splash
Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Post Taggati ‘antica roma’

La stirpe dell’aquila – J. Whyte

Postato da Legione il 30 Agosto 2010

Eccoci al terzo libro della saga Le cronache di Camelot di Jack Whyte. Questo ponderoso episodio, La stirpe dell’aquila, da l’avvio ad una nuova generazione di narratori, prendendo come protagonista il ben noto Merlino, nato in seno alla comunità della Colonia, ribattezzata Camulod. Si raccontano le vicende di Caio Merlino e del cugino, Uther Pendragon, dalla più tenera infanzia fino all’età dei trant’anni, attraverso i decenni e i grandi mutamenti della Britannia durante il disgregamento dell’impero romano.
Abbiamo quindi un’ampia gamma di tematiche trattate, dalle consuete dissertazioni di tattica militare (non sempre semplicissime da afferrare completamente) alle elucubrazioni spirituali e filosofiche, in un’epoca in cui i patriarchi della Chiesa parevano più occuparsi del combattere le ipotetiche eresie invece di coltivare e seguire le scritture. Abbiamo come sempre un forte accento sull’aspetto umano dei protagonisti, quindi leggiamo della dicotomia tra l’amore quasi fraterno tra Merlino e Uther che al contempo si stempera nell’odio e nel sospetto, a causa dei caratteri e delle intime inclinazioni così diverse.
Questo episodio rispetto ai precedenti è un po’ più leggero dal punto di vista della prosa, il protagonista però tende sempre a quell’aura di perfezione che però a Merlino ci sentiamo di perdonare. Per il resto, la narrazione è piuttosto scontata, una volta individuato lo schema e la cadenza degli avvenimenti, niente di eclatante, fino al finale, ovviamente aperto, sanguinoso come non mai, che prepara la strada, finalmente, alla venuta di Artù.

La spada che canta – J. Whyte

Postato da Legione il 17 Giugno 2010

Come avevamo accennato nella recensione del primo volume, La pietra del cielo, eccoci a parlare del secondo romanzo di Jack Whyte parte del ciclo detto “Le cronache di Camelot”. La spada che canta forse è il romanzo più noto dell’autore, e segue da vicino gli eventi narrati nel primo volume. Lo stile è sempre il consueto, estremamente narrativo e scorrevole costellato e guidato dal resoconto storico. Forse proprio per questa sua continuità dal primo libro, è difficile sintetizzarne la trama, si può dire però che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare dal titolo, la spada che canta, ovvero Excalibur, appare solo nelle ultimissime pagine, così come la maggior parte degli eventi veramente salienti viene rimandata, un po’ prevedibilmente, alla fine. Con questo volume termina la voce narrante del fabbro Publio Varro, gettando le basi per il narratore dei prossimi volumi, il celebre nipote Merlino.
Come già detto in precedenza, pregevole è l’impostazione della narrazione di Whyte, che fornisce un background storico che la rende verosimile e sempre aderente agli avvenimenti reali, ma al contempo presenta sotto una luce piuttosto inedita le vicende che anticipano la venuta di Artù, come una lunga ed ampia saga familiare e personale, del tutto scevra di misticismi o sensazionalismi che la letteratura di genere ci ha spesso fornito su questo tema.
Dobbiamo ammettere però di essere contenti di poter avere un cambio di narratore per almeno uno dei prossimi libri del ciclo: uno dei principali difetti dell’esposizione di Whyte è la caduta, spesso, nei toni banali ed autocelebrativi. Essendo il tutto impostato come una cronaca di vicende accadute in prima persona dal narratore, risulta un po’ stridente questo continuo affermare i successi e del protagonismo del personaggio. Sé stesso ed i suoi congiunti sono sempre i più svegli i più furbi, i più importanti, le idee che da loro scaturiscono sono sempre le più geniali e definitive, il consenso suscitato è equanime. Sul lungo periodo di due ponderosi romanzi come questi, il risultato è effettivamente un po’ pesante.
Tutto sommato però, l’abbiamo trovato interessante, sufficientemente poco impegnativo per permettere al lettore di poter passare sopra a queste pecche, costituendo una lettura di svago senza pretese e con la possibilità di scoprire qualche aspetto delle leggende arturiane di cui non sospettavamo l’esistenza.

La pietra del cielo – J. Whyte

Postato da Legione il 28 Marzo 2010

Esordiamo con una banalità. Un libro può piacere o meno a seconda di ciò che ci si aspetta da esso.
Questo è sicuramente il caso del libro di cui parliamo oggi, “La pietra del cielo” di Jack Whyte, primo romanzo (di un certo peso: in edizione tascabile supera le 600 pagine) di una serie di sette, “Le cronache di Camelot“, di cui fa parte il più noto “La spada che canta” che leggeremo presto.
Come si vede in copertina, reca la dicitura “romanzo storico” ma allo stesso tempo, nella quarta, viene illustrata l’attinenza della saga con la mitologia arturiana (e possiamo immaginare che la suddetta spada canterina sia Excalibur).
Ci si accosta quindi al romanzo con un senso di curiosità e di aspettativa, prevedendo di incontrare, sotto fogge magari originali, i personaggi che caratterizzano la ben nota leggenda.
Invece, con lo scorrere delle pagine, ci si accorge ben presto che non sarà così. La pietra del cielo dà l’avvio alla saga partendo, come si dice, da Adamo ed Eva, narrando quindi la storia di una buona porzione di vita di un uomo, Publio Varro, un romano ex legionario, che diventa fabbro e che desidera trovare le mitiche pietre del cielo, dei meteoriti, che contengono un metallo assolutamente nuovo e prezioso.
Dal punto di vista prettamente storico, immaginiamo che la ricostruzione fornita nel romanzo del periodo tardo imperiale di Roma sia abbastanza fedele, quantomeno è verosimile ed accurata. Dal punto di vista del filone arturiano/mitologico/celtico è del tutto privo di quell’aura di mistiscismo che romanzi come “Le nebbie di Avalon” ci hanno abituati ad associare a questi temi, sostituendo il tutto con una buona dose di pragmatismo.
Dal punto di vista del romanzo di per sè stesso, risulta una lettura abbastanza scorrevole, anche se forse con poco mordente. Il fatto di essere narrato in prima persona al passato, come se fosse una sorta di raccolta di memorie, lo rende forse un po’ stucchevole in certi passaggi di autocelebrazione del protagonista.
In linea generale non è un cattivo romanzo, anche se come dicevamo, il riferimento alla leggenda arturiana mette una predisposizione nel lettore che viene indubbiamente disattesa. Leggeremo presto (e con calma) anche i successivi titoli della saga, sperando di sentirci un po’ più trascinati dalla narrazione; per il momento è prematuro consigliarvi o meno la lettura di questo volume.