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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Archivio del 2010

Le ore sotterranee – D. de Vigan

Postato da Legione il 7 Luglio 2010

copertina le ore sotterranee Le ore sotterranee è il nuovo libro recentemente pubblicato da Mondadori dell’autrice francese Delphine de Vigan, che si è presentata al grande pubblico con il suo romanzo di esordio, Gli effetti secondari dei sogni nel 2008.
La trama è semplicissima: è il 20 maggio, e in questo giorno le vite di Mathilde e Thibault cambieranno. Non sanno ancora come, ma succederà. I due non si conoscono, non sospettano nemmeno dell’esistenza l’uno dell’altra, ma hanno molto in comune. Entrambi sono sull’orlo, osservano l’abisso spalancato davanti a sè e ne sono attratti. Oscillano su questo baratro e basterebbe davvero niente per farli precipitare. Mathilde è vittima delle manovre di annientamento da parte del suo capo e mentore, non lavora più, è relegata in un angolo, ha smesso di esistere agli occhi dell’azienda. Thibault è un medico, inghiottito dal dolore che vede ogni giorno, vorrebbe una dimostrazione di affetto dalla donna che ama ma che non sa riamarlo, colei che sa solo dire “grazie” per quello che lui le da.
Il 20 maggio i loro destini cambiano, ma non come ci si aspetterebbe da un romanzo, con un happy end che mette ottimismo, ma come solo la vita vera sa fare, attraverso i piccoli gesti, sguardi, decisioni.
Le ore sotterranee non è esattamente un romanzo, è un racconto lungo, perchè dal racconto mutua la rapidità di comunicazione e la possibilità di andare dritti al nocciolo del problema, senza fronzoli, anche creativamente. La narrazione è serrata, claustrofobica, difficile da reggere sulla lunghezza, a frasi brevi, spezzate, ricche di sensazioni e di introspezioni ma frammentarie. Ma quando si arriva alla conclusione e si leggono le ultime pagine, si capisce quanto sia stata brava l’autrice a descriverci questa vicenda attraverso l’uso di queste frasi, e a trasmettere il senso di cambiamento, leggero ma inevitabile, che può coinvolgere ciascuno quando le vite si incrociano, anche solo per un istante.
Un libro molto intenso, che si lascia leggere in un sol fiato, farcito da quella sensazione di solitudine ineluttabile che già permeava il romanzo precedente, una sensazione così stabile e quotidiana da aver perso la sua violenza, fino ad essere percepita come condizione di normalità.
Un libro veramente pregevole, che ci sentiamo di consigliare a tutti, perchè fa riflettere, con i denti nella carne, su quanto possa essere terribile la normalità.

Scheda: “I falsificatori” – A. Bello

Postato da A&C Staff il 3 Luglio 2010

copertina i falsificatoriI falsificatori
di Antoine Bello
Fazie Editore, in libreria dal 16 luglio 2010
pp. 350 ca – euro 18,50

Narrazione paranoica, opera d’avventura, di spionaggio e di attualità insieme, I falsificatori, dietro la riflessione sull’informazione e la rappresentazione del mondo, mostra l’ombra di uno scrittore-demiurgo che ci conduce dove vuole, qualunque sia lo scenario descritto. I falsificatori e il sequel Gli illuminati hanno venduto in Francia oltre 100.000 copie, vincendo il Prix du Livre France Culture Télérama nel 2009.

“I falsificatori è un immenso elogio della letteratura, così come un magnifico strumento di falsificazione della realtà e dei fondamenti stessi delle nostre esistenze.” Vogue

“Lontano dall’impantanarsi nelle teorie del complotto, Antoine Bello offre una delle analisi più mature e meglio documentate della deriva americana”. Lire

Questa è la storia di un’organizzazione segreta internazionale, il CFR (Consorzio per la Falsificazione della Realtà), che da tempo immemore, senza che nessuno ne abbia mai sospettato l’esistenza, reinventa il reale per fini e moventi ignoti ai suoi stessi membri.
Questa è la storia di cosa si nasconde dietro ad alcuni degli eventi che hanno costituito le fondamenta stesse del nostro tempo: di Laika, la cagnetta lanciata nello spazio, che non è mai esistita; di Cristoforo Colombo, che non ha mai scoperto l’America; dei “presunti” archivi della STASI; del crollo delle Torri Gemelle, e di una guerra in Medio Oriente giustificata da una montagna di menzogne.
Questa è la storia di un gruppo di infiltrati geniali che, un giorno dopo l’altro, hanno stabilito le coordinate della tua vita, i tuoi punti di riferimento, le tue idiosincrasie, le tue certezze. Perché il tuo tempo, così come il tempo di chi ti ha preceduto, è opera loro. Ed è la storia di un giovane uomo, ingaggiato dal CFR, che tenterà di comprendere per chi o cosa in realtà lavori.

Antoine Bello è nato nel 1970 a Boston. Cresciuto in Francia, a 17 anni ha iniziato a frequentare il Politecnico per laurearsi poi a Harvard. Cofondatore della multinazionale Ubiquis (40 milioni di euro come giro d’affari nel 2006), nel 2007 ha creato il sito internet Rankopedia (rankopedia.com), che stila classifiche su tutti i soggetti immaginabili. Nel 2007 ha pubblicamente sostenuto la candidatura di Sarkozy. Vive dal 2002 a New York con la moglie e quattro figli. Tra le opere precedenti, la raccolta di racconti Les funamboles (Gallimard, 1996), vincitore del Prix littéraire de la Vocation Marcel Bleustein-Blanchet, e Elogio del pezzo mancante (Bompiani, 2000).

«Una riflessione giocosa sulle infinite reinterpretazioni della Storia, ma anche una bella metafora del mestiere dello scrittore. Perché scrivere, in definitiva, cos’è se non dare alle finzioni più folli l’apparenza di un’indubitabile realtà?». Le Magazine Littéraire

«Il romanzo più entusiasmante e profondo di quest’anno». Les inkoruptibles

«Inventivo, ludico, bizzarro e inquietante al tempo stesso, I falsificatori farà storia». Livres Hebdo

«Un romanzo da legger a perdifiato, intelligente, dai temi e dalla scrittura profondamente moderni». Lire

«Con diabolica inventiva, Antoine Bello mescola i codici narrativi del thriller metafisico e del romanzo d’anticipazione per trasportarci in un universo a metà tra Kafka, Borges e Orwell». Technikart

Il giardino segreto – Frances H. Burnett

Postato da Legione il 30 Giugno 2010

Trama: una giovane ragazzina malata che ha perso la famiglia in india, un misterioso ragazzo isterico afflitto dalla paura di dormire e un giovane capace di parlare con gli animali si incontrano nella brughiera inglese e cercano di scoprire cosa sia la vita in un giardino dal passato tragico.

C’è sempre da imparare dai libri per ragazzi, questo è certo. Ogni volta che ne prendiamo in mano uno pensiamo di trovarci al più una simpatica favola e, pagina dopo pagina, ci troviamo ad affrontare qualcosa di noi stessi che non avevamo il coraggio di vedere e magari ci viene voglia di cambiare, o almeno di provarci.

Ne Il Giardino Segreto quello che siamo costretti ad osservare è il nostro passato, ormai perduto, a contatto con la natura e con la sua misteriosa magia. Purtroppo, per come sta progredendo (?) il nostro stile di vita una storia del genere sarà sempre più difficile da realizzarsi. Dove sono finiti i salti con la corda di Mary? Dove sono finiti la curiosità per una gemma che si schiude, per le strane abitudini degli animali? Per noi che facciamo parte di quella generazione a cavallo tra il mondo prima e quello dopo l’avvento dei computer, forse sono un bel ricordo nostalgico.

Che pagina dopo pagina, accompagnato dallo stile scorrevole e leggero ma non per questo superficiale della Burnett, diventa una preoccupazione per i figli che forse un giorno avremo. E, perché no, un incentivo per fare qualcosa perché anche loro possano vivere nella natura come abbiamo fatto noi.

(Non mi sarebbe dispiaciuto un accenno ad un intrallazzo amoroso tra i tre protagonisti, avrebbe aggiunto un tocco di verosimiglianza al romanzo. Ma tant’è, non si può avere tutto.)

Edito da: Salani. Collana Gl’Istrici. Bella la copertina anche se un po’ scolorita nella parte bassa, ma temo sia un difetto della mia copia. Purtroppo la colorazione sparisce un po’ sulla piega da lettura, quindi i colori potevano essere di qualità un po’ migliore. La traduzione mi è sembrata buona, con un buon adattamento italiano del linguaggio infantile e campagnolo inglese. Buoni sia inchiostro che carta e impaginazione. Vale quasi tutti i soldi spesi.

Recensione scritta da RM

Tutto per una ragazza – N. Hornby

Postato da Legione il 25 Giugno 2010

Di questo libro, “Tutto per una ragazza” abbiamo letto una recensione che esordiva più o meno così: “L’ho sempre detto: Hornby è un furbacchione”. Ci troviamo perfettamente d’accordo. Hornby è un furbacchione, e non è una novità. Ci ha raccontato la storia di un Peter Pan un po’ cresciuto in Un ragazzo, ci ha parlato di calcio, di aspirazione al suicidio, di musica e di libri, sempre condendo la sua prosa con quel tocco di ironia sapida e così british da rendersi inconfondibile.
Questo romanzo probabilmente non è il più noto della produzione di Hornby ma forse è l’esercizio di stile più notevole. Ci scrive fingendosi un diciottenne che narra l’inizio delle sue travagliate vicende quando di anni ne avea solo 16. Il risultato superficiale, secondo i più, è un romanzo indirizzato ai ragazzi e young adult, ma noi non siamo di questa idea. L’autore interpreta la parte dell’adolescente incasinato con una tale precisione e credibilità da renderlo estremamente efficace, ma al contempo inserisce valutazioni e pensieri profondi da adulto che solo un adulto sa cogliere. Un coetaneo del protagonista probabilmente mal sopporterebbe questi appunti, anzi, probabilmente mal sopporterebbe l’intero romanzo.
Sam, il ragazzo sedicenne, ha come uniche preoccupazioni nella vita la scuola, il futuro e lo skate. Ad una festa non conosce Alicia, che gli fa scoprire un mondo ed una serie di “attività” che non avevano mai suscitato il suo interesse. Finchè, un giorno… non scopre che potrebbe diventare padre, e allora tutto assume una dimensione diversa.
Questo romanzo probabilmente nasce sulla scorta della situazione sempre attuale del problema delle maternità in età giovanile nel Regno Unito. Non è però un libro educativo o moralista: affronta con semplicità il terremoto che una notizia del genere provoca nella vita di chiunque, in particolare per un ragazzo così giovane. La prosa è colloquiale e diretta ma soprattutto disarmante, comunicando, come spesso fa Hornby con tanta maestria, esattamente quello che ciascuno di noi intimamente pensa, ma che non ha il coraggio di esternare.
Hornby anche con questo volumetto fa centro nel bersaglio, sviscera l’argomento e lo seziona fino al dettaglio più imbarazzante e scomodo, e come sempre lo fa con arguzia ed ironia, lasciando sempre quel leggero retrogusto amarognolo, che nasce dal riconoscimento delle intime verità della vita.

Norwegian wood – H. Murakami

Postato da Legione il 21 Giugno 2010

Trama: Toru è un ragazzo strano. Vive nel suo mondo e non si cura degli altri, ma ha sempre qualche insicurezza che gli crea problemi. Si innamora di Naoko, ma lei è profondamente segnata dalla morte del suo prim ragazzo Kizuki. Mentre cerca di riportarla alla normalità, in un vortice di morte si uniscono alla storia anche l’energica Midori e l’affascinante Nagasawa.

Questo libro è bellissimo e ogni lettore con un minimo di sale in zucca -e di gusto, ovviamente- dovrebbe leggerlo. Per il resto, ho capito da un bel pezzo che i romanzi giapponesi del dopoguerra non sono esattamente descrivibili a parole, troppo distanti dalla nostra cultura letteraria e troppo complicati perché uno come me riesca a scriverci su senza risultare -ai miei stessi occhi- patetico.

Posso parlare, al massimo, di quello che per me questo libro rappresenta. Anche se in maniera un po’ astrusa, non posso fare a meno di vederci un periodo della mia vita nero come la pece del quale ancora mi porto gli strascichi: non posso fare a meno di rivedermi in Toru -anche se senza le sue grandi capacità da amatore- e di trovare nella figura di Naoko alcune analogie con persone che in un modo o nell’altro hanno segnato la mia vita.

Ogni volta che metto mano a Norwegian Wood io entro in un mondo separato da quello reale, dove smetto di percepire quello che ho attorno e vivo solamente in funzione del libro: che so già come andrà a finire -lo sapevo anche alla prima lettura, maledetta prefazione, evitatela come la peste- eppure questo non mi serve a prepararmi. E così ogni volta sempre la stessa storia, sento qualcosa che si incrina, scricchiola, forse proprio si rompe.

Completamente al di fuori dalla normale produzione di Murakami, lo scrittore giapponese credo che dia qui il suo massimo in ogni senso: la storia, una vera e propria narrazione della vita di tutti i giorni priva di ogni elemento surreale, lo stile così delicato eppure pungente, penetrante, che riesce a travolgermi. Facendo danni, ovviamente, lasciando dentro di me segni del suo passaggio.

Credo che nella propria vita ognuno abbia “il proprio libro”, quello indimenticabile, quello da aprire per trovare sempre qualcosa da leggere, anche in poche righe. Norwegian Wood, per il momento, è il mio.

Edito da: Feltrinelli. In questa seconda edizione hanno corretto gli errori di rilegatura della precedente, inoltre mi piace molto di più il formato tascabile dei libri di Murakami, trovo le copertine molto più belle.

Recensione scritta da RM

La spada che canta – J. Whyte

Postato da Legione il 17 Giugno 2010

Come avevamo accennato nella recensione del primo volume, La pietra del cielo, eccoci a parlare del secondo romanzo di Jack Whyte parte del ciclo detto “Le cronache di Camelot”. La spada che canta forse è il romanzo più noto dell’autore, e segue da vicino gli eventi narrati nel primo volume. Lo stile è sempre il consueto, estremamente narrativo e scorrevole costellato e guidato dal resoconto storico. Forse proprio per questa sua continuità dal primo libro, è difficile sintetizzarne la trama, si può dire però che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare dal titolo, la spada che canta, ovvero Excalibur, appare solo nelle ultimissime pagine, così come la maggior parte degli eventi veramente salienti viene rimandata, un po’ prevedibilmente, alla fine. Con questo volume termina la voce narrante del fabbro Publio Varro, gettando le basi per il narratore dei prossimi volumi, il celebre nipote Merlino.
Come già detto in precedenza, pregevole è l’impostazione della narrazione di Whyte, che fornisce un background storico che la rende verosimile e sempre aderente agli avvenimenti reali, ma al contempo presenta sotto una luce piuttosto inedita le vicende che anticipano la venuta di Artù, come una lunga ed ampia saga familiare e personale, del tutto scevra di misticismi o sensazionalismi che la letteratura di genere ci ha spesso fornito su questo tema.
Dobbiamo ammettere però di essere contenti di poter avere un cambio di narratore per almeno uno dei prossimi libri del ciclo: uno dei principali difetti dell’esposizione di Whyte è la caduta, spesso, nei toni banali ed autocelebrativi. Essendo il tutto impostato come una cronaca di vicende accadute in prima persona dal narratore, risulta un po’ stridente questo continuo affermare i successi e del protagonismo del personaggio. Sé stesso ed i suoi congiunti sono sempre i più svegli i più furbi, i più importanti, le idee che da loro scaturiscono sono sempre le più geniali e definitive, il consenso suscitato è equanime. Sul lungo periodo di due ponderosi romanzi come questi, il risultato è effettivamente un po’ pesante.
Tutto sommato però, l’abbiamo trovato interessante, sufficientemente poco impegnativo per permettere al lettore di poter passare sopra a queste pecche, costituendo una lettura di svago senza pretese e con la possibilità di scoprire qualche aspetto delle leggende arturiane di cui non sospettavamo l’esistenza.

La biblioteca dei morti – G. Cooper

Postato da Legione il 13 Giugno 2010

Trama: nel 2009, un serial killer colpisce le sue vittime in modo misterioso e la FBI non riesce a cavarne piede. Nel 782, un bambino nasceva sotto una cattiva stella.

Facciamo un piccolo esercizio mentale. Prendete un vecchio convento del medioevo inglese, metteteci un ragazzino che conosce tutte le date di nascita e morte degli uomini di questa Terra e aggiungeteci qualche violenza sessuale e i misteri della cristianità. È, secondo voi, un elemento di thrill, di tensione? No.

Prendete la storia di un misterioso serial killer che sceglie le sue vittime a casaccio e non si riesce a capire come le ammazzi. Aggiungetevi un agente del FBI, l’Area51, i marines, Winston Churchill. È un elemento di thrill? Può esserlo.

Prendete un thriller e metteteci dentro questi due ingredienti. Cosa ne esce? Non fatemelo dire, potrei essere volgare. La Biblioteca dei Morti è esattamente questo, un libro che parte con delle ottime premesse, ben scritto e avvincente, ma che si tramuta in una solenne stronzata (ok, l’ho detto) appena l’autore ci inserisce la volontà divina, la fine del mondo e blablabla. Cazzate, su cazzate, su cazzate, che rendono una buona metà del libro decisamente difficile da accettare e digerire. Quindi non sorprendetevi se salterete a pié pari interi capitoli, tanto la storia si capisce lo stesso. Era un thriller banale, Cooper l’ha risolto in un’oscenità. Peccato.

p.s. È recente la notizia dell’uscita di un secondo romanzo che farebbe da seguito a questo. Lo leggerò? No, non credo.

Edito da: Mondolibri. Rilegatura, qualità della carta e dell’inchiostro sono ok. Peccato che, come tutti i libri della Mondolibri, abbia una copertina veramente brutta a vedersi e che l’editing della traduzione non sia esattamente il massimo, con certe sviste tanto curiose quanto ilari. Ma vabé, in fondo era in omaggio!

Recensione scritta da RM

Cime tempestose – E. Brontë

Postato da Legione il 10 Giugno 2010

Proseguiamo, dopo aver toccato il sempre moderno Orgoglio e Pregiudizio, approdando ad un altro romanzo celebre, noto per essere il paradigma dell’amore travagliato: Cime Tempestose di Emily Brontë.
Spiegarne la trama in poche parole non è semplice, anche considerando i litri di inchiostro versato a commento di questo romanzo.
In sintesi, si può dire che la vicenda intreccia le vite di un manciata di personaggi, che si barcamenano ciascuno verso la realizzazione dei suoi più intimi desideri: l’amore, la passione, la vendetta.
La vendetta è il nodo cruciale del romanzo, impersonificata dal perfido per antonomasia, Heathcliff: bello e oscuro, maledetto dalle umili origini e dall’amore mai concretizzato per Caterina, la figlia legittima del suo padre adottivo, bellissima e passionale, scostante e capricciosa. Heathcliff matura negli anni la sua vendetta: nei confronti di chi lo ha sempre trattato come un servo nella sua stessa casa, distruggendo l’avvenire del figlio di costui, rendendolo gretto e rozzo e diventando poi per il giovane come un secondo padre; nei confronti di chi lo ha privato dell’amore della sua Caterina, sposandone la sorella senza amore per poi portarsi via il figlio fragile frutto di quell’unione, Linton, per indurlo a sposare la figlia di Caterina e del suo nemico per poi privarla di tutto.
Heathcliff, attraverso gli anni, riesce nei suoi biechi intenti con una precisione a dir poco invidiabile, e sembra quindi che ogni sua più intima soddisfazione sia stata esaudita. Eppure, alla fine, ecco che è l’amore a disfare ciò che lui ha così lungamente tramato, e lo spirito di Caterina lo porta lentamente ed inesorabilmente alla pazzia, lasciando finalmente liberi di vivere i giovani superstiti di queste tristi
vicende.
Riassunta così, la trama di Cime Tempestose rasenta l’improbabile, e sebbene nel romanzo tutto è ovviamente molto più diluito e somministrato per dosi, la sensazione di paradosso è comunque presente.
I personaggi sono molto mobili e hanno spessore, ma sono caratterizzati all’eccesso, diventando esagerati e quindi poco credibili. Le normali manifestazioni di odio, sconcerto, dolore, assumono accenti surreali.
E’ chiaro che questo non è un romanzo moderno, in fondo è stato scritto nella metà del 1800, ma grazie a questo modo barocco di scrivere e di interpretare riusciamo forse a cogliere uno spaccato di vita reale di quell’epoca, in cui l’apparenza e l’onore erano tutto, in cui una donna non valeva niente e che per tutta la vita avrebbe avuto un padre o un marito a decidere in sua vece.
E notiamo anche come sono disegnati questi uomini da romanzo: il bruto freddo e cattivo ma animato da una passione talmente profonda e dolorosa da trascendere l’amore stesso; il giovane gracilino ed effemminato, cagionevole e lamentoso; il bell’uomo ricco e mite che vive solo per l’amore di suo moglie e della sua figliola; il ragazzo dal passato difficile, ineducato ma con del potenziale, che grazie all’amore e alla pazienza si eleva dalla sua condizione di mediocrità per diventare signorile e degno di rispetto, figura che poi, alla fine, è quella che ha poi la sorte migliore e che vince su tutto.
In conclusione, si può dire che Cime Tempestose sia uno di quei romanzi obbligati, perchè parte di un repertorio classico che tutti dovrebbero conoscere, ma che andrebbe affrontato con la giusta predisposizione d’animo, aperto ad accettare il passato e i sentimenti eccessivi.