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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Post Taggati ‘recensione film’

Amore e altri rimedi – diretto da E. Zwick

Postato da Legione il 30 Marzo 2011

Jamie è un informatore farmaceutico con un vizietto: le donne; Maggie è un’artista e guida turistica con un problema di salute. Ad unirli, in principio, una storia di solo sesso. Ma proprio in virtù del loro desiderio di non legarsi, capiranno ben presto di non poter fare a meno l’uno dell’altra.

Questa è la trama, forse non proprio originalissima, di Amore e altri rimedi, film diretto da Edward Zwick, con Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway. Film che ha fatto molto discutere, fin già dalla scelta del nome italiano, visto che il titolo in lingua originale (Love and other drugs) giocava sul doppio significato della parola drugs: droghe sì, ma anche più in generale i presidi medici, accostando gli effetti di dipendenza tipici dell’amore alla droga, appunto.

Questo film è l’adattamento del romanzo autobiografico del protagosta (Hard Sell: The Evolution of a Viagra Salesman), in cui viene messo in luce il background discutibile che sta alle spalle dell’industria farmaceutica.
Amore e altri rimedi invece è una commedia romantica piacevole, senza infamia e senza lode, che mantiene grosso modo tutti ritmi più classici del genere: gli equivoci, i punti da lacrima facile e quelli più esilaranti si intervallano con leggerezza.

Bravi i due protagonisti, che affrontano con naturalezza un grande numero di scene di nudo (motivo principale del grande hype sul film) e di sesso abbastanza esplicito. Sono credibili come coppia e ciascuno nel proprio personaggio, lei spaventata dall’incombere della malattia e dagli effetti che potranno avere su di lei e su eventuali compagni di vita, lui che riversa sul lavoro e sui successi con le donne una atavica insicurezza in se stesso e una paura nei legami.
Pregevoli nei ruoli secondari, l’orribile fratello e il collega di Jamie, che fanno da spalla a situazioni comiche di buon livello.

Nel complesso un film godibile ma senza pretese, l’ideale per passare un paio d’ore senza troppi pensieri in compagnia del bel sorriso della Hathaway e della faccia da mascalzone dal cuore d’oro di Gyllenhaal.

Fight Club – diretto da D. Fincher

Postato da Legione il 15 Dicembre 2010

Leggendo il primo grande successo di Palahniuk, ci siamo chiesti come avrebbe fatto Fincher a trasporre un’opera così eclettica e particolare sul grande schermo. Quindi abbiamo guardato l’omonimo film, Fight Club, con una notevole aspettativa. Ne è risultato un film, se possibile, ancora più delirante dell’opera originale. Di grandissimo effetto e immediato cult, come infatti è stato, gli espedienti sono dei colpi da maestro.
A partire dalla scelta dei protagonisti: uno spregiudicato, scolpitissimo, muscolosissimo e dal pessimo gusto in fatto di abbigliamento Brad Pitt, crea un binomio stridente e perfettamente ossimorico con Edward Norton, ottimo nella sua parte di impiegatino ingabbiato nella sua tranquilla e rassicurante routine.
Entrambi gli attori danno viso e corpo a personaggi complessi in modo efficace e sono in grado di comunicare i messaggi fondamentali dell’opera scritta, non solo grazie alle loro parole ma anche e soprattutto attraverso l’espressività del linguaggio del corpo, aiutato e supportato da una regia impareggiabile.
Menzione speciale per la sempre singolare Helena Bonham Carter, che sembra selezionare solo parti borderline: a prescindere dal profilo della singola produzione (da Harry Potter a Sweeney Tood, giusto per citarne due) la sua interpretazione brilla sempre per il carattere che riesce ad imprimere al proprio personaggio. Marla Singer non fa eccezione.
Come già detto, ottima la regia: una sceneggiatura difficile, un concept articolatissimo, un cast di qualità, orchestrato alla perfezione per rendere giustizia ad un romanzo che ha certamente segnato un’epoca.

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Trainspotting – diretto da D. Boyle

Postato da Legione il 2 Settembre 2010

Questo celebre film del 1996, Trainspotting, diretto da Danny Boyle, narra le vicende malate di un gruppetto di giovani di Edimburgo, tra droga, sesso e violenza. E’ tratto dal magistrale romanzo omonimo di Irvine Welsh del quale abbiamo parlato di recente qui: recensione Trainspotting.
La differenza che salta più all’occhio tra le due opere è l’oganicità del film rispetto al libro. Là dove il romanzo si sviluppava in episodi chiaramente autoconclusivi pur essendo parti di una sola storia, il film raccoglie i fatti più significativi e li pone meglio in relazione uno con l’altro, creando una trama più solida, anche grazie all’uso della voce fuori campo.
Il film è palesemente tratto dall’opera scritta ma non la ricalca alla perfezione, quindi i dialoghi, ad esempio, sono tutti originali, così come gli espedienti narrativi e gergali dei personaggi. Come spesso accade, i personaggi acquistano un volto ma perdono di spessore e profondità. Là dove nel romanzo il vero carattere di ciascuno viene messo in luce dai fatti e dai pensieri quando parla in prima persona, nel film le sfumature vengono messe solo dalla voce narrante.
Il risultato comunque del film di Boyle è buono: è riuscito a cogliere la sfumatura allucinata e dissacrante (e forse proprio per questo ancora più estrema) di questo scenario così poco edificante di certa gioventù degli inizi degli anni Novanta, che però potrebbe essere ben trasposta anche ai giorni nostri, cambiando forse il taglio dei jeans e qualche parola di slang.
Pregevole il giovanissimo Ewan MacGregor nei panni sdruciti di Renton, il Robert Carlyle più che inquietante in quelli del bullo da mezza tacca Bebgie e, ultima ma non ultima, una colonna sonora che la fa da padrona, scelta con grande cura per il particolare.

Un gioco da ragazze – Diretto da M. Rovere

Postato da Legione il 25 Dicembre 2009

Abbiamo guardato questo film che abbiamo scovato non si sa bene dove nei meandri della rete. Ci ha incuriosito la locandina, ma anche il fatto che trattasse del tema (usurato?) del disagio giovanile e del bullismo al femminile e fosse al contempo vietato ai minori di 14 anni (ma per un certo periodo fu vietato ai minori). Ci siamo lasciati incuriosire da questo lungometraggio praticamente sconosciuto italiano, adattamento dell’omonimo romanzo di Andrea Cotti, anche se con un filino di supponenza.
Il film narra le vicende di tre ragazze, bellissime e di ottima famiglia, dagli atteggiamenti da “bulle” di scuola, dure, fredde e senza cuore, mangiauomini e sempre arrabbiate col mondo. Il fragile regno delle tre regine vacilla all’arrivo di un giovane professore di italiano, semplice e diretto, che non ha paura di loro, specialmente della boss delle tre, l’ape regina, che resta profondamente scossa da questa resistenza dell’uomo e la prende terribilmente sul personale, fino all’impensabile epilogo.
Come detto, eravamo scettici. Non è certo il primo nè sarà l’ultimo film che si dedicherà a questo tipo di argomento, cercando di trasmettere il messaggio critico nei confronti della gioventù bruciata da vita notturna, alcool, sesso e droghe, ma sempre ricalcando il clichè educativo ed immancabilmente fallendo.
Questo film, almeno da quel punto di vista, ci ha stupiti. La storia è malata ma non forzata, terribilmente verosimile, l’impostazione è più ritrattistica che educativa e moralistica. Abbiamo apprezzato molto il cast: Filippo Nigro è ottimo nei panni del professore equilibrato almeno quanto Chiara Chiti è una cupa e terribile ape regina, probabilmente il miglior sguardo truce del cinema contemporaneo italiano.
E, lì dove ci aspettavamo il crollo, abbiamo ricevuto una sorpresa: il finale. Aspettandoci infine la redenzione delle bad girls e quindi una ricaduta nella banalità, troviamo invece un epilogo che raggiunge le vette dell’impensabile.
Un film indubbiamente curato, con un’impostazione non banale, un cast adatto, un ritratto sociale forse estremo ma che richiama terribilmente le cronache degli ultimi anni.

Il curioso caso di Benjamin Button – diretto da D. Fincher

Postato da Legione il 15 Settembre 2009

Sebbene non avessimo mai letto la novella di F. S. Fitzgerald dal quale è tratto, abbiamo visto con estremo interesse questo film che, all’uscita, aveva destato molto scalpore sia nei cinema che nella critica.
In breve, si narra la storia di un bambino, Benjamin, che nasce vecchio e col passare degli anni ringiovanisce sempre di più. Nella sua vita singolare, incontra una ragazzina che poi diventa una bellissima donna, della quale si innamora. A causa della sua condizione però, possono amarsi davvero solo per un breve periodo, quando le età dei due si trovano a combaciare.
Conoscevamo a grandi linee la trama di questa storia che di fatto costituisce uno dei capisaldi della letteratura di fantascienza. Eravamo perciò curiosi di vedere il risultato visivo di quest’opera.
Sconfinare nel grottesco e nell’inverosimile era una questione da poco, sarebbe bastata una sola scelta sbagliata per rovinare tutta la storia. Invece dobbiamo dire che l’effetto risultante è stato molto equilibrato e piacevole. Brad Pitt nella parte è stato ottimo, sotto le protesi ed i trucchi degli effetti speciali è stato in grado di trasmettere la vera età di Benjamin attraverso gli occhi e la profondità dello sguardo. La storia viene narrata con delicatezza, incentrando bene l’attenzione sul tempo che passa e sui modi e gli usi che cambiano, la Storia che si evolve e si modifica.
Un bel film emozionante, che ci riserva anche qualche lacrimuccia nell’inevitabile finale.

Il giardino delle vergini suicide – diretto da S. Coppola

Postato da Legione il 10 Luglio 2009

Avevamo questo film nella lista di quelli da vedere da molto tempo. Siamo stati incuriositi da questo titolo per diverse ragioni. Prima tra tutte il fatto che la regista sia cotanta figlia d’arte e che certamente il suo primo film abbia attirato molta attenzione da parte del pubblico.
Secondariamente, sono stati i nomi di alcuni degli attori principali, notissimi, ad attrarci: James Woods nella parte del signor Lisbon, marito di una angosciante Kathleen Turner, (paradigma dell’asserzione artistica “Non ci sono piccole parti ma solo piccoli attori”: la parte della madre Lisbon è molto molto piccola, ma è su di essa che si impernia l’intera vicenda. L’interpretazione è risultata magistrale), Kristen Dunst nella parte di Lux, una delle sorelle fulcro della storia e un semisconosciuto Josh Hartnett nella parte del rubacuori scolastico di turno.
Il film non ha deluso le aspettative. E’ stato tratto da un romanzo di Eugenides Jeffrey del quale avevamo già sentito parlare abbastanza bene in termini piuttosto particolari.
Infatti, il film come nella narrazione del romanzo, si incentra, sì, sull’ultimo anno di vita delle cinque sorelle Lisbon, ma sempre e solo attraverso gli occhi di chi le ha conosciute, incrociando anche solo per qualche ora le loro esistenze. E’ un espediente narrativo decisamente particolare, che ben si attaglia al tema trattato: queste cinque giovanissime donne, tutte bellissime e solari, di fatto tenute sotto la campana di vetro di una madre accentratrice e di un padre perfettamente passivo.
Un gruppetto di ragazzi vicini di casa narra le loro vite in declino come in un reportage, per il quale raccolgono informazioni ed indizi in maniera quasi maniacale, asserendo continuamente quanto quelle cinque ragazze abbiano segnato la loro vita per sempre.
“Il giardino delle vergini suicide” è senza dubbio un film drammatico, ma distaccato, che espone i fatti in ordine cronologico, analizzandoli e cercando di trovare il motivo effettivo per quegli insani gesti che alla fine tutte e cinque compiono. E fa riflettere su come questa storia sia verosimile, su come è possibile che il male di vivere si celi anche dietro il sorriso più dolce di una fanciulla nel fiore della giovinezza.

Moonacre, i segreti dell’ultima luna – diretto da G. Csupo

Postato da Legione il 8 Luglio 2009

Abbiamo visto questo film dopo averne sentito parlare per 30 secondi nel relativo trailer, qualche mesetto fa. Veniva precisato che era il film tratto dal romanzo “che ha ispirato Harry Potter”, così, oltre ad aver messo in wishlist il libro relativo (The Little White Horse di Elizabeth Goudge, opera divenuta fondamentale per generazioni di adolescenti dalla pubblicazione nel 1946 e che ci siamo appena procurati), ci siamo impegnati a ritagliare qualche ora per vedere il film.
Ecco, se una cosa è certa, questo film, né la storia che viene narrata, ha alcunché a che vedere con Harry Potter. Ma proprio niente niente eh, al più l’unica attinenza è il genere, fantasy per ragazzi.
E questo è tutt’altro che un difetto.
Questo film, nonostante le aspettative non proprio entusiasmanti, ci è piaciuto sinceramente.
E’ una favola in costume, ma che potrebbe avere luogo in qualunque epoca. Non ha particolari caratteri innovativi, ma è fresco, scorrevole, appassionante.
Dallo stretto punto di vista cinematografico, abbiamo apprezzato moltissimo la notevole cura della fotografia, la scelta delle location, gli ambienti affascinanti, gli abiti assurdi ma al contempo perfettamente integrati nel contesto di favola: lunghissimi strascichi di velluto cremisi in abiti all’imperiale, l’”effetto principessa” è immediato (certo che vedere il suddetto strascico portato a spasso in giro per una foresta… Vabbè, è pur sempre una fiaba!).
E come ogni fiaba con profumo fantasy, non può non essere basata su un qualche tipo di allegoria. In questo caso è evidente il messaggio ecologista e ambientalista, nemmeno poi troppo celato, ma che non stona affatto e anzi permea tutta la storia di uno scopo ben preciso.
Molto buono il casting, la ragazzina che interpreta Maria (vista piccolissima ne “La guerra dei mondi”) ha un volto molto espressivo, incorniciato da una cascata di riccioli rosso naturale che è una caratteristica piuttosto inconsueta per le attrici in circolazione.
Gli altri personaggi vengono giustamente interpretati come estremi, clichè ben delineati, figure stilizzate e chiare nella storia: il principe azzurro dal cuore indurito per l’amore perduto, la principessa decaduta ancora prima di salire al trono, il cattivo cattivissimo (vestito di nero e dal nome De Noir), il ragazzo scapestrato ma dal cuore d’oro.
Per quest’ultimo, Robin, siamo rimasti deliziati dalla citazione, non sappiamo quanto volontaria, per la scelta della veste di scena: bombetta nera, trucco scuro attorno agli occhi e sguardo spiritato, zazzera disordinata e giubbotto aderente. All’apparire suo e della sua cricca, ci è venuta in mente “Arancia Meccanica” in versione dark (ed edulcorata, ovviamente).
Infine, una nota agli effetti speciali, di tutto rispetto. E la scena finale, quella della cavalcata di centinaia di bianchi destrieri (no spoiler, ci fermiamo qui)… varrebbe da sola tutto il film!
Insomma, bello, un bel film fantasy per ragazzi, senza dubbio il libro promette di essere molto migliore, ma siamo stati piacevolmente impressionati da questa piccola perla (guardate in film per capirla) che si inserisce in un contesto dove sempre più spesso la fanno da padrone i soli effetti speciali a discapito di una trama interessante.

Lasciami entrare – diretto da T. Alfredson

Postato da Legione il 3 Luglio 2009

Come avevamo preannunciato tempo fa qui, abbiamo finalmente visto il film tratto dal romanzo di Linqvist omonimo, “Lasciami entrare”.
Come avevamo già accennato per il libro, che ci era piaciuto molto, anche in questo caso l’influenza dello stile nordico si fa sentire non poco. Indubbiamente questo film non si può certo dire che sia ricco di mordente e dal ritmo incalzante, anzi.
Abbiamo trovato molto ben sviluppato il personaggio di Eli, la scelta dell’attrice è stata calzante, per contro abbiamo trovato una perdita di spessore di praticamente tutti i personaggi, principali e secondari, una semplificazione estrema di una storia che possedeva certamente un intreccio interessante.
Ci siamo domandati anche che tipo di idea uno spettatore è in grado di farsi assistendo solo alla visione del film, senza aver letto il libro in precedenza e quindi senza conoscere gli effettivi sviluppi della storia. A nostro avviso, questo film costituisce esattamente una riduzione del romanzo, nel senso letterale del termine, una specie di Bignami che alla fine lascia poco allo spettatore, al contrario di come invece fa l’opera originale.
Non viene spiegato per nulla chi sia effettivamente Eli, viene lanciato il sasso (nella scena clou a casa di Oskar, che è stata modificata e semplificata anch’essa) e ritirata la mano; non assume alcun tipo di importanza nella profondità del personaggio di Eli la figura di Håkan, del quale sappiamo nulla (qui appare addirittura felice di fare quello che la ragazzina gli chiede!); indizi vaghi sulla vacuità della madre e del padre di Oskar; e l’elenco delle mancanze potrebbe essere ancora molto lungo.
Insomma, in sintesi questa trasposizione non ci ha particolarmente entusiasmati, se la storia potrebbe essere di vostro interesse vi consigliamo vivamente di procurarvi il libro e di scordarvi tutto il resto.