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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

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Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Post Taggati ‘horror’

Ossessione – S. King

Postato da Legione il 20 Aprile 2013

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«Non esiste alcuna divisione del tempo con cui esprimere il midollo della nostra vita, il tempo fra l’esplosione del piombo dalla canna e l’impatto con la carne viva, fra l’impatto e la tenebra. C’è solo uno sterile replay istantaneo che non ci mostra niente di nuovo. [...] Che effetto prova un suicida quando piomba giù da un cornicione? Sono sicuro che la sensazione sia del tutto sana. Probabilmente è per quello che urlano durante tutto il volo. »

Esistono romanzi che per essere appassionanti e divertenti puntano tutto su uno stile accattivante, stringente o sapientemente cesellato; altri se la giocano con una trama straordinaria, bilanciata con maestria; altri ancora, quando difettano di entrambe le caratteristiche, puntano sul grottesco, sull’eccesso, sull’inverosimile, sul gusto dell’orrido per stupire, stregare, far sognare o quantomeno disgustare il lettore.
Esistono romanzi invece, pochi in verità, che non hanno bisogno di truchetti, non abbisognano nemmeno di avere chissà quale trama accattivante. Sono scritti semplicemente con una tale maestria e sapienza da mettere in luce la realtà che abbiamo tutti di fronte, nè più nè meno.

Uno di questi romanzi speciali è Ossessione, di Stephen King. Pubblicato nel 1977 sotto lo pseudonimo di gioventù Richard Bachman, in apparenza parla di come un giovanotto normale, un giorno parta di testa uccidendo due professori e sequestrando la sua classe.
In realtà, questo romanzo sintetizza con una lucidità agghiacciante quanto la follia non sia una eccezione, una fuoriuscita dagli schemi della normalità, bensì sia un aspetto presente in ciascuno di noi, che si manifesta in tanti piccoli segnali e che, in fondo, serve da punto di equilibrio per affrontare l’impredicibile che ci riserva la vita.

Naturalmente, al lettore superficiale o a colui che affronta un romanzo di questo genere con occhio malizioso, questo libro può apparire osceno e sovversivo, specie di fronte a tragedie avvenute nelle scuole non troppo tempo fa. Qualche mente già fragile ha trovato in Ossessione una giustificazione per i propri istinti violenti, emulandone le gesta. Non deve stupire infatti che questo romanzo, purtroppo, sia da diverso tempo fuori catalogo.

Però, quante volte i romanzi sono stati fonte di emulazione malata? Vogliamo solo parlare di Arancia Meccanica, o delle inclinazioni autolesioniste narrate in Fight Club? Perchè questo romanzo ha dovuto farne le spese?

A nostro avviso, Ossessione è un libro che rivelerà, a chi saprà prestare attenzione, un modo di vedere la realtà dei fatti del tutto nuova e verissima, e questo non significa che sarà necessario impugnare una pistola e darsi alla violenza gratuita per trovarla, bensì darà una visione di apertura e tolleranza verso il prossimo e verso sè stesso, anche quando la propria mente produce pensieri e parole con denti ed occhi.

Non sono gli eventi che fanno impazzire un uomo, ma è il modo in cui vengono affrontati. E tutti noi abbiamo una ferita, piccola o grande, che ci influenza e ci fa deragliare verso il lato oscuro. Solo quando neghiamo la presenza di questa altra faccia della medaglia, allora sì che si arriva allo squilibrio mentale, perchè si tratta di un conflitto rivolto verso noi stessi e il nostro modo di essere.
Ossessione parla di questo, niente di più sovversivo di qualunque libro di psicologia spicciola.

Auguriamo a tutti i lettori di cervello e di cuore di avere l’opportunità di leggere questo libro perchè, pregiudizi a parte, ne vale davvero la pena.

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Notte buia, niente stelle – S. King

Postato da Legione il 28 Febbraio 2013

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«Scrivere male non è solo questione di cattiva sintassi o scarso spirito di osservazione: si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente. Quando, mi viene da dire, si rifugge questo dato di realtà: capita che l’assassino aiuti una vecchietta ad attraversare la strada.»

Un anno particolarmente nefasto all’insegna di una serie di scelte sbagliate; una tremenda disavventura fronteggiata da una tranquilla scrittrice di romanzi gialli da salotto; un curioso incontro tra un malato terminale e un bizzarro venditore di “giuste estensioni”; la scoperta di una moglie del piccolo segretuccio del marito.
Questa raccolta di quattro racconti, Notte buia, niente stelle, di Stephen King, certamente entra a buon titolo nella produzione del Re del brivido.
A differenza delle grandi raccolte degli anni giovanili di King (primo tra tutti il celebre “Stagioni diverse”), in questi racconti più che in altri si individua saltuariamente il tentativo dell’autore di “fare sé stesso”, inserendo elementi tipici del suo stile e accenti horror anche laddove magari non sarebbe necessario.
A parte questo però, il libro costituisce una lettura assolutamente godibile. I racconti sono legati da un filo comune, che viene poi chiarito nella postilla finale dell’autore. Le cose brutte succedono e basta, per parafrasare un noto modo di dire americano, e di solito le cose molto brutte possono capitare anche alle persone più normali. E’ questo che King ci racconta: il comportamento, le risorse (o la mancanza delle stesse) che l’uomo e la donna media possono tirare fuori in circostanze eccezionali.
I veri elementi distintivi della produzione kinghiana ci sono tutti, al di là del semplice gusto dell’horror: sopra tutto sono i personaggi ad essere degni di nota, come sempre. Personaggi profondi e complessi, con voci originali e una introspezione degna di un romanzo vero e proprio. Ma sono le storie di questi racconti ad essere a modo loro terribili e indimenticabili. Lasciano dietro di loro una scia di verosimiglianza che non può lasciare indifferente nemmeno il più approssimativo dei lettori.
Una lettura consigliata, ovviamente: come potremmo dire qualcosa di diverso? ;-)

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La setta – R. Campbell

Postato da Legione il 18 Luglio 2011

La cronaca ci ha resi edotti con il passare dei decenni, di quel fenomeno inquietante e misterioso costituito dalle sette. Da questo argomento si è diffuso un ampio filone della letteratura di genere, cogliendone ed accentuandone gli elementi esoterici, satanici nonchè psicologici (ad esempio Survivor).
La setta, romanzo del 1991 di Ramsey Campbell, attinge fortemente dalle tinte horror e sataniche dell’argomento, partendo da un concept davvero semplice ed efficace.

Angela, deliziosa bimbetta di quattro anni, sembra possedere un potere molto particolare. La sua sola presenza è in grado di pacificare chi le sta attorno, nessuno riesce a resisterle e nessuno potrebbe farle del male. Finchè un giorno la bambina scompare. Alla madre, Barbara, viene detto che la bambina è morta, e per nove lunghi anni lei si rassegna a questa idea, ricostruendo la sua vita. Finchè un giorno riceve una telefonata… da Angela stessa, che la chiama mamma.
Da quel momento inizierà la strenua ricerca di Barbara, che pian piano arriverà a sospettare di una setta, nota nell’ambiente per lasciare pochissime tracce dei suoi spostamenti e soprattutto perchè i suoi adepti sembrano non avere nome (da qui The Nameless, titolo originale dell’opera).

Indubbiamente questo è un buon romanzo horror, al di là di tutta una serie di pecche stilistiche che tutto sommato non ne abbassano significativamente il valore. E’ scritto in una stretta terza persona con punto di vista variabile, principalmente fermo su Barbara ma talvolta appostato su altri personaggi quando questi diventano protagonisti di passaggi cruciali in capitoli dedicati.
La tensione ed il pathos crescono di pari passo con l’avanzare della storia, che si sviluppa bene con un buon ritmo avvincente. Il personaggio di Barbara è piuttosto ben delineato, specialmente negli aspetti più introspettivi di fragilità ed angoscia. Di contro, gli altri personaggi sono un po’ pallidi e piuttosto di contorno.
Campbell sfrutta un clichè tipico dell’horror usato e consumato all’inverosimile come la casa infestata. In questo caso non è esattamente il perno della storia, ma torna in almeno due scene. Nonostante non sia proprio una novità, l’effetto è convincente e riesce ad essere efficacemente da brivido.

Come detto, è possibile riscontrare nello stile delle debolezze abbastanza evidenti, che non sappiamo se addebitare al traduttore o all’autore stesso: certe scene sono molto poco chiare e a volte sembra quasi che manchino delle frasi di raccordo nelle descrizioni; spesso la costruzione delle frasi è un po’ semplicistica, con ripetizioni e uso di vocaboli non proprio brillanti. Nonostante questo il libro costituisce una lettura più che gradevole; almeno fino al finale, che probabilmente è la pecca principale: dire scalbo ed ingiustificato sono solo indicazioni accondiscendenti.
Comunque, il libro in sè è interessante ed appassionante ed il finale, sebbene non all’altezza di quanto scritto in precedenza, pone comunque un punto fermo e conclusivo alla storia.

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A barber story e altri racconti – P. Cavicchi

Postato da Legione il 1 Maggio 2011

Un uomo, un barbiere, che coltiva la piccola fantasia di poter assistere al proprio funerale, si troverà invischiato in una faccenda molto più grande di lui solo per poter cogliere l’occasione di poter realizzare il suo desiderio.
Un giovane, un uomo qualunque, per un sadico gioco a lui incomprensibile si troverà rinchiuso in un labirinto alle prese con un’agghiacciante caccia all’uomo.
Un investigatore privato viene salvato dalla bancarotta dall’ingaggio per un caso semplice, quasi banale, ma che assumerà risvolti che andranno ben oltre l’immaginazione, fino ad una lotta per la sua stessa anima immortale.

Questi, in poche parole, i tre racconti contenuti nell’opera di esordio di Paolo Cavicchi, A barber story e altri racconti. Sono tutti racconti di stampo noir/horror, sebbene in diversi passaggi siano conditi da un tocco ben dosato di ironia e buone battute.
Nonostante l’autore si sia cimentato nell’impresa letteraria per la prima volta, risulta evidente che il piglio creativo c’è e si sente, anche se la narrazione a volte è limitata di una certa inesperienza. La sensazione generale infatti è quella di aver di fronte un buon potenziale inespresso e trattenuto, una mente creativa di notevole entità ma non ancora abituata a “comportarsi male”, come dice King, e quindi ad essere completamente trasportata dallo slancio creativo a briglia sciolta.

Il primo racconto, quello che da il titolo alla raccolta, non brilla certo di una particolare originalità, il concept di base è piuttosto semplice e l’intreccio pecca un po’ di scarsa motivazione psicologica. I personaggi infatti sono pedine che si muovono senza un vero perchè, ma questo potrebbe anche essere un effetto di tipo onirico/surreale espressamente voluto.

Nel secondo racconto, infatti, ci troviamo proiettati in un contesto al limite del surreale senza ottenere spiegazioni di background. Questo è un espediente tipico del racconto che, grazie alla sua brevità, permette di entrare nel vivo dell’azione senza passare attraverso i preamboli ben noti del romanzo. L’idea è molto buona, anche se, anche qui, non particolarmente originale (il gioco di morte manipolato dall’alto è presente in almeno due manga, un film e Dio solo sa quante opere narrative), la narrazione è efficace e scorre bene, creando una buona tensione nel lettore e un crescere dell’aspettativa verso il punto cruciale delle storie di questo genere: la risoluzione della situazione critica, ovvero l’uscita dal gioco. Nel caso del racconto in questione, l’autore ha optato per la soluzione forse meno appagante, il Deus ex Machina. Dopodichè abbiamo ancora una coda di eventi che distolgono il pathos dal core effettivo del racconto (quello che succede nel labirinto) fino ad arrivare alla conclusione forse più attesa e più accettabile ma anche più prevedibile.

Il terzo racconto ha ancora un’impostazione differente: narrato in prima persona, tocca un argomento davvero stuzzicante, alcune scene poi valgono senza dubbio la lettura già da sole. Lo sviluppo della trama però ricalca in modo evidente strutture videoludiche tipo “Alone in the dark”, che ne riprende di fatto l’azione principale (andare in giro armato fino ai denti ad ammazzare creature mostruose). Non che questa caratteristica di per sè costituisca un aspetto negativo, ma denota una struttura narrativa più visiva e orientata alle azioni, tralasciando quasi del tutto l’aspetto introspettivo e di descrizione del personaggio. Questa caratteristica si può trovare anche nel secondo racconto.

Ciò detto comunque, A barber story è un buon esempio di dignitosa opera prima: costituisce l’espressione di una mente creativa ancora acerba ma senza dubbio dotata di notevolissimo potenziale. Facciamo a Paolo Cavicchi il nostro sentito in bocca al lupo per le sue future fatiche.

Il gioco di Gerald – S. King

Postato da Legione il 18 Marzo 2011

Abbiamo deciso di fare uno strappo alla nostra tacita e salutare regola di recensire solo romanzi appena letti per questo romanzo di Stephen King, Il gioco di Gerald. Indubbiamente non è uno dei romanzi del Re più famosi e, nonostante siamo dichiaratamente suoi fan, non è nemmeno uno dei migliori. Eppure, abbiamo deciso di recensirlo perchè, sebbene siano passati diversi anni da quando l’abbiamo letto, è rimasto stampato nel nostro immaginario per la sua semplice crudeltà.

King solitamente si divide su poche macrotematiche concettuali sulle quali poi fonda i suoi romanzi: il Male in senso incorporeo ed il Male incarnato nelle bassezze dell’uomo. Di questa divisione generica è poi possibile effettuare altre suddivisioni, anche se alcune opere si possono inserire a cavallo tra le due categorie.
Senza scendere nei morbosi dettagli nerd che certamente sapremmo tirare fuori, Il gioco di Gerald si può ascrivere alla seconda categoria, dove il Male viene principalmente rappresentato da una persona umana con smaccate caratteristiche negative.

La storia, come nel meglio del suo stile, parte da un concetto semplice quanto angosciante: cosa succederebbe se, a causa di un giochetto erotico, una donna rimanesse ammanettata al letto e non avesse più alcun modo per liberarsi?
E questo è quello che succede a Jesse, che soggiace all’ultima richiesta del marito, Gerald, e si lascia ammenettare ad un robusto letto nella loro casetta al lago. Involontariamente però, Jesse provoca la morte di Gerald, e da quel momento l’intera esistenza della donna collassa in quella casetta, su quel letto, sul quale l’attende una morte lenta e psicologicamente devastante.

L’abilità narrativa di King raccoglie bene la sfida, focalizzandosi sui loop mentali di Jesse, che rievoca il passato travagliato, le sue lotte interiori di coscienza e l’immaginazione, che con il passare delle ore, la mancanza di acqua e cibo ma soprattutto la paura dell’approssimarsi della fine, le provocano allucinazioni terrorizzanti… che forse non sono affatto allucinazioni, bensì una nuova manifestazione del Male incorporeo ed assoluto, che la aspetta negli angoli bui della sua stanza, in attesa solo che abbassi la guardia e si lasci andare alla disperazione.

Un romanzo senza dubbio molto particolare, che per gli amanti del genere è un appuntamento imperdibile, proprio perchè risulta un esercizio di stile dalla crudezza unica. Da provare. E dopo averlo letto, non vedrete mai più un paio di manette con gli stessi occhi.

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Mucchio d’ossa – S. King

Postato da Legione il 15 Ottobre 2010

Lessi questo libro tanti anni fa e da allora ne ho sempre conservato un ricordo da definizione da copertina: una bellissima e tragica storia d’amore. Ricordavo con particolare chiarezza gli aspetti più struggenti dell’amore tragicamente interrotto del protagonista Mike Noonan nei confronti della sua defunta consorte Johanna, incastonato in un contesto più o meno nebuloso di fantasmi e presenze incorporee.
Qualche giorno fa ne parlavo con una collega, che aveva apprezzato il libro ma nel quale aveva rilevato particolarmente l’aspetto carnale della storia, aspetto che io non ricordavo affatto.
Mossa quindi dalla volontà di riscoprire un libro in ogni caso notevole, ho ripreso in mano Mucchio d’ossa, probabilmente uno dei migliori romanzi nel nostro sempre mitico Re del Brivido.
Il risultato di questa seconda lettura è stato interessante ed ha confermato quello che molti esperti hanno spesso sostenuto: un bel libro contiene principalmente quello che il lettore ci vuole vedere.
La rilettura ha messo in evidenza al mio occhio più maturo la trama, che è molto intricata e per niente semplice da seguire (chi non si è mai perso attraverso gli alberi genealogici?) e ha fatto risaltare tutti gli aspetti torbidi della vicenda: le presenze incorporee (o quasi), la potenza dei ricordi, la vendetta, l’istinto e, naturale e sempre presente nei libri di King, la crudeltà umana portata al parossismo e incarnazione di ciò che c’è di Male in ciascuno.
L’aspetto romantico è presente, sì, ma quello che più mi ha coinvolto questa volta è stato l’amore praticamente paterno che il protagonista Mike riversa sulla piccola Kyra, questo amore, esatto fulcro non dichiarato dell’intera vicenda.
E’ vero, i bei libri comunicano con chi li ha in mano, ma al contempo diventano specchi che permettono al lettore di vedervi riflessi i propri pensieri e sentimenti, dandogli forma e sostanza, anche se attorno alle circonvoluzioni di lettere e punteggiatura.
Questo libro esce un po’ dal seminato horror di King, ma non di molto e comunque non lo lascia rimpiangere: unisce abilmente amore e morte, coinvolgendo il lettore in spirali sempre più strette di ansia ed apprensione. La parte finale è comunque estremamente Kinghiana, forse addirittura in eccesso, stonando un po’ nei confronti di un contesto così abilmente cesellato, ma glielo si può perdonare: dopo 600 pagine di romanzo, il finale col botto è più che gradito.
In conclusione, Mucchio d’ossa è e resta uno dei prodotti migliori usciti dalla mente maleducata di King, complesso e ponderoso ma toccante e coinvolgente come pochi altri. Da leggere assolutamente.

Recensione scritta da Sayu

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The Dome – S. King

Postato da Legione il 7 Febbraio 2010

Spesso i romanzi più geniali si generano da una domanda che, per quanto assurda, innescano una lunga processione di considerazioni e riflessioni che portano alla creazione di una storia complessa ed organica.
Questo libro, ultimo romanzo della prolifica penna del Re, è un tipico esempio.
Che cosa succederebbe se una tranquilla cittadina del Maine venisse all’improvviso messa sotto vetro da un’impenetrabile quanto inverosimile Cupola?
Da questo semplice evento scaturisce la storia di Chester’s Mill, una storia drammatica e verosimile di come un’intera cittadina possa trasformarsi quando le vie di comunicazione con l’esterno si interrompono e la sola legge che conta è quella che viene fatta rispettare dal più forte di turno, senza possibilità di appello.
Ecco che quindi il romanzo da fantascientifico/horror/assurdo si trasforma in sociologico: i deboli soccombono e torna in vigore la legge di natura, nella quale chi riesce a sopravvivere è colui che riesce a portare la maggior parte dei suoi simili dalla propria parte. Indipendentemente da chi ne trarrà poi il beneficio finale.
La trama di questo libro, almeno nella prima metà, richiama alla mente del Fedele Lettore un altro grande romanzo kinghiano, “L’ombra dello scorpione”, per i toni catastrofistici (qui una cupola su una cittadina, là un’epidemia di un virus che riduceva la popolazione degli Stati Uniti e forse del mondo intero a poche migliaia di persone), per i volumi decisamente ponderosi in termini di pagine ma soprattutto per il carattere corale della narrazione. In entrambi i romanzi i protagonisti risultano un manipolo di uomini e donne più che normali, che utilizzano l’ingegno ed il coraggio per cavarsela e rendere giustizia alle loro vite e a quelli che la vita l’hanno persa.
Purtroppo le similitudini con quel capolavoro si fermano qui. Infatti The dome non si può certo definire un brutto libro, ma ci ha lasciati perplessi. Un po’ crediamo sia dovuto alla china che ha preso King da qualche anno a questa parte. I suoi libri prodotti in questo ultimo periodo differiscono abissalmente da quelli scritti in età più giovanile, anche se è difficile capire bene in cosa consti questa differenza. Magari un giorno ne parleremo più diffusamente.
Un po’, almeno a parere nostro, il problema è insito nella spiegazione che ad un certo punto l’autore dà di questa cupola. Una giustificazione era d’obbligo, e poteva essere di varia natura, volendolo. Ha preferito quella forse più semplice, che non vi diremo quale sia, che non ci ha soddisfatti appieno.
Certo è che la penna dello scrittore c’è e si sente ad ogni pagina: pur priva del mordente de “L’ombra dello scorpione”, riesce a trascinarti fino in fondo alle sue 1036 pagine come se niente fosse, arrivando al finale trascinando il lettore in un vero stato di ansia.
King, è noto, ama i lieto fine, ma ad una cinquantina di pagine dalla fine viene davvero da chiedersi se questa cupola si leverà mai, se veramente tutte queste persone (i personaggi che abbiamo imparato ad amare ed odiare, e non mancano nè gli uni nè gli altri) perderanno le loro piccole vite a causa di questa “cosa” inspiegabile…
Non vogliamo dirvi altro.
Impossibile non menzionare la ricchezza del parco personaggi, specialmente quelli negativi, che assumono uno spessore così realistico da suscitare moti di odio spontaneo nel lettore. Per contro, abbiamo notato un po’ di debolezza per i “buoni”, che in linea di massima sono buoni senza ombre e si riconoscono come tali fin dalle prime pagine. I cattivi sono stati disegnati con molta più cura, ecco, e se ne potrebbe parlare per ore intere.
Ma non lo faremo: le vostre ore, Fedeli Lettori, saranno impiegate meglio che non nella lettura di questa recensione, ovvero leggere direttamente il libro originale il prima possibile.
Godetevelo.

Il gioiello delle sette stelle – B. Stoker

Postato da Legione il 5 Gennaio 2010

copertina il gioiello delle sette stelleAbbiamo trovato questo volume nella nostra ormai ampiamente citata biblioteca di fiducia. Ci siamo diretti qui in quanto scritto da Bram Stoker, il celebre autore del suo più famoso romanzo, Dracula, talmente noto da aver attraversato un paio di secoli ed aver portato alla ribalta uno degli archetipi ora tanto cari al gusto moderno: il vampiro.
Abbiamo dunque assaggiato questo volume con curiosità, anche se senza elevate aspettative. Ed in fondo non siamo stati delusi: abbiamo trovato esattamente quello che immaginavamo. In questo modesto volume (280 pagine circa) troviamo un grande affanno dei protagonisti (nonchè di fatto unici personaggi) attorno ad un’aggressione inspiegabile in una stanza chiusa e con solo l’aggredito all’interno. Dopodichè abbiamo tutto un accurato compendio di teorie sulla mitologia egizia, sulle ricerche effettuate e su una regina, potente e bellissima, verso la quale paiono convergere tutti gli indizi di un Grande Esperimento: un tentativo di resurrezione dalla morte.
Ora, non potevamo certo aspettarci un capolavoro del brivido degno del Re o zone limitrofe, sappiamo bene che il senso di “horror” dal 1800 ad oggi è cambiato non poco e che a quel tempo bastava veramente nulla per impressionare il lettore. Certo è che, questo libro, non ha nemmeno quel poco di pathos. Scritto in prima persona dal punto di vista di Malcolm Ross, un avvocato teneramente innamorato della bella figlia della vittima, abbiamo tutto un corollario di schermaglie e pensieri amorosi degne del miglior clichè romantico ottocentesco. Tolte queste, non rimane che una storia davvero povera. Il lettore smaliziato moderno non si lascerà certo stupire da certe svolte della narrazione, sebbene in certi punti vengano tratte conclusioni tutt’altro che immediatamente deducibili.
In chiusura, inevitabile pensare: “Tutto qui?” al momento di leggere il finale.
Insomma: pur essendo indulgenti nei confronti di un modo di raccontare che per noi ora non è nemmeno ridicolo, non possiamo certo dire di aver letto un capolavoro letterario. Una trama povera, dei personaggi caricaturali e una posticcia aura di mistero sono certamente le caratteristiche più evidenti di quest’opera che sappiamo non essere la più riuscita di Stoker ed ora ne capiamo il perchè.

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