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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Womenomics – C. Shipman, K. Kay

Postato da Legione il 26 Luglio 2010

copertina womenomicsPartiamo da una premessa: l’Italia non è l’America. E fin lì siamo tutti d’accordo. Claire Shipman, una delle autrici del libro, è americana, Katty Kay, l’altra autrice, vive negli Stati Uniti anche se è inglese. Womenomics, quindi, è un libro scritto da due donne immerse in una realtà che, sotto certi aspetti, è lontana anni luce da quella italiana.

Sottolineiamo “sotto certi aspetti” perché è pur sempre vero che l’Italia ha idolatrato gli USA per molto tempo cercando di assimilarne quanto di meglio (o di peggio) poteva.

Considerata questa premessa, proviamo a immaginarci una giornata in cui, delle 24 ore che abbiamo a disposizione, “solo” 4 o 6 sono dedicate al lavoro: dedicate seriamente, con zelo e senza il costante pensiero di “far passare il tempo”. Così, anche se siete un manager, potete ricoprire il vostro ruolo senza lavorare 10 ore al giorno ed essere reperibili nei fine settimana.

Un’utopia? Ebbene, le autrici di Womenomics affermano di no. Tutto ciò che ci separa da quell’invitante realtà è un modo di pensare antiquato e la paura nei confronti dei cambiamenti.

Il problema fondamentale di una società come la nostra è l’idea che per essere qualunque cosa si debba prima di tutto apparire: sono capace di produrre solo se lavoro tanto. Più lavoro e più produco. Più produco e più guadagno. Più guadagno e più… sono importante. Ma è davvero così?

Per una mentalità che considera equivalenti successo, competitività e ambizione, non ci sono dubbi eppure, come dimostrano Shipman e Kay attraverso storie e dati raccolti durante le loro indagini, il successo è qualcosa di molto più sfaccettato e la produttività non viene garantita dalle ore passate in ufficio.

La tesi su cui si fonda il libro è che si possa ragionevolmente accorciare l’orario di lavoro senza perderne in produttività, al contrario, aumentandola.

Un orario di lavoro più corto ci permetterebbe di stare di più con la nostra famiglia, i figli, il partner, gli amici, di coltivare vecchi e nuovi interessi, di trovare un equilibrio a una vita che, per come viene concepita ora, non ne ha.

Il titolo del libro è un mix tra “women” (donne) ed “economics” (economia) in quanto le due autrici partono dal presupposto che sono proprio le donne, più degli uomini, a sentire il bisogno di trovare un equilibrio tra lavoro (che consente indipendenza economica e realizzazione personale) e vita privata.

La chiave di volta, affermano, è il cambiamento di una mentalità che, ora, si basa e valorizza esclusivamente i tratti maschili del successo, svalutando se non negando quelli femminili.

È un libro che si legge bene, scorre senza intoppi e offre spunti interessanti su cui riflettere anche se, obiettivamente, poco applicabili nella realtà aziendale italiana (spesso guidata da giovani-vecchi felici di sposare filosofie arcaiche e non scatenare alcuna rivoluzione).

In Italia sentiamo sempre più spesso dire che “stiamo tornando indietro, invece di andare avanti”, ma libri come Womenomics offrono una speranza. Mostrano una prospettiva diversa e le conferiscono valore, mettendo in evidenza i risultati ottenuti da aziende che hanno applicato i suoi modelli; innescano nelle persone, donne e uomini, il tarlo del cambiamento, di un possibile nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata.

Perché, alla fin fine, un’utopia non è qualcosa di irrealizzabile, bensì una realtà che ha semplicemente bisogno di un luogo per esprimersi. E di qualcuno abbastanza coraggioso per concederglielo.

Recensione scritta da L’imbrattacarte

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