo vecchio compagno di stanza dell’università Simon. Rimane moto colpito da quella visione, principalmente perché, stando alle sue ultime informazioni disponibili, Simon è morto da tre anni. Da quell’incontro fortuito si svilupperà una storia al limite dell’inverosimile, alla scoperta della nuova vita di Simon come terrorista di alto bordo su commissione.
La caratteristica principale di questo romanzo ad ampio respiro è appunto la profondità con cui vengono sondati i caratteri dei protagonisti, Ray e Simon. Si ripercorrono infatti numerosissimi episodi del loro passato, della loro “amicizia”, che aiutano a completare la visione a 360° di questi personaggi così diversi. Scopriamo la semplicità d’animo di Ray ma soprattutto capiamo la perversa meccanica che ha portato Simon, agente marketing di un’industria petrolifera, a sviluppare questo piccolo secondo lavoro quale l’omicidio su commissione. Notiamo inoltre un certo gusto peverso dell’autore nel delineare lo Spirito Nero (il terrorista) dapprima come il nemico pubblico numero uno, poi quasi deriso dai fatti quando i suoi piani perfetti vengono mandati a monte dai guastatori più improbabili.
Altro grandissimo punto di forza è infatti il valore aggiunto dell’autore. Brookmyre lascia la sua impronta sardonica ed umoristica nella narrazione in terza persona, rendendola scanzonata e leggera anche nei passaggi più cruenti. Battutine e allusioni, anche localistiche, aiutano a caratterizzare ancora di più i personaggi, che hanno una voce ben chiara e atteggiamenti ben distinti. La passione di Ray per i videogiochi sparatutto, oltre che costituire spunto per un gran numero di citazioni che i più appassionati non mancheranno di rilevare, permette inoltre di dare credibilità al personaggio, in particolare per quello che si troverà a fare nel gran finale.
La trama, contrariamente ai più comuni thriller di consumo, tende a puntare l’attenzione come detto più sul retroterra dei personaggi che non sulle vicende correnti. Si riscontrano quindi un gran numero di lunghi flashback che inframmezzano l’azione senza mai comunque spezzare il ritmo o disturbare il pathos.
Anche i personaggi secondari sono degnissimi di menzione, sia quelli accennati nei flashback che i comprimari della vicenda al tempo presente: il personaggio di Angelique, per esempio, è perfettamente il clichè della donna poliziotto a tutto tondo il cui contorno di dolcezza ed umanità la rende vivida ed efficace nella sua caricaturalità.
Insomma, Real life è senza dubbio un ottimo romanzo ed un gradevolissimo thriller, adatto alla lettura disimpegnata vacanziera, scritto in modo magistrale e pungente che strapperà ben più di un sorriso.
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Uomini da mangiare – C. Leunens
Molti tra i migliori romanzi più audaci, nascono da una domanda semplice, che ricorda quasi i giochi dell’infanzia: “Che cosa succederebbe se…?”. Anche questo romanzo di Christine Leunens, Uomini da mangiare, senza dubbio si inserisce tra le opere audaci, e molto.
Una ragazzina, Kate, combatte la sua quotidiana guerra contro il cibo che sua madre, lituana emigrata in America, le propina. Le sfugge il significato intrinseco del nutrirsi, ed è affascinata morbosamente dal processo di trasformazione dei prodotti in cibo. Un giorno assiste per caso ad una scena di intimità, e da quel momento intuisce che deve esserci un legame profondo tra quello che ha visto ed il nutrirsi. Questa consapevolezza cresce dentro di lei, avvalorata da espressioni retoriche e figurate che riscontra nel linguaggio comune della gente e anche nella Bibbia (carne della stessa carne, uniti nella carne), fino a trasformarsi in passione, o per meglio dire, in fame inestinguibile.
La trama di questo romanzo si sviluppa in due fasi. Nella prima abbiamo Kate ragazzina che, nell’arco di qualche anno, sviluppa la convinzione che la passione sessuale e il nutrirsi siano azioni strettamente correlate, e non in senso figurato. Nella seconda, Kate è una giovane donna in preda al più intimo degli appetiti, che però risulta deformato e morboso a causa di questo antico fraintendimento.
Nella prima fase la narrazione è molto pungente ed ironica, sempre in prima persona: ci viene presentata questa madre orribile ma allo stesso tempo pateticamente buffa che per risparmiare il più possibile (i suoi soldi che “lavorano sodo”) propina alle figlie manicaretti forse non proprio adatti alla loro età come reni, quaglie ed altre frattaglie insensibile alle proteste della protagonista, che fa di tutto per non mangiare. La voce della ragazzina è molto ben delineata e chiara, i pensieri che esprime, i dubbi e le perplessità sulle sue prime (errate) scoperte lasciano un senso di verosimiglianza e credibilità che rende la lettura estremamente piacevole e leggera.
Al contrario, nella seconda parte del romanzo si perde un po’ quell’ironia per lasciar spazio al paradossale grottesco che procede in escalation di pagina in pagina, fino a culminare nel finale. Kate crescendo non è riuscita a sdoganarsi da quelle errate credenze sul sesso ed il cibo ed una volta libera dall’oppressione della madre si trova a doversela cavare da sola nel mondo di quegli adulti dei quali ha frainteso la meccanica. Le scene grottesche in questa fase si susseguono, al punto, talvolta, da rendere difficoltoso proseguire la lettura.
Indubbiamente questo romanzo di genere è dal punto di vista stilistico un’opera notevole e geniale, per di più per un’esordiente. L’uso delle similitudini e la stessa costruzione della trama denotano un’abilità considerevole e non comune. Certo è che, per il contenuto a tratti decisamente un po’ forte se ne consiglia una lettura solo agli stomaci forti, da consumarsi lontano dai pasti.
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Scheda: Uomini da mangiare – C. Leunens
Rinchiusa nella dispensa, la piccola Kate fissa con astio le ombre dei prosciutti appesi. Sua madre, un’irascibile vedova lituana, la rinchiude lì per costringerla ad abbandonare la sua innata avversione per il cibo. Nella penombra maleodorante di umidità e cipolle, Kate strizza forte gli occhi finché il buio comincia a respirare e a muoversi
come una nuvola di farfalle: le tenebre sono vive, e danzano per lei. Nell’oscurità riesce a sentire il battito del suo cuore e può abbandonarsi a complicate fantasie.
La mente di Kate è fervida e impaziente, ma nessuno si preoccupa di rispondere alle sue domande sul mondo, e così lei si crea delle idee tutte sue su quello che gli uomini e le donne fanno quando sono soli. Gli innamorati si mangiano. Affamati gli
uni degli altri si staccano morsi di frutti proibiti che crescono sotto i loro vestiti. Per questo Kate ha paura di mangiare. I suoi occhi sgranati una volta hanno visto un uomo e una donna preda della passione: si consumavano a vicenda sulle
lenzuola di un letto, come se fosse una tavola apparecchiata. C’è un’intera cosmogonia nel mondo di Kate: forse
tutto l’universo è commestibile. Forse mangiare ed essere mangiati è il solo prodigioso modo di perpetrare la vita. Ma è nel giorno della sua prima comunione che tutto le appare finalmente chiaro. Sentendo sciogliersi in bocca quel fragile
velo di pane, Kate inizia per la prima volta ad aver fame; proprio quando il suo corpo sta diventando quello di una donna e l’adolescenza la sospinge verso i segreti chiusi nelle bocche degli adulti.
Christine Leunens, penna ironica e torrenziale, dà vita a un trasgressivo romanzo di formazione, in cui le metafore dell’inconscio si materializzano, si condensano e restituiscono intatte le nostre tentazioni primordiali.l’autore
Christine Leunens è nata in Connecticut, da madre italiana e padre fiammingo. Ha vissuto in Piccardia
dove ha allevato cavalli e scritto per il teatro in inglese e francese. Come sceneggiatrice è stata premiata dal Centre National du Cinéma. Ora si è trasferita in Nuova Zelanda, dove continua a scrivere.
Notte di sangue a Coyote Crossing – V. Gischler
Toby è un giovanotto un po’ sfortunato, con una moglie che non ama, un bimbo piccolo e un incarico part time come vice sceriffo della sua piccolissima cittadina: Coyote Crossing, Oklahoma. Non capita mai molto da quelle parti, rimane quindi un po’ impreparato quando viene lasciato a guardia del cadavere di un suo concittadino, morto ammazzato in mezzo alla strada principale. Il suo stupore però cresce ancora di più quando riesce a farselo rubare. Inizia così un’escalation di violenza e sangue, costellata dalla scoperta di tradimenti, traffici loschi e situazioni al limite dell’assurdo.
Cosa fa sì che un western sia un western? Ce lo siamo domandati diverse volte durante la lettura di questo libro di Victor Gischler, Notte di sangue a Coyote Crossing. Nell’immaginario collettivo, la parola si associa a tutto quel filone letterario (letteratura di consumo a basso costo, per di più) e cinematografico caratteristico di qualche decennio fa, ambientato nel polveroso Ovest americano in quel periodo storico in cui quelle aree erano ancora da “conquistare” e “civilizzare” e dove la legge assumeva tutta una serie di sfumature grazie all’apporto di valorosi veri uomini.
Nella lettura di questo libro, peraltro stilisticamente ineccepibile, abbiamo capito che in realtà il Western ha confini un po’ più labili. Infatti questo romanzo non è ambientato nell’epoca dei pionieri bensì ai giorni nostri, e non è collocato nell’Ovest ma nell’Oklahoma. Si evidenzia così il vero fulcro della letteratura di genere: la terra di confine, dove sembrano non essere in vigore tutte le leggi del comune vivere civile perchè di fatto ai margini dello stesso, dimenticata dal progresso, dalle comodità, dalle possibilità. Ecco quindi un quadro di desolante immobilità, degno dei migliori film di genere, dove tutti si conoscono, tutti vorrebbero essere in un altro posto e tutti, in un modo o nell’altro, hanno fallito il tentativo. Abbiamo anche lo schema del più tipico romanzo di formazione, che da persona qualunque (forse anche un gradino sotto la media) diventa Il Duro, quello che fa applicare la legge (anzi, la somministra) anche a colpi di doppietta se necessario. Insomma, da nessuno a persona degna del rispetto della comunità intera.
Questo processo così particolare, ben si accosta alla violenza caratteristica del genere, giustificando di fatto episodi narrativi di dubbio gusto, o battute al limite del clichè della spacconata che in un contesto letterario diverso avrebbero provocato coliti e smorfie di disappunto in più di un lettore.
In questo libro invece, l’obiettivo è dichiarato e quindi l’aspettativa di scene di azione, inseguimenti, sparatorie e omicidio a gogò, ma sempre nel nome della legge, viene soddisfatto in pieno.
Il tutto poi viene proposto dalla abile penna dell’autore, che indubbiamente sa il fatto suo e ha arricchito questa narrazione in prima persona di moti di spirito difficilmente trascurabili.
Insomma, una lettura di svago senza pretese di passare messaggi morali o filosofici, scritta in modo gradevole e con quella quantità di azione e ironia da renderlo piacevole e appassionante.
Missione in Alaska – M. Hansen
Uno stimato dirigente di azienda è intrappolato sotto il suo Range Rover in mezzo ad un bosco sperduto dell’Alaska. Le sue gambe sono immobilizzate dal semiasse del pesante SUV e là fuori, un orso bruno gli sta rosicchiando un piede. Ma Marv, questo è il nome dello stimato dirigente, è sereno e il suo umore è alto: ha con sè snack, birra e una grande quantità di medicinali e psicofarmaci e non sente assolutamente nulla. Sa che presto i suoi colleghi chiameranno le squadre di soccorso e lo tireranno fuori da quella spiacevole situazione.
Questo è il succo di quell’inno al paradosso che è Missione in Alaska, opera del maestro della bizarro fiction Mykle Hansen. Il genere forse non è dei più noti al grande pubblico e forse può lasciare spiazzati alle prime pagine, ma ben presto si viene travolti dal cinismo sardonico ed accattivante. Lo stile è impagabile, al di là del contenuto l’abilità del narratore è evidente: Hansen è un professionista e si vede in ogni occasione. Oltre alle qualità oggettive, l’ironia e il politically incorrect che lo caratterizza sono disarmanti proprio perchè così tanto controcorrenti: la natura è sporca, scomoda ma soprattutto pericolosa, mentre la tecnologia è rassicurante ed efficiente.
Il protagonista è il paradigma del pessimo dirigente, anzi, del pessimo esemplare umano. Arrogante, pelandrone, fedifrago, egocentrico ed egoista: con il procedere del soliloquio di Marv sotto il SUV scopriamo tutti i suoi peggiori difetti, disegnando i profilo di un uomo assolutamente insopportabile. E man mano, scopriamo (con le informazioni abilmente centellinate da Hansen) che alla fine un po’ di giustizia divina esiste.
L’aspetto che però rende così pregevole la lettura di questo libro così particolare, è che al di là dell’apparenza cinico-ludica, si nascondono (nemmeno troppo in profondità) messaggi intelligenti e disillusi sulla vita e sull’ecologia, ma anche sui rapporti umani, sulle fragilità e le manie, sul lavoro e le dinamiche sociali, in cui tutti possono riconoscersi. Questo libro veicola concetti non nuovi, ma senza dubbio in modo accattivante, al punto da vestirli di originalità e freschezza.
In conclusione, consigliamo vivamente la lettura di questo libro a chiunque sia un appassionato della letteratura non convenzionale, ma anche a coloro i quali sanno ancora sorridere delle umane disgrazie.
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Scheda: Notte di sangue a Coyote Crossing – V.Gischler
In mezzo allo sconfinato nulla dell’Oklahoma, nella contea di Coyote Crossing, gli abitanti dormono sonni tranquilli, o almeno così credeva il giovane aiuto sceriffo Toby Sawyer, prima di quella notte.
I Jordan sono piombati in città, assetati di vendetta per l’omicidio del fratello Luke, ma il cadavere è scomparso e tutti sembrano avere troppe cose da nascondere per raccontare la verità. Toby deve ritrovare il corpo prima dell’alba, e scoprirà ben presto di non essere il solo a cercarlo: tre killer chicanos gli distruggono il trailer a raffiche di mitra, e lui fa
appena in tempo a fuggire con il figlio in braccio, sotto una pioggia di proiettili.
Nello spazio di una notte, senza potersi fidare di nessuno, uomo o donna, amico o collega, il giovane Toby diventerà uomo, scoperchiando segreti pericolosi che lo costringeranno a combattere contro il cuore marcio di un’intera città e a scontrarsi con i Jordan in un’ultima sfida che profuma di O.K. Corral. Una frenetica corsa contro il tempo tra esplosioni, incendi e inseguimenti mortali. Victor Gischler, adorato non a caso da Joe R. Lansdale e Don Winslow, ancora una volta sfodera humour, velocità e colpi di scena in un noir mozzafiato dal sapore western.l’autore
Victor Gischler vive a Baton Rouge, in Louisiana. È autore di sette romanzi tradotti in dodici lingue, è stato a lungo professore di Scrittura creativa presso la Rogers State University, in Oklahoma, ed è sceneggiatore Marvel per fumetti come The Punisher, Wolverine, Deadpool e la nuova serie degli X–Men che ha venduto solo nella prima settimana più di 100.000 copie. Il suo romanzo La gabbia delle scimmie, che è stato nominato come miglior esordio agli Edgar Award, sta per diventare un film a Hollywood.
Victor Gischler ha la scrittura nel sangue e con The Deputy ha creato una splendida fusione tra padre e figlio della narrativa americana: il western e il noir. Gischler c’è riuscito, e con grande stile. Spero che il protagonista, Toby Sawyer, resti in circolazione ancora a lungo. DON WINSLOW
Victor Gischler non si accontenta di spingere al massimo la scrittura, la porta a danzare sull’orlo dell’abisso. Leggerlo è un divertimento selvaggio. JOE R. LANSDALE
Victor Gischler è quel tipo di scrittore che attira l’attenzione dei colleghi: imprevedibile, capace di saltare da un genere all’altro, un puro piacere per la lettura. LAURA LIPPMAN
Un po’ Quentin Tarantino, un po’ Christopher Moore, Victor Gischler è uno scrittore geniale, completamente fuori di testa. JAMES ROLLINS
I libri di Victor Gischler sono i film che avrebbe potuto girare Quentin Tarantino se avesse lavorato con sceneggiature migliori. ALAN D. ALTIERI