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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

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Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

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La versione di Barney – M. Richler

Postato da Legione il 21 Giugno 2013

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Strano, dai toni quasi mitologici, destrutturato, incasinato, politicamente scorretto. Ma semplicemente divino.
La versione di Barney, di Mordechai Richler, è probabilmente uno dei più famosi romanzi di letteratura moderna in lingua inglese. E per di più è anche divertente.
Barney Panofsky ha vissuto un’esistenza parecchio movimentata. Ormai anziano ripercorre le sue gesta e le disavventure, in Canada, poi a Parigi e poi nuovamente in Canada, attraverso le tre donne della sua vita: Clara, giovane artista squilibrata e bohémienne, la logorroica Seconda Signora Panofsky sposata per ripicca e Miriam, l’unica donna che abbia mai davvero amato e perduto.
Attraverso questo racconto, condito da mille fatterelli, partite di hockey, bevute al bar e acidità verso il suo eterno rivale McIver, Barney ricostruisce la sua vita per dimostrare al lettore (e in fondo anche a se stesso) come non abbia potuto commettere l’omicidio del suo migliore amico del quale è stato accusato e mai del tutto riabilitato.
Una biografia fittizia eclettica e variegata, costruita in modo del tutto non lineare per quanto riguarda tempo e spazio, eppure geniale ed efficace. La pianificazione di questo romanzo risulta essere millimetrica, niente è lasciato al caso, ogni aspetto viene spiegato e illustrato al momento oppurtuno, con il giusto peso e messo in adeguata luce.
I personaggi sono tantissimi e tutti con caratteristiche più che verosimili, ma il protagonista induscusso resta Barney, con tutti i suoi difetti e la sua voce interiore di uomo fondamentalmente buono ma goffo nel trattare i propri sentimenti e quelli degli altri.

Cose che si imparano leggendo questo libro:
1. le finte autobiografie spesso sono più interessanti e divertenti delle vere biografie
2. tutti coloro i quali hanno intenzione di scrivere un romanzo sperimentale dovrebbero leggere questo libro e farsi un po’ di sana autocritica
3. a volte l’entropia letteraria può generare capolavori.

Un romanzo imprescindibile, divertente e caustico, velato dalla sottile malinconia che pervade l’essenza stessa del ricordo e, per questo motivo, ancora più vicino alla realtà che tutti noi sperimentiamo.

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La lunga marcia – S. King

Postato da Legione il 16 Maggio 2013

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«La città stessa era stata inghiottita, strangolata e sepolta. [...] C’era solo la folla, una creatura senza corpo, senza testa e senza cervello. La folla era solo una voce e un occhio, e non c’era da stupirsi che fosse tanto Dio quanto Mammona. [...] Era come camminare in mezzo a giganteschi tralicci di alta tensione, sentendo un continuo susseguirsi di scosse e crepitii che facevano rizzare i capelli, seccavano la lingua in bocca e davano l’impressione che gli occhi facessero scaturire scintille roteando nelle orbite. La folla doveva essere accontentata. La folla doveva essere adorata e temuta. La folla voleva il sacrificio.»

Nel 1979 Stephen King pubblica questo inquietante romanzo sotto l’ormai celebre pseudonimo di Richard Bachman. La lunga marcia ha una trama semplice e lineare, che riassume le regole di questo gioco perverso: 100 ragazzi volontari si mettono in marcia attraverso il Maine. Se camminano troppo lentamente, si fermano, indietreggiano, abbandonano la sede stradale, vengono uccisi a fucilate. La marcia andrà avanti fino a quando ne resterà uno solo, il vincitore, al quale verrà concesso per premio qualunque cosa lui voglia.
Sul piano strettamente contenutistico, questo romanzo non è niente di più di questo. Ma la vera maestria di King risiede proprio nella sua capacità di trasformare una storia poverissima in un romanzo magnetico ed appassionante, che è in grado di tramortire il lettore e trascinarlo in questo stillicidio, in questa follia, con il focus nella mente del protagonista.

Il narratore è una terza persona stretta sul personaggio protagonista, Garraty, un giovane ragazzo equilibrato, sano e robusto. Abbiamo la possibilità quindi di avere una visione talvolta a volo d’uccello sulla comitiva che ci consente di seguire la progressione della marcia, e allo stesso tempo possiamo entrare nella mente del protagonista, nei suoi pensieri e paure, nelle sue considerazioni nei confronti di questa impresa assurda.

Oggi risulta inevitabile fare un raffronto tra La lunga marcia e Hunger Games, in particolare a causa della crudezza e la precisione delle regole del gioco e la delineazione di uno scenario distopico. Se Hunger Games ha il suo punto di forza dall’impotenza dei giocatori che si trovano nell’arena di morte loro malgrado, La lunga marcia verte proprio sul concetto opposto. Tutti i cento marciatori sono volontari, si sono candidati spontaneamente, con le loro intrinseche motivazioni (tendenzialmente autodistruttive). E’ pur vero che nella società distopica la Marcia viene interpretata come una specie di prova di valore, alla quale più o meno tutti i giovani uomini sono soliti candidarsi, ma alla quale nessuno crede davvero di partecipare, almeno finchè il loro nome non viene scelto.
Come Ossessione, anche La lunga marcia presenza le caratteristiche peculiari di King ma allo stesso tempo mostra tratti tipici di Bachman: più crudi, più realistici, più vividi, del tutto scevri dagli accenti soprannaturali classici della produzione ufficiale.
Un romanzo annichilente, assolutamente consigliato.

Noticina di puro orgoglio personale: abbiamo trovato un refuso! Uno dei personaggi puramente di contorno del quale viene citato solo il cognome, muore qualche riga dopo la citazione riportata all’inizio di questo articolo e poi di nuovo nelle battute finali del romanzo. Nessuno è perfetto, neanche King ;-)

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La bussola d’oro – P. Pullman

Postato da Legione il 1 Aprile 2013

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Senza dubbio uno dei più grandi classici della fantascienza per ragazzi, La bussola d’oro di Philip Pullman appartiene a quel tipo di romanzo per ragazzi vecchio stile, ma non per questo stantìo o spiacevole, con i quali sono stati svezzati i moderni lettori.
Primo episodio della trilogia Queste oscure materie, Pullman ci presenta un mondo per alcuni aspetti simile al nostro ma per altri estremamente diverso.
La giovane Lyra ed il suo daimon Pantalaimon si troveranno ad affrontare una grande avventura nel gelido Nord che si scoprirà di cruciale importanza per l’esistenza dell’intera dimensione.
Questo romanzo è entrato a buon titolo tra i best seller di genere: la narrazione è magistrale e esalta una storia originale che cattura e stupisce, come ogni romanzo fantasy dovrebbe fare. A leggerlo oggi è possibile trovare decine di riferimenti di opere più recenti che hanno attinto e preso ispirazione da La bussola d’oro.
I personaggi sono vividi e di grande spessore, mai banali o scontati: i buoni hanno le caratteristiche classiche del surrogato genitoriale, mentre gli antagonisti brillano per spietatezza e insensibilità. Anche la protagonista è meno perfetta di quanto a primo acchito si potrebbe immaginare.
Ad una analisi approfondita della trama è possibile trovare qualche difetto, in particolare vengono lasciate ampie zone di scarsa chiarezza sui punti cardine. Alcuni passaggi sono giustificati con elaborati ragionamenti filosofici estremamente difficili da seguire, altri aspetti vengono lasciati in sospeso, come se qualche sottointeso dovesse chiarire e rispondere a tutte le domande. Rimane quindi la sensazione di aver letto un’opera di grande potenza simbolica ma che non si è riusciti ad espugnare completamente, lasciando una diffusa sensazione di incertezza.
Queste considerazioni nulla tolgono comunque alla grande qualità di questo romanzo, che resta un’opera imprescindibile per i giovani e i meno giovani lettori amanti del genere.

La bussola d’oro. Queste oscure materie: 1
E anche il film: La Bussola D’Oro (Disco Singolo)

Il tempo è un bastardo – J. Egan

Postato da Legione il 28 Marzo 2013

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E’ complesso, quasi impossibile, scrivere un commento utile al romanzo premio Pulitzer 2011 di Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo.
Costruito attraverso una sequenza di racconti incentrati via via su personaggi legati tra loro, viene proposto uno spaccato di vite contrassegnate dalla celebrità, dalla fama e dalla ricchezza e di come le alterne fortune possono comportare fallimenti, rovine, malattie e disgrazie.
Disegnato con una struttura in cerchi concentrici, passando da un personaggio all’altro, viene delineato un arco narrativo circolare, concludendosi là dove il romanzo è iniziato, attraverso un percorso temporale saltabeccante, dal presente, al passato (anche remoto) dei personaggi, fino a qualche accenno del futuro.
L’intera opera evidenzia uno studio e una pianificazione straordinaria, dove nessun aspetto è lasciato al caso. Ciascun racconto è una unità atomica, chiarissimo e autoesplicativo, che potenzialmente può essere letto all’interno di qualunque sequenza con gli altri, eppure ciascun elemento costituisce un tassello nella costruzione di un quadro di amplissimo respiro: vengono via via chiariti punti ed aspetti rimasti aperti in altri racconti, vengono approfondite personalità e personaggi che sembravano marginali e che invece non lo sono.
Nonostante questa complessa struttura, questo romanzo è semplicissimo da leggere e da capire, al punto da essere del tutto disarmante. Lo stile è chiaro, linearissimo, semplice come solo i veri capolavori sanno essere.
Che conclusioni è possibile trarre dalla lettura di questo romanzo? Che ciascuno è protagonista della propria storia e che la nostra si lega indissolubilmente a quella degli altri; che la fortuna è solo un attimo, e che più è intensa più marcato sarà anche il successivo fallimento; che è vero che il tempo è un bastardo per la sua implacabile capacità di spianare, smussare, corrodere qualunque cosa e persona, anche quelle più robuste e in apparenza inossidabili. Ma nonostante questo, il tempo può costituire ancora una occasione, per chi saprà coglierla.
Un libro assolutamente consigliato, anche solo per il semplice piacere di leggere un romanzo innovativo e di grande qualità.

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Notte buia, niente stelle – S. King

Postato da Legione il 28 Febbraio 2013

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«Scrivere male non è solo questione di cattiva sintassi o scarso spirito di osservazione: si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente. Quando, mi viene da dire, si rifugge questo dato di realtà: capita che l’assassino aiuti una vecchietta ad attraversare la strada.»

Un anno particolarmente nefasto all’insegna di una serie di scelte sbagliate; una tremenda disavventura fronteggiata da una tranquilla scrittrice di romanzi gialli da salotto; un curioso incontro tra un malato terminale e un bizzarro venditore di “giuste estensioni”; la scoperta di una moglie del piccolo segretuccio del marito.
Questa raccolta di quattro racconti, Notte buia, niente stelle, di Stephen King, certamente entra a buon titolo nella produzione del Re del brivido.
A differenza delle grandi raccolte degli anni giovanili di King (primo tra tutti il celebre “Stagioni diverse”), in questi racconti più che in altri si individua saltuariamente il tentativo dell’autore di “fare sé stesso”, inserendo elementi tipici del suo stile e accenti horror anche laddove magari non sarebbe necessario.
A parte questo però, il libro costituisce una lettura assolutamente godibile. I racconti sono legati da un filo comune, che viene poi chiarito nella postilla finale dell’autore. Le cose brutte succedono e basta, per parafrasare un noto modo di dire americano, e di solito le cose molto brutte possono capitare anche alle persone più normali. E’ questo che King ci racconta: il comportamento, le risorse (o la mancanza delle stesse) che l’uomo e la donna media possono tirare fuori in circostanze eccezionali.
I veri elementi distintivi della produzione kinghiana ci sono tutti, al di là del semplice gusto dell’horror: sopra tutto sono i personaggi ad essere degni di nota, come sempre. Personaggi profondi e complessi, con voci originali e una introspezione degna di un romanzo vero e proprio. Ma sono le storie di questi racconti ad essere a modo loro terribili e indimenticabili. Lasciano dietro di loro una scia di verosimiglianza che non può lasciare indifferente nemmeno il più approssimativo dei lettori.
Una lettura consigliata, ovviamente: come potremmo dire qualcosa di diverso? ;-)

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Benjamin – F. Axat

Postato da Legione il 4 Dicembre 2012

La botola era protetta da un coperchio di vetro smerigliato, attaccato con dei ganci al soffitto. A prima vista sembrava nero, ma era un’illusione ottica generata dal buio. Che cosa sapeva del sottotetto?
Era come un occhio. Un occhio che vedeva tutto…

Spesso il genere thriller viene considerato, a volte anche a ragione, piuttosto commerciale e caratterizzato da elementi scontati e prevedibili. Molte volte infatti un lettore appassionato riesce ad identificare la risoluzione della trama molto prima di arrivare al clou con la lettura.
Questo spettacolare romanzo dell’esordiente Federico Axat, Benjamin, supera d’un balzo tutte le aspettative, anche quelle più esigenti.
Ben è un ragazzino di nove anni alle prese con una madre piuttosto difficile da trattare. All’ennesimo torto subito, il piccolo decide di vendicarsi, sparendo dalla circolazione. Da qui prende vita un intreccio dei più elaborati, nel quale si muovono molti personaggi ottimamente descritti, molto profondi e dalla psicologia ben delineata, tratteggiando una storia sempre più complessa e tesa fino al sorprendente finale.

L’autore ha lavorato per quattro anni su questo romanzo, e si vede: dalla cura maniacale della psicologia dei personaggi alla scelta del linguaggio che oltre ad essere chiaro e preciso ci regala quale sorriso, niente è lasciato al caso. Le descrizioni dei più cruenti passaggi vengono raccontati con dovizia di particolari, ma è in generale la sensazione di attesa continua, tesissima, che rende la lettura inarrestabile, pagina dopo pagina.

Lo stile dell’autore è molto particolare: a prima vista può apparire molto asettico e quasi eccessivamente puntiglioso per la cura del dettaglio, saltabeccando continuamente nella testa di ciascun personaggio e spostando di conseguenza il punto di vista narrativo anche molte volte all’interno di pochi periodi. Scoprendo via via la storia ci si accorge però che questa cura è necessaria, sia per mantenere tesa la narrazione che per fornire informazioni e indizi funzionali al dipanarsi del mistero. Mistero che viene svelato con il colpo di scena finale: forse un espediente non proprio originalissimo ma stupefacente per lo scenario che spalanca su tutta la storia appena raccontata.
Insomma, un romanzo assolutamente da leggere per apprezzare un thriller di qualità scritto e costruito in maniera eccezionale.

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Il canto della rivolta – S. Collins

Postato da Legione il 8 Ottobre 2012

In questo ultimo capitolo della saga best seller di Suzanne Collins, Il canto della rivolta, arriviamo finalmente all’epilogo di tutte le travagliatissime vicende di Katniss e per estensione di tutti i cittadini di Panem.

Definire denso questo romanzo sarebbe un eufemismo, probabilmente solo I doni della morte, conclusione della saga di Harry Potter, può reggere il confronto sulla quantità di eventi (sebbene, in quest’ultimo caso, il risultato sia stato molto più scarso e meno soddisfacente).
Diciamolo, la Collins ci è andata giù pesante.
Abbiamo perso il conto di quante volte Katniss ha rischiato la vita, in una varietà di modi differenti, entrando ed uscendo dai fumi degli psicofarmaci e dei sedativi.
Le perdite di vite sono ingentissime, nel procedere di questa guerra contro Capitol City, ma sembra che ci sia una guerra molto meno chiara in corso, una lotta interiore sulla posizione da assumere nei confronti delle due fazioni e di coloro che stanno in mezzo: la gente comune.
Ed è infatti di questo che parla principalmente il romanzo, del fatto che, che si sia governativi o ribelli, le figure che hanno presa sul popolo vengono trattate come pedine, fantocci strumentalizzati, spesso senza nemmeno essere messi a parte dei progetti che li riguardano.

Leggere la saga The Hunger Games ci ha ricordato all’improvviso un altro romanzo che abbiamo tanto apprezzato, Unwind di Neal Shusterman. Entrambi descrivono un futuro distopico nel quale le nostre attuali grettezze vengono portate all’esasperazione, nel quale un governo dal pugno assurdamente troppo duro e amorale si arroga diritti di vita e di morte sugli innocenti e gli inermi. In entrambi si assiste al cambiamento, alla sovversione, che parte dal basso.

Il canto della rivolta racconta la discesa negli incubi peggiori, in uno scenario ancora più orrendo delle arene dei giochi: un’arena viva, vera, combattuta strada per strada. E dopo l’inferno, la lenta risalita, attraverso il recupero delle cose semplici, il ritrovamento a piccoli passi dell’equilibrio mentale, la voglia di provare a pensare ad un futuro senza gli Hunger Games che per decenni sono stati lo strumento del governo per tenere al guinzaglio una nazione tramite il terrore.

Questa saga è lontana dalla perfezione, sia stilistica che contenutistica, ma la sua forza è evidente. Cattura il lettore, lo lega a Katniss e alle sue vicende anche quando magari non risulta proprio simpatica, veniamo strapazzati e sorpresi dalle decine di colpi di scena che si susseguono per tutto il romanzo, per arrivare al finale, che a modo suo è un happy end, l’unico possibile viste le circostanze. Katniss fa una sola scelta, di salvaguardia e di conservazione, che alla fine si rivela la più giusta. Tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto, anche malgrado le sue azioni dettate dall’impulsività.

Una saga che consigliamo, in particolare ai giovani adulti appassionati di distopie e fantapolitica che amano leggere qualcosa che lasci loro dei pensieri da rimuginare ed un mondo, ancorchè crudo, affascinante e ricco di dettagli che lo rendono vivo e molto, troppo, vicino a noi.

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La ragazza di fuoco – S. Collins

Postato da Legione il 4 Ottobre 2012

Katniss e Peeta sono riusciti a farla franca, nei 74esimi Hunger Games di Panem, vincendo i giochi per la prima volta in due. Ma questa vittoria non li mette al sicuro da Capitol City, anzi. La vittoria è stato un affronto al presidente Snow e al sistema, perchè i due giovani hanno piegato a loro favore le regole del gioco salvandosi la vita.
E non solo: l’intelligenza istintuale dettata dalla disperazione di Katniss è stata un esempio di autodeterminazione che ha innescato qualcosa di grosso e ingestibile all’interno dei distretti.
Così, mentre la coppia affronta il Tour della Vittoria in preparazione ai 75esimi Hunger Games, qualcosa inizia a muoversi, qualcosa che non può essere nascosto o soffocato nel silenzio. Ma questo è l’anno dell’Edizione della Memoria: i giochi speciali che cadono ogni venticinque anni, e l’occasione per Capitol City è troppo ghiotta per essere trascurata.

La ragazza di fuoco, secondo romanzo della trilogia Hunger Games di Suzanne Collins (titolo originale Catching Fire), parte piuttosto sottotono. Per almeno metà romanzo (che, diamine! è troppo breve!) l’autrice si dilunga nel raccontarci come la vita di Katniss è cambiata al suo rientro dai giochi. E non solo la sua, ma dell’intero distretto: sembra che la sorveglianza si sia fatta molto più serrata e che, soprattutto, qualcosa inizi a covare sotto la cenere. Approfondiamo anche il rapporto duale della ragazza con Peeta, suo compagno nei giochi, che recita con lei la parte degli innamorati sventurati del distretto 12 e che probabilmente ha salvato loro la vita da morte certa per mano diretta della capitale; e Gale, il suo storico compagno del cuore.
Ma tutto cambia quando viene annunciata l’Edizione della Memoria, e da quel momento l’attenzione viene focalizzata nuovamente sui giochi e sulle imperscrutabili trame della capitale. Ma questa volta non saranno solo gli Strateghi a far andare le cellule grigie…

Non c’è che dire, la storia della trilogia è appassionante e regge bene anche sulla lunghezza. Lo stile asciutto in combinazione con la strettissima prima persona su Katniss rende la lettura scorrevole (forse pure troppo) da incatenare il lettore alla pagina. Una slavina inarrestabile di eventi ed emozioni fanno sì che da metà romanzo in poi la lettura non si possa più interrompere.
Anche in questo episodio è impossibile non lasciarsi andare a qualche riflessione, sia di carattere politico (in fondo la situazione di Panem è così inverosimile?) che sociologico. La Collins dimostra una immaginazione spietata incredibile, non solo nella realizzazione della nuova arena di gioco ma anche nel definire i dettagli delle vittorie dei giochi precedenti, ad esempio, e nel delineare il nuovo regime di polizia nei distretti.

La Collins coglie qualcosa, dentro di noi, attraverso i suoi romanzi, qualcosa di atavico e animale che abita in noi tutti, giocandoci, e attraverso questa intrappolandoci nel suo mondo perverso.
Ci sarebbe tanto da riflettere sui simbolismi che permeano i romanzi, molto da dire sull’aderenza di certe sfumature alla vita reale e alle umane debolezze. Non possiamo dire che questo romanzo sia oggettivamente perfetto (per Hunger Games siamo stati un po’ fuorviati dalla visione del film, lo ammettiamo) ma è quel tipo di opera che evoca nel lettore qualcosa che va oltre la sola parola scritta. Non un capolavoro indiscutibile, ma efficacissimo nelle sue imperfezioni.

Per chi ha intrapreso la lettura di Hunger Games e ne è rimasto rapito, non c’è sicuramente bisogno di consigliare la lettura de La ragazza di fuoco.

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