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Annessi & Connessi
Per noi, i libri sono una faccenda personale. Benvenuto!
Postato da Legione il 17 Maggio 2015

http://annessieconnessi.net/una-notte-di-ordinaria-follia-a-filisdeo/

Un po’ di spacconate, un po’ di humor nero, un po’ di splatter, un pizzico di pulp: Una notte di ordinaria follia di Alessio Filisdeo è un mix ben equilibrato di scene di violenza allucinata, scene genuinamente originali e horror dagli accenti più classici. Questo ebook dalla brevità fastidiosa suona quasi come un antipasto ad [...]

 

Post Taggati ‘racconti’

Il buio alla finestra – A. Mazziotta

Postato da Legione il 9 Marzo 2010

copertina il buio alla finestra Abbiamo avuto modo di leggere questo piccolo volume (90 pagine) dell’esordiente Antonio Mazziotta edito dalla casa editrice Il Filo.
Un romanzo, o per meglio dire un racconto, che narra per immagini e scene, un tratto di vita di due ragazze amiche d’infanzia, Tania e Gioia, che si sostengono e si appoggiano attraverso gli anni e le difficoltà.
C’è da dire senz’altro che, essendo così breve, anche la storia non può essere particolarmente elaborata e ricca di eventi. L’esposizione dei fatti è piuttosto lineare, intervallata da qualche flashback di memoria che però non interrompono l’organizzazione del racconto.
Si percepisce chiaramente il coinvolgimento emotivo dell’autore nei confronti di questa vicenda, al punto da portarlo spesso ad infioraggiare la narrazione con dettagli che tendono a distogliere l’attenzione del lettore dai fatti.
Lo stile di scrittura è acerbo e necessita senz’altro di essere affinato e sgrossato, razionalizzando ad esempio l’uso delle figure retoriche, l’aggettivazione e la formazione stessa dei periodi.
Dal punto di vista della costruzione del racconto, vi sono pecche nella delineazione dei personaggi, che risultano piuttosto monocromatici e poco originali, i tempi e i ritmi di narrazione che si dilatano in dettagli apparentemente poco significativi e si contraggono quando si passa bruscamente da una scena ad un’altra.
Grande disvalore al volume lo da purtroppo la quasi completa mancanza di editing: refusi, parole tronche e punteggiatura casuale lo rendono approssimativo.
In conclusione, non possiamo dire di essere di fronte ad un capolavoro editoriale, è bensì un racconto di uno scrittore alla sua prima fatica, che ha certamente ampi margini di miglioramento e al quale auguriamo umilmente che la nostra recensione possa essere di sprone per ricercare quella maturità stilistica che potrebbe portargli soddisfazioni in futuro.

La filosofia in quarantadue favole – E. Bencivenga

Postato da Legione il 21 Dicembre 2009

Di solito la filosofia è cosa da filosofi, non certo da gente comune che alle domande preferisce le risposte. Eppure quel giorno in libreria (una libreria nuova di zecca che era imperativo esplorare il prima possibile) il libro La filosofia in quarantadue favole di Ermanno Bencivenga mi incuriosì a tal punto che decisi di comprarlo.
Si tratta di favole brevi e brevissime ognuna delle quali tratta un tema chiave della filosofia con uno stile semplice ed immediato che incanta e incuriosisce. Ad esempio, è universalmente noto che due più due faccia quattro, ma cosa succederebbe se il quattro di stufasse di essere “solo quello”, un insipido numero pari, e aspirasse alle grandezze dei numeri dispari?
Oppure, perché alla domanda “Chi sei?” non possiamo rispondere con un semplice “Sono io”? E ancora, cosa c’è da capire nel mondo? C’è davvero qualcosa da capire?
Domande che nascondono altre domande, come infinite matriosche, a cui l’autore ha il pregio di far avvicinare il lettore con dolcezza, senza fastidiosi mal di testa.
Il libro non si legge per la trama, non ci sono né eroi né cattivi, ci sono invece tante storie in cui a volte si scorgono sia domande che risposte.
Non c’è da illudersi però di capire meglio la filosofia a fine lettura, quanto piuttosto si arriva a comprendere che essa permea la nostra vita quotidiana. Forse è per questo che ho apprezzato molto libro: perché ti ricorda che non si può sapere tutto e alle volte è il “non sapere e voler scoprire” a fare la differenza.

Recensione scritta da LM

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Colpo di fulmine alle terme – P. G. Wodehouse

Postato da Legione il 10 Settembre 2009

Terzo ed ultimo libro di questa serie un po’ singolare di letture, che continueremo con altri titoli un po’ fuori dalle nostre consuetudini.
E per restare in tema di letture sopra le righe, questo è senz’altro un libro calzante. In una sola parola lo si potrebbe definire “British”, in tutto ciò che ne consegue. Lo snobbismo caricaturale tipico dei gentlemen inglesi di inizio Novecento, fatto di pomposità nel vestire, piccole manie, vizio del gioco e salvaguardia delle apparenze, ma soprattutto un umorismo a denti stretti, che sfora spesso nel paradossale, a volte regalandoci una sana risata con tanto di scotimento di capo davanti a certe trovate.
Wodehouse raccoglie in questo libro una serie di ritratti di alcuni personaggi tipici del clichè inglese, che si muovono in contesti altrettanto tipici. Lo scommettitore incallito che alla fine di mille peripezie riesce sempre a gabbare moglie e sfortuna; il gentleman dall’altissima considerazione di sé tarpato dalla società e dalla zia che non lo foraggia mai a sufficienza nonostante il suo elevato status sociale; l’anziano zio ricco che fa a gara con gli altri ospiti delle terme per dimostrare di essere più malato degli altri.
Una serie di caricature parodistiche dell’Inghilterra che fu, che sanno ancora adesso regalarci sorrisi, sebbene l’oggi sia così distante dal mondo che raccontano. Un autore sicuramente da ricordare, per alcune piacevoli e scorrevoli letture di svago.

Un uomo purché sia – G. Schelotto

Postato da Legione il 2 Settembre 2009

Come abbiamo detto precedentemente, questo è un altro di quei libri un po’ inconsueti che ci siamo concessi in questa fine-estate. Questo libro, non un romanzo ma un piccolo trattato di psicologia a sfondo divulgativo, narra attraverso dei brevi racconti alcuni dei modi di vivere che caratterizzano diverse tipologie di donne alla ricerca dell’amore.
Con l’ausilio di questi “case study”, scritti dalla stessa Schelotto come summa di storie reali che le sono state sottoposte nel corso degli anni, descrive successivamente il tipo di problema psicologico della protagonista femminile che inevitabilmente la conduce ad essere scontenta della propria situazione sentimentale.
Questo libro può risultare estremamente utile per tutte coloro che potrebbero ritrovarsi in una o più delle storie raccontate, non perchè alla fine venga concessa la panacea risolutiva a ciascun problema, ma perchè talvolta può tornare utile vedere la propria situazione, per quanto critica, narrata dall’esterno, senza i fronzoli e le attenuanti che inevitabilmente vanno a confluire nel raccontare le proprie sventure.
Un’opera che può anche essere letta semplicemente in quanto tale, una raccolta di brevi storie, di ritratti femminili, che commettono errori o si trincerano anche involontariamente in modi di pensare inculcati nell’infanzia o che ripercorrono ancora i reflussi delle sofferenze vissute nel passato influenzando il futuro.

Ti trovo un po’ pallida – C. Fruttero

Postato da Legione il 2 Giugno 2009

Un racconto riedito dopo diversi anni, scritto dal solo Fruttero, e una fornita appendice allo stesso che ne spiega i come e i perchè.
Questo contiene il volumetto “Ti trovo un po’ pallida”, nel complesso estremamente breve, da divorare un poco tempo.
Forse la sua brevità delude, o meglio: se si affronta questo volumetto senza la precisa consapevolezza di che cosa si andrà a leggere, è inevitabile rimanere insoddisfatti.
Il racconto è esattamente tale, un racconto, anche piuttosto breve sebbene articolato e pregevole, ansiogeno e in apparenza sconclusionato, fino alla sorpresa finale (inappellabile, oseremmo dire). Creativo, stilistico, andrebbe letto con attenzione e assaporato pian piano, cosa che non avviene, di solito, quando si apre un libro nuovo che ci interessa: ci si avventa sulle prime pagine per poi assestarsi al ritmo più adatto dopo un po’.
Qui invece il racconto termina proprio quando si sta iniziando ad apprezzare l’arrampicata sintattica, e quindi si resta spiazzati.
Segue un interessante approfondimento di backstage, proprio come lo definisce l’autore, nel quale ci dona ancora la sua capacità narrativa a tratti scanzonata e ironica.
Un libro indubbiamente per i cultori del duo Fruttero&Lucentini, che rischia però di costituire un “cattivo acquisto” per chi invece non sa cosa aspettarsi dall’opera.

Pochi inutili nascondigli (II parte)

Postato da Legione il 28 Maggio 2009

segue da qui

“La ragazza che guardava nell’acqua”
Oh… Ecco, forse l’unico modo per descrivere appieno questo racconto è solo questo, un sospiro. Un racconto che in prima battuta ti spiazza, e non per forza in positivo, per come si propone. Scritto in prima persona, su un personaggio decisamente singolare. Gli scettici della partenza si saran ricreduti dopo qualche pagina: un racconto dolcissimo, scritto con parole semplici, come se la voce narrante fosse un bambino, e per certi versi lo è, toccante, delicato, stupendamente surreale, la storia veloce di un deux ex machina di particolare dolcezza. In contrapposizione con “Graffiti”, che è l’equivalente dello stridio delle unghie su una lavagna, questo racconto è… un languido sguardo di occhi buoni ed un naso umido e timido. Finito con le lacrime agli occhi.

“L’ospite d’onore”
Scritto magistralmente, da autore brillante quale Faletti sicuramente è, anche se cerca di camuffarlo in altre cose. Un racconto dal ritmo talmente serrato di similitudini, lazzi ironici, voli e paragoni impossibili, che regge solo per il fatto di essere breve. Così come il precedente ci aveva strappato una lacrimuccia, questo ci ha portato ben più di una volta alla risata liberatoria. Una trama non male, con il consueto finale soprannaturale e decisamente sospeso, che lascia intendere ma non del tutto chiaramente. Secondo noi questa è la prova che Faletti non dovrebbe rinnegare le sue origini brillanti: un sano giallo, poco noir con qualche pennellata di ironia e comicità, senza scadere nello sguaiato, potrebbe riportare la sua fama ai livelli che merita.

“Physique du role”
Uhm, mi verrebbe da dire classico, un racconto meta-cinematografico, una storia che diventa realtà. Non male, carina l’idea meccanica che ne sta alla base, ben delineato il personaggio principale, con una introspezione chiara fin da subito, che verte sui desideri notturni del protagonista. Molto descrittivo, molto ben evocative le immagini, anche perchè si parla di cinema. Finale negativo, o meglio, una “brutta fine”, indovinabile. Carino, ben scritto, ma niente di particolamente innovativo a confronto del resto, ben scritto e poco di più.

Pochi inutili nascondigli – G. Faletti

Postato da Legione il 26 Maggio 2009

Abbiamo letto “Pochi inutili nascondigli” in attesa dell’ultimo libro di Giorgio Faletti, “Io sono Dio” che speriamo di avere presto tra le mani. Per quanto noi lo stimiamo come persona e come comico, purtroppo ci siamo trovati spesso a non parlare molto bene di lui come scrittore.
Parlando di questo volume che raccoglie una serie di racconti, è evidente l’influenza Kinghiana, il tentativo di avvicinarsi al suo stile nei quali spesso il Maestro si diverte a giocare su stravaganze ancora più ardite di quelle che riserva per i suoi romanzi, risultando sempre affascinante. La similitudine però finisce qui: aprire un libro di King, come ci piace dire, è come accomodarsi nella tua vecchia poltrona preferita, dopo le prime due o tre pagine di assestamento sui cuscini, la senti avvolgerti e sostenerti caldo e comodo fino alla fine. Faletti invece, ha qualcosa che stona, non solo nei contenuti, ma proprio nella scrittura. Per carità, i moti di spirito sono sempre geniali e strappano più di un sorriso, ma la prosa a volte troppo dettagliata, forzata nel particolare che magari il lettore già ha capito di suo, rende la lettura incespicante, sebbene la ricercatezza delle frasi sia palese. Non si può dire che, nonostante i temi trattati e la cura della narrazione, sia sempre una lettura scorrevole.

“Un gomma e una matita”
Come esordio della raccolta è una toppata clamorosa, per chi almeno bazzica nell’horror/fantascienza da un po’ ed abbia letto King quel che basta per trovare in questo racconto un ricalco dei suoi lavori. Un racconto con del potenziale, ma nemmeno poi molto originale, che prende spunto (forse, chissà) da un certo personaggio (cacciato dentro a forza per salvare la trama, ammettiamolo) che appare alla fine de “La torre nera” e che risulta infine la chiave risolutiva di tutta la saga. Un racconto con pretese horror ma che secondo noi scade più nello splatter, durante il quale brilla per assenza una reale introspezione del protagonista, che cambia radicalmente carattere dopo aver scoperto le potenzialità distruttive di una gomma e una matita. L’effetto del cambiamento lo si legge negli altri personaggi e dalle sue azioni, ma la reale introspezione si riscontra solo alla fine e solo in senso sbrigativo, lasciando un po’ di sapore dubbioso in bocca. Ma nemmeno poi tanto, in fondo, solo confortati che il racconto sia finito.

“L’ultimo venerdì della signora Kliemann”
Ecco, questo racconto si discosta un po’ dal solco Kinghiano, in senso felice, sebbene mantenga una certa aura di inverosimiglianza fino alla fine (per tutto il racconto è inverosimiglianza mal riposta, mentre al termine si raggiunge l’apice del soprannaturale). Ben scritto, ben tratteggiati i personaggi, forse più incisivi quelli di sfondo che non i protagonisti, è evidente come Faletti stia parlando di posti e persone a lui noti veramente (non a caso parla di Capoliveri, vogliamo scommettere che esiste davvero un baruccio al cui tavolo siedono sempre i soliti quattro a far passare le ore?). A volte ridonda un po’ di domande nella testa del protagonista, sempre le stesse, ripresentate sempre in fogge nuove. E ammettiamolo: per tutto il racconto abbiamo pensato storcendo il naso che fosse una versione falettiana di “Weekend con il morto”, ma la scrittura sufficientemente incalzante ci ha fatto tenere duro fino alla fine, per scoprire che la realtà era meno grottesca. Ma solo di poco… Toccante il finale, o meglio, la conclusione dell’intreccio, pervaso da una certa malinconia che concede un punto di valore aggiunto a tutto il racconto.

“Graffiti”
Uhm… un racconto decisamente particolare. Ben strutturato, teso, in un crescendo di normale aberrazione umana fino alla conclusione completamente surreale. Un racconto certamente simbolico, con una morale piuttosto evidente. Ben scritto, con la delineazione di un personaggio semplicemente corrotto, nell’accezione di disfacimento, dalla sua stessa ira che nutre ed alimenta giorno per giorno e che infine lo conduce, inconsapevole, alla resa dei conti. Un personaggio da romanzo, con un finale che solo un racconto può permettersi. Se proprio si desidera trovare una pecca in questo brano è la delineazione eccessivamente perfetta della corruzione dell’anima del protagonista, che infine ottiene la sua giusta ricompensa. King ci ha spesso abituati a vedere il Male e l’evento soprannaturale, sia a ripagare le cattive condotte, come vendetta, e sia, e forse soprattutto, che piova come ennesima sfiga su persone tecnicamente normali, nè troppo buone, nè troppo cattive. Perfidamente e perfettamente in disfacimento, quindi, il protagonista, ma è davvero l’unica nota su un racconto che stupisce.

“Spugnole”
Un racconto particolare, molto racconto e poco horror fino alla fine. Evocativo, ben descrittivo, quel genere di racconto che fa domandare al lettore che cosa ci faccia in una raccolta definita come thriller. Lungo rimuginare su vari aspetti della campagna, pregevole, fino alla parte conclusiva del racconto ovvero la parte succosa, dove sta il fulcro del racconto. Ed il finale… Kinghiano anche lui, surreale all’estremo, ma chissà com’è che l’irreale di King è più verosimile che non quello uscito dalle penne di altri?

Segue qui nella seconda parte.