Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]
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L’estate dei morti viventi – J. A. Lindqvist
«Esiste… il pensiero? Anche se Elias era morto e si era essiccato, qualcosa che non era pioggia lo aveva fatto risorgere. Cosa? E cosa faceva sì che continuasse a vivere se dentro di lui c’era il vuoto? Un seme può rimanere inerte per centinaia, migliaia di anni. Essiccato o congelato in un ghiacciaio. Mettetelo nella terra umida e germoglierà. C’è una forza. La forza verde che porterà al fiore. Qual è la forza che agisce nell’essere umano?»
Se leggendo il titolo di questo libro avete pensato di avere di fronte un ennesimo romanzo Z, vi state sbagliando completamente. Non si tratta nemmeno di un horror nel senso classico del termine, a volerla dire tutta. Se avete soppesato questo volume in libreria pensando di trovarci brividi, squartamenti, morti violente e banchetti a base di cervello fresco, scordatevelo.
Chi già ha avuto la fortuna di conoscere ed apprezzare questo autore svedese per la sua opera più famosa, Lasciami entrare, avrà un sospetto su quello che stiamo intendendo.
Lindqvist non è nuovo ad opere singolari come questa, reinterpretazioni originali di cose già viste e sentite, punti di vista inediti su clichè e archetipi noti e stranoti. Per la prima opera si trattava di una rivisitazione umanissima della figura del vampiro; nel caso de L’estate dei morti viventi, coperto dall’apparenza della figura dello zombie, abbiamo l’opportunità di avere un raro esempio di comprensione profonda e non banale della morte.
Attraverso i punti di vista di diversi personaggi, assistiamo a questo fenomeno tanto strano quanto sinistro: a seguito di un’ondata di caldo e di un accumulo di energia inspiegabile, i morti riprendono vita. Non tutti: solo quelli deceduti da non più di due mesi, sepolti o meno, e una volta verificatosi non sembra ripetersi con i decessi più recenti. Questi morti viventi, al contrario di quanto potremmo immaginare, sono del tutto pacifici e non aggressivi (anche se un po’ inquietanti). Hanno però una particolare attività celebrare, molto elementare, che sembra incentivare la telepatia tra i vivi.
Il romanzo, abilmente congeniato e anche molto credibile nonostante tutto, illustra con chiarezza quali potrebbero essere gli effetti pragmatici e spirituali di un simile avvenimento sconcertante, lasciando ampio margine di riflessione.
Il sottotesto offre molti spunti, anche filosofici: è inutile e dannoso anelare a qualcosa (o qualcuno) amato e perduto nel passato, perchè il suo ritorno non sarebbe mai corrispondente al nostro ricordo; la morte non è la negazione della vita, ma ne è il naturale complemento; non identifichiamo la morte come un qualcosa di estraneo e in quanto tale ferino e malvagio, bensì come qualcosa parte di noi, nostra compagna da sempre.
Un romanzo davvero particolare, costruito in crescendo e in progressivo distacco dalla materialità e dalla concretezza. Perchè, per quanto si possa affrontare l’argomento dai più creativi punti di vista, la Morte è e resta una faccenda intima e spirituale, che ciascuno deve fronteggiare da solo, sia la propria che quella di chi dobbiamo lasciar andare.
Lettura consigliata per una buona dose di riflessioni.
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L’ultima sposa di Palmira – G. Lupo
Il grande terremoto del 1980 che colpì l’Irpinia e fece tanti danni e tanti morti in Campagna e Basilicata, fece scomparire anche un piccolo paese, ignoto ai più, dall’esotico nome di Palmira. Si reca sul posto un’antropologa, per documentare la realtà locale del disastro. Invece di trovare la disperazione che ha già visto più volte in scenari simili, incontra un falegname, Mastro Gerusalemme, che sta realizzando i mobili per una futura sposa, Rosa Consilio, l’ultima sposa di Palmira. Attraverso un intarsio e una visita al paese distrutto, Mastro Gerusalemme racconta storie al limite del surreale, del fantascientifico e del pagano, che hanno popolato Palmira e i suoi abitanti di superstizioni, riti scaramantici e misteri.
L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo racconta, con uno stile che definiremmo quasi desueto, una storia fatta di misteri e credulità popolare che ci fa ricordare La casa degli spiriti della Allende, forse portato ancora più all’estremo.
La cura e la scelta di ciascuna espressione traspare da ogni pagina: nessuna parola è stata lasciata al caso, anche la scelta di vocaboli di marcata “meridionalità” manifesta una scelta ponderata e voluta, che serve ad avvolgere il lettore nelle spire del tempo, portandolo indietro, facendogli credere di leggere un romanzo dei primi del ’900 invece di un testo moderno. Stride, infatti, rendersi conto che il testo è ambientato solo nel 1980, e fa quasi storcere il naso leggere di oggetti e concetti moderni.
In questo libro a farla da padrone è certamente lo stile, come detto, e senza dubbio questi episodi così particolari fanno sì che la lettura non sia mai monotona o prevedibile. A parte questo però, questo libro ha un po’ poco mordente, poco ritmo, forse perchè non ha una vera e propria evoluzione, bensì racconta uno spaccato di vita inframmezzato di racconti che fanno parte di uno stesso contesto ma che riescono poco a formare un tutt’uno organico.
La lettura è lenta, meditativa forse, ma con poco sprone per proseguire.
Nel complesso non si può certo dire che sia un cattivo libro, ma forse è dedicato a palati adatti, che ricercano storie immaginifiche di vecchio stampo, che amano perdersi dietro chimere e antichi fuochi fatui.
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