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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

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Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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Soffocare – C. Palahniuk

Postato da Legione il 29 Settembre 2013

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Victor Mancini è un sessodipendente occupato in un villaggio di rievocazione storica americana. Per mantenere la madre in fin di vita in un ospedale psichiatrico, ogni sera Victor finge di soffocare in ristoranti sempre diversi, accrescendo le schiere dei suoi salvatori.
Il suo bisogno di sentirsi amato si concretizza nella creazione di questi legami, nel dare importanza ad uno degli avventori che diventa un eroe, anche attraverso la sua stessa autodistruzione.

Soffocare di Chuck Palahniuk è un romanzo che riprende a pieno titolo i fasti decadenti, paradossali e drammatici di quell’opera di culto che è diventata Fight Club.
Nel suo stile particolarissimo, l’autore ci porta di nuovo in uno scenario umano assurdo ma non per questo meno credibile, nel quale la fragilità umana è ancora al centro del romanzo.
Una lettura appassionante, anche istruttiva, come Palahniuk ci ha spesso insegnato, che cattura il lettore e lo porta con sè attraverso le sue evoluzioni fino al suo sconcertante finale. Gli spunti di riflessione sono molteplici, a partire da quelli più evidenti come la necessità di essere amati, il rapporto spesso conflittuale tra madre e figlio, la dipendenza e la liberazione dalla dipendenza (e il diventare dipendenti di un’altra cosa ancora, fosse anche solo della speranza), la menzogna e le bugie a fin di bene, il saper dire di no, il voler prendere in mano la propria vita e l’accettazione del cambiamento. Molti altri temi vengono toccati o allusi nel romanzo, e come sempre parte del piacere nella lettura sta proprio nell’individuarli. Nulla in Palahniuk è lasciato al caso, in questo libro più che mai.

Una lettura assolutamente consigliata.

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Dannazione – C. Palahniuk

Postato da Legione il 5 Giugno 2013

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«Mi sente, Satana? Sono io, Madison. Non è vero che quando muori la vita ti passa davanti. Non tutta, almeno. Alcune parti magari sì. Altre, possono volerci anni e anni prima di riuscire a recuperarle. Credo che sia questa la funzione dell’inferno. E’ un luogo dove ricordare. Ma non solo: lo scopo dell’inferno non è tanto quello di dimenticare i dettagli delle proprie vite, quanto di perdonarli. Ebbene sì, i morti hanno nostalgia di tutto e di tutti, ma non rimangono aggrappati alla Terra per sempre.»

Madison ha tredici anni appena compiuti, si vede grassottella, bruttina, ma è molto consapevole della sua intelligenza. E’ figlia di ricche e notissime celebrità del jetset hollywoodiano, fissate con il salutismo, la tutela dell’ambiente e la beneficenza, ma che poi indulgono in psicofarmaci, droghe e abitudini decisamente poco ecocompatibili.
Questa ragazzina potrebbe essere una delle molte, vessate figlie di vip, se non fosse per un piccolo particolare: è morta.
Dannazione di Chuck Palahniuk è un romanzo del 2011 in prima persona, nel quale Madison racconta la sua personalissima esperienza dell’inferno, che è molto diverso da come siamo abituati ad immaginarlo, e ripercorre in flashback i tratti salienti della sua breve vita.
Anche in questo romanzo possiamo ritrovare alcune delle caratterische che ci fanno tanto amare l’autore, ma qualcosa stona rispetto ad altre opere precedenti.
Sarà l’ambientazione decisamente distaccata dalla realtà (per quanto ci siano molti ottimi spunti di riflessione parecchio concreti), sarà la voce lucida e matura della ragazzina: la lettura procede scorrevole, forse troppo, e la sensazione alla fine è quella di non essere arrivati davvero da nessuna parte.
La trama è piuttosto chiara e lineare, eppure alla lettura sembra di registrare alcuni cambi di rotta in corso di navigazione.
Il risultato è un romanzo comunque pregevole, ma meno scioccante e diretto rspetto alle opere precedenti, più conformato alla letteratura contemporanea.

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Portland souvenir – C. Palahniuk

Postato da Legione il 24 Marzo 2013

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«L’intera città [...] soffre del “complesso del minidotato”. [...] Portland compensa le sue ridotte dimensioni facendo casino e dando fastidio.»

Un libro che è un punto di congiunzione tra la guida turistica, la raccolta di racconti e la biografia. In Portland souvenir, Chuck Palahniuk racconta la vita nascosta della sua città e ce la mostra attraverso gli occhi di ci ha vissuto una vita ne conosce pregi e segreti.
Portland ci viene presentata come una fucina ricca di paradossi e assurdità, di estremi, di sottointesi, di segreti di Pulcinella che conoscono tutti, almeno quelli meglio inseriti nei giochi d’ombra.
Ogni capitolo è dedicato ad un’area tematica, con consigli puntuali tipici della guida turistica, con tanto di indirizzi e numeri di telefono a cui fare riferimento. Le interviste e i personaggi mostrati danno ancora più concretezza alle descrizioni.
Ciascun capitolo è seguito da una “cartolina”, che come spiega l’autore, non proviene tanto da un luogo preciso ma da un momento particolare. Sono frammenti, episodi, provenienti dalla vita di Palahniuk, che danno un assaggio del suo passato e del sapore reale della città.
La conclusione che si può trarre dalla lettura di questo non-romanzo è, a nostro avviso, una sola: l’autore ha attinto a piene mani dalle esperienze e dall’anima della sua città per la realizzazione dei suoi romanzi. Dopo aver letto i suoi microracconti, romanzi come Fight Club ne risultano quasi sintesi ovvie. La realtà allucinata, drammatica, grottesca ed estrema che racconta sono come la prosecuzione del naturale andamento della vita di quella città.
O forse è il suo occhio che ha saputo catturare la realtà bizzarra celata sotto la superficie di una delle pacifiche cittadine del Northwest americano.

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Cavie – C. Palahniuk

Postato da Legione il 8 Marzo 2013

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Prendi un gruppo di aspiranti (e sedicenti) scrittori e chiudili in un ex cinema per tre mesi. Dai loro riscaldamento, acqua e cibo liofilizzato in abbondanza, una camera piccola ma decorosa per ciascuno, lavatrice e toilette funzionanti. Rinchiudili privandoli di stimoli esterni abbastanza a lungo e vedrai come l’istinto dell’uomo verrà a galla e la necessità atavica del dramma prenderà il sopravvento.

Questo “romanzo di storie” di Chuck Palahniuk, Cavie, viene considerato dai più un libro disgustoso. Beh, è impossibile argomentare contro questa asserzione: è vero, quello che viene narrato in queste pagine va ben oltre ciò che una persona grossomodo mentalmente equilibrata potrebbe mai immaginare, anche cercando di immaginare il peggio.
Ho letto romanzi horror che descrivono con dovizia di dettagli le peggiori crudeltà, eppure questo romanzo è riuscito ad alzare di qualche tacca la mia personale soglia di sopportazione allo schifo.
Non è però il disgusto fine a sè stesso l’oggetto di questo romanzo, anzi. A ben vedere, potrei chiedermi come mai io sia riuscita ad arrivare al fondo delle 400 e più pagine senza nemmeno un filo di nausea, nonostante tutto.
Al solito Palahniuk ci getta in un tunnel (o in un cinema) e ci racconta delle storie alienanti, che sembrano troppo assurde per non essere vere, e al di sotto della superficie (un po’ viscida a causa del grasso disciolto) si intravede un disegno, un messaggio, grande e unico, un modo di vedere la realtà che una volta conosciuto non si può smettere di vederlo ancora e ancora, ovunque.
L’autore tratta fin dal suo Fight Club l’atavica tendenza dell’uomo all’autodistruzione, senza la quale probabilmente non avrebbe modo di vivere. Senza il dramma, il rischio della sua stessa fine, non avrebbe nemmeno senso esistere.
Un romanzo crudissimo, che somministra oscenità inaspettate come snocciolasse scene già viste a cui tutti siamo già assuefatti, e che dimostra quanto labile sia il confine tra salute e follia, morale e immorale, vittima e carnefice.
Singolarissimo il rapporto con i personaggi: il narratore è posizionato in una prima persona plurale, che colloca il lettore in una posizione centrale rispetto alle vicende, eppure, la mancanza di un “io”, fa sì che sia l’unico vero osservatore interno e super partes della storia (l’obiettivo che sta dietro l’obiettivo che sta dietro l’obiettivo).

Un romanzo consigliato solo ai lettori dallo stomaco forte e non troppo impressionabili: il rischio è quello di lasciarsi sopraffarre dal senso di disgusto di superficie senza poter apprezzare il contenuto e il messaggio.

Recensione scritta da Sayu

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Survivor – C. Palahniuk

Postato da Legione il 26 Marzo 2011

Sono pochi gli autori che riescono a catturare in modo così tenace in lettore al punto di provocargli un voluto senso di malessere quando riesce a fare Chuck Palahniuk con i suoi libri.
L’ultimo che abbiamo letto è Survivor, opera non nuovissima ma certamente degna di essere accomunata a opere più note come Fight Club.

Anche questo libro inizia dalla fine, e si dipana come un lungo flashback. Un uomo è su un aereo, vuoto, che si schianterà tra qualche ora nel deserto australiano. Non sa quanto tempo gli rimane, sa solo che la sua ultima cosa da fare è lasciare traccia della sua vita e dei fatti che l’hanno portato lì. Quindi racconta la sua storia al nastro della scatola nera dell’aereo, mentre questo va in contro al suo destino.
Iniziamo quindi a conoscere quest’uomo senza nome (in senso letterale) e, con lo stile tipico di Palahniuk, frammentario, colloquiale, ricco di ripetizioni, misto di pensieri, contraddizioni e interruzioni, scopriamo passo passo la sua storia.

La vera maestria dell’autore risiede proprio in questo suo narrare apparentemente caotico e sconclusionato, perchè, nonostante ciò, il lettore riesce sempre a scoprire al momento giusto quello che è giusto che sappia.
Con salti avanti ed indietro nel tempo, con peregrinazioni dentro e fuori la mente del protagonista, scopriamo che è l’ultimo sopravvissuto di una setta religiosa suicida e che qualcuno sta cercando di ucciderlo, quando lui non desidera altro che morire ed eseguire l’ordine che la sua comunità ha già eseguito. C’è molto altro, ma non vogliamo spoilerarvi nulla di questa trama, perfetta come un castello di carte, così assurda e paradossale come solo la verosimiglianza può essere.

La sensazione che pervade questo libro è il peso dell’ineluttabile, del destino, dell’impossibilità o l’incapacità di decidere.
La vediamo dapprima in forma palese, con le rigide regole che la comunità Creedish impone ai suoi, poi in forme sempre diverse, in un susseguirsi di vincoli, menzogne, obblighi, imposizioni che rendono di fatto già scritta la vita del protagonista.
Questo si esprime anche molto bene nell’espediente stilistico del flashback (tutto opererà per portarmi qui) e anche nella curiosa trovata editoriale di numerare le pagine e i capitoli a ritroso. Il senso del conto alla rovescia verso lo schianto finale è quindi reso perfettamente, con notevole grado di coinvolgimento.
Insomma, a tutti coloro che apprezzano Palahniuk per la sua mente crudele, contorta e brillante, non possiamo fare altro che consigliare di leggere anche questo romanzo e di tenere duro fino alla fine.

Survivor (Piccola biblioteca oscar)

Invisible monsters – C. Palahniuk

Postato da Legione il 7 Gennaio 2011

Invisible Monsters, primo libro in ordine di creazione partorito dalla contorta (e malvagia) mente di Chuck Palahniuk, apripista per quel capolavoro da sfondamento che è Fight Club del quale abbiamo già parlato e con il quale condivide senza dubbio la sensazione di caos organizzato, il nocciolo di autodistruzione ed i colpi di scena insospettabili.
Mantenendo una strettissima prima persona, Palahniuk si cala nei panni e nei lustrini della protagonista, che ci rimane senza nome fino alle ultime battute, bellissima modella di successo, devastata da un incidente che le porta via, letteralmente, metà del viso. In questa nuova versione di sè stessa, così agli antipodi, conosce la splendida Brandy Alexander, la regina glamour della chirurgia plastica, meravigliosa transessuale ad un passo dalla completezza. Brandy le farà da mentore, indicandole una via per creare una nuova persona e per chiudere con un passato che non le può più appartenere, ma al contempo guidando sè stessa nel cammino verso la sua ultima tappa.

Il tema fondamentale che tornerà poi anche in Fight Club, è l’autodistruzione, l’annullamento del proprio modo di essere precedente, “normale”, per andare incontro a qualcosa di mutilato e, per questo, nuovo, base per essere una persona diversa e, per certi versi, più viva e più vera. L’invisibilità in questo caso è solo una limitazione apparente: nel romanzo ci vengono mostrati, in mille modi diversi, le sfaccettature di questa condizione: la bellezza sfacciata, la mostruosità, la diversità in senso lato.

Lo stile dell’autore è oscillante, anzi, beccheggiante, irregolare: i fatti sono presentati espressamente e volutamente senza seguire alcun ordine temporale, correndo di qua e di là tra un “molto prima” e un “molto dopo”, avanti veloce, fermo immagine, flash di sensazioni, episodi in ordine sparso e in apparenza casuale e senza un legame. La grammatica viene sovvertita o ignorata, spargendo frasi senza verbo, ripetizioni e asserzioni ridondanti (il quasi onnipresente “Io e Brandy, noi” che torna di continuo, come a ricalcare senza ombra di dubbio il rapporto tra le due). Proprio qui sta la genialità di Palahniuk: in un caos organizzato al millimetro, ci somministra sempre e solo le informazioni che è bene conoscere, e nonostante il continuo beccheggiare, riesce ad essere chiaro e trasparente, senza smarrirsi nei flash, disegnando personaggi terribili e scene grottesche, arrivando al punto in cui il lettore crede di aver capito il meccanismo per poi sovvertirlo di nuovo con colpi di scena dal tempismo perfetto e cronometrico, fino al messaggio clou, ovvero che mai niente e nessuno è esattamente come sembra.

Magnifico e profondissimo libro, crudo e cattivo al di là dell’umana concezione, acido e caustico come pochi. Uno stile inimitabile per una mente davvero sopra le righe.

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Fight Club – diretto da D. Fincher

Postato da Legione il 15 Dicembre 2010

Leggendo il primo grande successo di Palahniuk, ci siamo chiesti come avrebbe fatto Fincher a trasporre un’opera così eclettica e particolare sul grande schermo. Quindi abbiamo guardato l’omonimo film, Fight Club, con una notevole aspettativa. Ne è risultato un film, se possibile, ancora più delirante dell’opera originale. Di grandissimo effetto e immediato cult, come infatti è stato, gli espedienti sono dei colpi da maestro.
A partire dalla scelta dei protagonisti: uno spregiudicato, scolpitissimo, muscolosissimo e dal pessimo gusto in fatto di abbigliamento Brad Pitt, crea un binomio stridente e perfettamente ossimorico con Edward Norton, ottimo nella sua parte di impiegatino ingabbiato nella sua tranquilla e rassicurante routine.
Entrambi gli attori danno viso e corpo a personaggi complessi in modo efficace e sono in grado di comunicare i messaggi fondamentali dell’opera scritta, non solo grazie alle loro parole ma anche e soprattutto attraverso l’espressività del linguaggio del corpo, aiutato e supportato da una regia impareggiabile.
Menzione speciale per la sempre singolare Helena Bonham Carter, che sembra selezionare solo parti borderline: a prescindere dal profilo della singola produzione (da Harry Potter a Sweeney Tood, giusto per citarne due) la sua interpretazione brilla sempre per il carattere che riesce ad imprimere al proprio personaggio. Marla Singer non fa eccezione.
Come già detto, ottima la regia: una sceneggiatura difficile, un concept articolatissimo, un cast di qualità, orchestrato alla perfezione per rendere giustizia ad un romanzo che ha certamente segnato un’epoca.

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Fight Club – C. Palahniuk

Postato da Legione il 1 Dicembre 2010

“Prima regola del Fight Club: non si parla del Fight Club.” Questa battuta è entrata nella storia del cinema, grazie al film omonimo del libro di cui vogliamo parlare oggi: Fight Club, appunto, di Chuck Palahniuk.
Romanzo di esordio di questo misterioso autore, pubblicato nel 1996 fu subito un successo, attirando l’attenzione del pubblico grazie a quello che è diventato lo stile Palahniuk che in molti hanno cercato di copiare e personalizzare con dubbi successi. Leggendolo, abbiamo compreso bene su cosa si fonda questa celebrità.

Partiamo dalla trama e il concept: il nostro narratore senza nome e senza volto, schiacciato dalla normalità della sua vita e dall’insonnia, si aggira tra i gruppi di sostegno di malati terminali, per sentirsi toccato dalla vita vera e dall’angoscia, per potersi sfogare e riuscire finalmente a dormire. Grazie a questi gruppi conosce una ragazza sbandata almeno quanto lui, Marla, e se ne sente perseguitato. Finchè un giorno conosce Tyler, che sembra essere tutto ciò che al narratore manca: risoluto e deciso fino alla crudeltà, Tyler lo guida in un cammino di autodistruzione e fonda con lui il primo Fight Club. Perchè solo distruggendo se stessi e combattendo i propri fantasmi, arrivando ad un passo dalla morte si può iniziare a vivere veramente.

Come si può vedere, la tematica trattata non è delle più originali, potremmo attingere a concetti molto simili in un libro a caso di Irvine Welsh. Eppure Palahniuk ci riserva continuamente sorprese: condensa in poco più di 200 pagine concetti crudi e drammatici, ci mostra uno scenario di anarchia e crudezza (e assurdità sardonica, anche), ci fa entrare in un meccanismo e nella sua logica, per poi sovvertirlo imprevedibilmente, lasciandoci spiazzati e turbati e facendo assumere all’intera storia una luce del tutto inaspettata.

Parliamo dello stile: in strettissima prima persona, il narratore ci racconta le vicende in modo assolutamente non lineare, anzi, muovendosi tra fatti e pensieri in modo indeterministico, saltando apparentemente di palo in frasca per poi arrivare al punto di unione, facendo comprendere al lettore che nulla è stato detto per caso. La sua capacità di coinvolgere con la sua prosa dura e lapidaria, ma al contempo perfettamente curata e per certi versi poetica, è affascinante.

Una lettura fondamentale, avvincente e imperdibile.

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